UBERTINI, Ranieri
(II). – Nacque nel contado aretino, in uno dei castelli degli Ubertini, presumibilmente durante gli anni Trenta del Duecento, figlio di Guido Galletta (la madre, invece, è sconosciuta) e nipote ex fratre del vescovo d’Arezzo, Guglielmino, e dell’eletto di Volterra, Ranieri (I).
Secondo l’opinione prevalente, quest’ultimo e Guglielmino sarebbero stati cugini; essi erano in realtà fratelli, come si apprende da una citazione effettuata da alcuni creditori riguardo a una somma da incassare «a Rainerio filio domini Rainerii Guidonis Ubertinorum Vallis Arni qui est hodie electus Vulterranus et Hugone et Guillelmo qui est episcopus Aretinus fratribus, filiis dicti Rainerii» (Volterra, Biblioteca Guarnacci, ms. 8494, III, c. 3v). L’altro fratello di Guglielmino e Ranieri (I) era Ugo, arcidiacono della cattedrale aretina, morto nel 1256. La posizione del tutto preminente della schiatta ubertinesca nei gangli della Chiesa toscana dipese dalle scelte di papa Innocenzo IV, che affidò a due esponenti della famiglia gli episcopati della Tuscia dotati di prerogative comitali. Mentre il pontificato di Guglielmino durò a lungo, fino al 1289, quando morì a Campaldino, quello di Ranieri (I) si concluse in occasione di un’altra, decisiva battaglia, quella di Montaperti (1260).
Ranieri (I), primicerio di Arezzo dal 1222 e proposto dal 1230 al 1238, quando diventò arcidiacono, divenne eletto di Volterra nel 1245, ma poté recarsi nel caput diocesis solo nel gennaio 1251, in seguito alla morte di Federico II.
Mai consacrato, all’indomani del proprio adventus Ranieri (I) trovò un episcopato destrutturato dall’azione dei dignitari imperiali, che avevano concesso molte delle temporalità vescovili ai propri sostenitori. Nel 1253, l’eletto volterrano contrasse con alcuni prestatori senesi un ingente mutuo, volto a ottenere indietro il ricco castello minerario di Montieri, legandosi, di fatto, alla politica della città della Balzana. L’alleanza fra Ranieri (I) e Siena fu ribadita il 31 agosto 1254 (Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Riformagioni). Agli occhi del Papato, il blocco costituito dalle sedi volterrana e aretina, congiunte alle giurisdizioni signorili degli Ubertini, doveva rappresentare un contrappeso al potere dei fiorentini in Tuscia. Con il rivolgimento militare di Montaperti, però, l’equilibrio politico toscano si ruppe, e l’eletto volterrano fu autorizzato dal papa a lasciare il proprio incarico il 21 gennaio 1261 (Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 485). Chiamato dai reggitori di Volterra a rivestire per qualche mese la carica di podestà e capitano del Popolo, Ranieri tornò successivamente nell’Aretino, e risulta ancora vivo nel 1285 (Volterra, Biblioteca Guarnacci, ms. 8491, III, c. 81v). La Sede apostolica inviò a sostituirlo il fiorentino Alberto Scolari, consobrinus del cardinale Ottaviano Ubaldini.
L’inizio della carriera di Ubertini si era sviluppato nel solco impresso dagli zii presuli. Nel marzo del 1254 risulta insignito della dignità di arcidiacono ravennate (Volterra, Biblioteca Guarnacci, ms. 8494, I, c. 4r). Dal 12 settembre 1256 è attestato presso Arezzo, città della cui cattedrale lo zio Guglielmino tentò di assicurargli l’arcidiaconato un tempo di Ugo Ubertini (Arezzo, Archivio diocesano e capitolare, Canonica, Diplomatico, nn. 620_84, 620_86). Al presule non riuscì, però, di avere ragione delle resistenze dei canonici: dopo la votazione per modum scrutinii, avvenuta il 9 ottobre (n. 620_88), Guglielmino ratificò l’elezione di Viviano, scelto dalla maior e sanior pars del capitolo. Ranieri, allora, si spostò nel Volterrano. Il 10 dicembre 1256, i canonici di San Gimignano – secondo centro della diocesi per importanza dopo Volterra – lo elessero loro proposto. Dal 4 settembre 1259, inoltre, Ubertini operava in qualità di vicario di Ranieri (I; Volterra, Archivio storico diocesano, Mensa, n. 14, c. 85v).
Con le dimissioni dello zio, il nipote lasciò la diocesi di Volterra. Nell’aprile del 1262, Urbano IV ordinò al vescovo di Arezzo che Ubertini, a causa dei meriti conseguiti per la sua nobilitas e la sua probitas, fosse fatto canonico della Chiesa aretina (ibid., Diplomatico, n. 492). In effetti, egli è attestato come canonico aretino a partire dal febbraio del 1263 (Arezzo, Archivio diocesano e capitolare, Canonica, Diplomatico, n. 620_112), durante la propositura di Bonaguida. Ubertini sostituì quest’ultimo come proposto dal 9 gennaio 1264 (n. 620_118). La sua opera fu improntata al riordino amministrativo dell’ente canonicale: l’atto più importante fu la redazione degli statuti capitolari nel 1263, particolarmente attenti alla conservazione dei documenti d’archivio (Documenti per la storia della città di Arezzo, 1916, n. 623).
Nel frattempo, maturavano le condizioni per un suo ritorno a Volterra.
La scelta del fiorentino Alberto Scolari come vescovo volterrano era stata improntata all’equilibrio da parte del pontefice, che aveva agito per bilanciare lo strapotere dello schieramento filosenese e filoimperiale scaturito dalla battaglia di Montaperti. Alberto resse la diocesi fino al marzo del 1269, quando morì nel castello vescovile di Berignone. La situazione politica della Tuscia, nel frattempo, era mutata verso una rinnovata egemonia filofiorentina e filoguelfa con le battaglie di Benevento (1266) e di Colle (1269). Dopo i funerali di Scolari, i canonici di Volterra si divisero in due fazioni, una orientata all’elezione di Guglielmo Pannocchieschi, e l’altra schierata in favore di Cacciaconte di Cremona. La vertenza, inizialmente affidata al cardinale prete di S. Cecilia (il futuro Martino IV), fu risolta dal papa Gregorio X, il quale, nel maggio del 1273, cassò entrambe le elezioni, nominando vescovo di Volterra proprio Ubertini (Les registres de Grégoire X, a cura di N.J. Giraud, I, 1892, n. 251). È da ritenere che, nuovamente, la scelta del papa cadesse su un membro della schiatta ubertinesca per controbilanciare i fiorentini in Tuscia.
Il 27 giugno 1273, il pontefice concesse a Ubertini di farsi consacrare da qualunque vescovo preferisse (Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 540): egli dovette approfittarne mentre si trovava ancora presso lo zio nell’Aretino, giacché i negozi da lui compiuti nell’autunno di quell’anno riportano la qualifica di episcopus.
Un suo fratello, Ugo, ascese ai vertici dell’Ordine dei predicatori, diventando priore del convento fiorentino di S. Maria Novella (Panella, 1986); mentre un altro fratello, Iacopo, lo seguì nel Volterrano, ricoprendo la carica di rettore di alcuni castelli vescovili (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Comune di Volterra, 1273 dicembre 18).
Fin dagli inizi, l’azione di Ubertini come vescovo fu improntata all’accortezza gestionale: dal 16 novembre 1274, infatti, il pievano di Rivalto cominciò, su mandato del presule, ad allestire l’estimo dei luoghi pii della Valdera (Volterra, Archivio storico diocesano, Curia, Notarile Nera, n. 34, c. 12r). Il 29 aprile 1277, tre terziari francescani redassero un lodo per la spartizione fra vescovo e Comune di Volterra dei proventi dei castelli di Pomarance, Montecerboli, Serrazzano, Sasso e Leccia (Regestum Volaterranum, 1907, n. 837).
Nel mentre, Ubertini s’impegnò in un’ardua contesa con i reggitori di San Gimignano per la giurisdizione dei castelli della Valdelsa. Dopo il ricorso all’interdetto, la pace sembrò vicina quando, nei primi mesi del 1278, la vertenza fu affidata a un collegio di arbitri ecclesiastici. Gli scontri, tuttavia, ripresero poco dopo. La concordia fu trovata il 23 ottobre 1280, quando la giurisdizione su Gambassi fu divisa a metà fra Comune di San Gimignano e vescovo di Volterra, e quest’ultimo, indennizzato con un lauto risarcimento, fu libero di esigere il fodro (Il Libro bianco, 1996, doc. n. 83).
Sia a San Gimignano sia a Volterra, Ubertini si sforzò di mettere in pratica il programma politico promosso dal cardinale Latino Malabranca, consistente nella pacificazione fra le partes guelfa e ghibellina. Il 5 settembre 1278, le fazioni volterrane affidarono al presule il compito di trovare un compromesso, all’onore del re Carlo e della Chiesa romana (Volterra, Biblioteca Guarnacci, ms. 8488: Tractatus pacis). L’elaborazione dell’intesa avvenne nel contesto della collaborazione fra il presule e il podestà Schiatta dei Cancellieri, da un lato, e fra il notaio podestarile Averardo di Pistoia e quello vescovile Iacopo di Leona (oggi Levane), amico e corrispondente del rimatore Guittone d’Arezzo, dall’altro. Il lodo fu pronunciato il 1° dicembre 1278. Poco tempo dopo, il presule fu chiamato a svolgere la funzione di capitaneus della città (Volterra, Archivio storico diocesano, Curia, Notarile Rossa, n. 2, c. 130r).
Nello stesso periodo, Ubertini promosse il rifacimento del battistero urbano di S. Giovanni (1278), attestato dall’epigrafe collocata sul portale, e lo stanziamento degli agostiniani sia a Volterra (1279) sia a San Gimignano (1280). Ma soprattutto tentò, all’indomani della sconfitta pisana alla Meloria (1284), il recupero delle giurisdizioni vescovili in Valdera, creando, nei castelli lasciati sgombri dai pisani, un vicariato a giurisdizione condivisa con il Comune di Firenze, i cui proventi sarebbero stati divisi a metà. Questo assetto rimase in piedi finché, qualche anno dopo, la città marinara non rientrò in possesso dei territori perduti.
Ubertini fu eletto podestà di San Gimignano nel 1289, poco dopo la battaglia di Campaldino, certamente perché gli abitanti del centro valdelsano temevano il protagonismo fiorentino in Tuscia; il vescovo accettò l’incarico il 21 ottobre (San Gimignano, Biblioteca comunale, Libro bianco, c. 115v). La stessa motivazione spinse il comune di Casole d’Elsa a destinare a lui la carica podestarile dal luglio del 1298 al gennaio del 1299 (Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, n. 731).
L’episcopato di Ubertini fu caratterizzato dunque da un notevole carisma, da visibilità politica e da successi importanti. Esso si chiuse, però, con la perdita di Montecastelli, uno dei centri più importanti per l’episcopato volterrano. Nell’estate del 1299, infatti, i contingenti del comune di Volterra conquistarono il castello e ne espulsero il vicario vescovile. Il terminus post quem per collocare la presa del fortilizio è costituito da un’inquisitio del podestà cittadino in quel luogo, avvenuta il 9 agosto (Volterra, Archivio storico comunale, R Rossa, n. 1, c. 17r). I reggitori cittadini dovettero approfittare delle precarie condizioni di salute del vescovo.
Ubertini risulta infatti morto ante 12 settembre 1301, quando i volterrani deliberarono di dar manforte al capitolo della cattedrale durante la sedevacanza (ibid., A Nera, n. 2, II, c. 52r).
Fonti e Bibl.: Arezzo, Archivio storico diocesano e capitolare, Canonica, Diplomatico; San Gimignano, Biblioteca comunale, Libro bianco; Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Riformagioni; Volterra, Archivio storico diocesano, Diplomatico, Notarile Rossa, n. 2, c. 130r; Notarile Nera, n. 34, c. 12v; Mensa, n. 14, c. 85v; Volterra, Archivio storico comunale, A Nera, n. 2, II, c. 52r; R Rossa, n. 1, c. 17r; Biblioteca Guarnacci, ms. 8488: Tractatus pacis; ms. 8494, III, c. 3v; Les registres de Gregoire X (1271-1276), a cura di N.J. Giraud, I, Paris 1892; F. Schneider, Regestum Volaterranum, Rom 1907; Documenti per la storia della città di Arezzo, a cura di U. Pasqui, II, Firenze 1916.
G. Volpe, Volterra. Storia di vescovi signori, di istituti comunali, di rapporti tra Stato e Chiesa nelle città italiane. Secoli XI-XV, Firenze 1923, pp. 165-194; E. Panella, Priori di Santa Maria Novella di Firenze, 1221-1325, in Memorie domenicane, XVII (1986), pp. 253-284; Il Libro bianco del Comune di San Gimignano, a cura di D. Ciampoli, Siena 1996, ad ind.; M.L. Ceccarelli Lemut, I podestà e i capitani del Popolo a Volterra dal 1253 al 1300, in Quaderni del Laboratorio universitario volterrano, X (2005-2006), pp. 23-30; J. Paganelli, «Appellatur et nominatur Casula sive Casule episcopi Vulterrani». Qualche appunto sulla signoria dei vescovi di Volterra a Casole (XIII-inizi del XIV sec.), in Miscellanea storica della Valdelsa, CCXXII (2016), 1, pp. 37-62; Id., «Et fuit de Scolaribus de Florentia». Un profilo di Alberto vescovo di Volterra (1261-69), in Rassegna volterrana, XCIII (2016), pp. 109-156; Id., «Commissio monetam cudendi». L’apporto delle fonti scritte per la zecca di Alberto vescovo di Volterra (1261–69), in Annali dell’Istituto italiano di numismatica, LXIII (2017), pp. 397-402; Id., «Pretiosum pannum cum Dei et beate Marie Virginis adiutorio Vulterras deferret». Un furto sacro nella Volterra dei guelfi e dei ghibellini, in Archivio storico italiano, CLXXVII (2019), 2, pp. 353-368.