SAMPANTE, Ranieri
– Nacque a Pisa intorno alla metà del Duecento da Gualterotto Sampante, anch’egli giudice; non è noto il nome della madre.
La famiglia era forse originaria del piviere di San Lorenzo alle Corti, a pochi chilometri dalla città, dove possedeva un consistente nucleo patrimoniale. Tuttavia i Sampante sono attestati a Pisa già negli anni Settanta del XII secolo. Nonostante i numerosi indizi di una posizione sociale piuttosto elevata, non presero parte alla vita politica nella prima metà del Duecento. Nemmeno è attestato, fino alla fine del Duecento, un loro impegno nel commercio. Si trattava quindi probabilmente di una famiglia di proprietari terrieri agiati che, nonostante le buone relazioni, non riuscirono a integrarsi in una militia cittadina ormai in via di chiusura.
Il padre Gualterotto sembra essere stato il primo membro della famiglia a intraprendere gli studi di diritto. Il suo decollo politico coincise con l’affermazione del popolo nel 1254: fu, infatti, insieme a Gherardo da Fagiano e Ranieri da Sancasciano, uno dei tre giuristi che misero le proprie competenze culturali e professionali al servizio dei populares giunti al potere. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, mentre il popolo era impegnato a consolidare la propria egemonia e a ridisegnare il sistema istituzionale, Gualterotto godette di grande influenza politica, sedette tra gli anziani, la massima magistratura del Comune popolare, e fu incaricato di varie importanti missioni diplomatiche.
Il giudice Ranieri comparve improvvisamente sulla scena politica cittadina nell’aprile del 1288, quando fu nominato da Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti, in quel momento signori di Pisa, procuratore del Comune per trattare la pace che avrebbe concluso la guerra con Genova, che quattro anni prima aveva distrutto la flotta pisana nella disastrosa battaglia della Meloria.
Questa improvvisa ribalta politica non è probabilmente da interpretare come un’attestazione di vicinanza ai signori. A fare pressioni per la conclusione della pace furono i prigionieri pisani rinchiusi nelle carceri genovesi dopo la sconfitta della Meloria, tra i quali c’erano molti degli oppositori di Ugolino e Nino, convinti che la cessazione dell’emergenza esterna avrebbe privato i due signori della base del loro potere. È probabile che la scelta di Ranieri sia stata caldeggiata proprio da loro.
Tale circostanza sembrerebbe confermata dal ruolo di primissimo piano che Sampante svolse dopo che, nell’estate del 1288, una rivolta organizzata dalle maggiori famiglie dell’aristocrazia ghibellina e guidata dall’arcivescovo Ruggieri Ubaldini pose fine alla diarchia signorile.
Questo episodio rappresenta una data spartiacque nella storia comunale di Pisa. La rifondazione del Comune di popolo negli anni successivi fu accompagnata da un ricambio quasi totale del gruppo dirigente che si esprimeva nell’anzianato. I Sampante furono una delle poche famiglie del ‘primo popolo’ pisano che mantennero una notevole visibilità anche dopo il 1288.
Il giudice Ranieri fece anzi parte del ristretto gruppo di cittadini che si incaricarono di gestire la difficile transizione verso il nuovo ordine. Pisa si trovava ad affrontare una grave emergenza. Dopo la sconfitta della Meloria, approfittando dello sbandamento delle forze pisane, gli eserciti della lega guelfa, guidati dai fiorentini, avevano occupato ampi settori del contado. Nel 1289 i pisani chiamarono in soccorso il conte Guido da Montefeltro, capo dei ghibellini di Romagna, al quale con un mandato triennale attribuirono poteri quasi illimitati, derivanti dalla somma delle cariche di podestà, capitano del popolo e capitano di guerra. Il conte e il suo esercito riconquistarono palmo a palmo, non senza difficoltà, le fortezze e le terre perdute.
È proprio negli anni di Guido da Montefeltro che si delinea chiaramente nelle fonti pisane una sorta di quadrumvirato composto da due giudici, Ranieri Sampante e Gherardo Fagioli, e due mercanti, Banduccio Bonconti e Iacopo da Fauglia.
L’influenza politica dei quattro doveva essere evidente agli occhi dei contemporanei: un cronista cittadino li definisce «quelli, che più savi erano tenuti a Pisa» (Fragmenta historiae pisanae..., a cura di L.A. Muratori, 1798, 1983, col. 666). È possibile che il gruppo dirigente popolare avvertisse la necessità di affidarsi a una salda leadership per controbilanciare le ampie prerogative concesse a Montefeltro, che rischiavano di trasformarsi in un varco per l’affermazione di poteri di natura signorile. In ogni caso, i quattro «savi» mantennero questo ruolo anche dopo l’uscita di scena di Guido nel 1293. Fino alla presa di potere di Uguccione della Faggiola, nel 1314, essi dettarono di fatto la linea politica del Comune, esercitando una forma di potere personale certo difficile da definire, e piuttosto sfuggente, ma comunque assai incisiva. Si trattava di una sorta di ‘signoria collegiale’ non formalizzata, fondata sul carisma personale dei quattro e soprattutto sulla loro capacità di gestire un’ampia rete di relazioni e aggregare consenso all’interno del gruppo dirigente cittadino.
I quattro furono costantemente presenti nell’anzianato e gestirono in prima persona, attraverso la regolare partecipazione alle delegazioni diplomatiche, i rapporti con i poteri esterni.
Tra il 1289 e il 1309 Ranieri fu anziano per ben 11 volte; nel luglio del 1293 fu uno dei procuratori pisani alla firma del trattato di pace che pose fine alla guerra contro la lega guelfa (la cosiddetta pace di Fucecchio); nel 1296 fu inviato, insieme a Iacopo da Fauglia, come ambasciatore presso papa Bonifacio VIII per chiedere la revoca dell’interdetto scagliato contro la città da Niccolò IV nel 1289.
In quegli anni Ranieri maturò una particolare competenza nelle questioni sarde. Nel 1294 fu nominato castellano del castello di Cagliari, piazza commerciale di primo piano controllata dai pisani, e nel 1297 fu ambasciatore del Comune di Pisa presso il giudice di Arborea. Nel 1304 il giudice fece parte della commissione incaricata della correzione del breve (statuto) di Villa di Chiesa (l’odierna Iglesias).
All’inizio del Trecento l’élite cittadina abbandonò la politica di pacificazione interna ed esterna, legata alla necessità di consolidare il nuovo equilibrio creatosi dopo la cesura del 1288. Pisa rientrò in gioco nella competizione per l’egemonia regionale, proponendosi come alternativa a Firenze. Anche il nuovo corso politico, comunque, fu definito e gestito dal quadrumvirato affermatosi dopo il 1288.
Nel 1304, per la prima volta dal 1293, fu nominato un capitano di guerra, nella persona di Salinguerra da Ferrara. La decisione era legata alla necessità di disporre di una salda guida militare per i crescenti impegni del Comune sullo scacchiere regionale. Al capitano di guerra furono affiancati quattro consiglieri, due di «quelli, che più savi erano tenuti a Pisa», Ranieri Sampante e Banduccio Bonconti, e due nobili, Pellaio Chiccoli dei Lanfranchi e Guido Zaccio. Come era accaduto ai tempi di Guido da Montefeltro, i quattro avevano probabilmente il compito di arginare il potere di Salinguerra. Nell’ottobre di quello stesso anno Ranieri Sampante, insieme a Banduccio Bonconti e Iacopo da Fauglia, fece parte di una commissione nominata dagli anziani con il compito di comporre i testi da affidare agli ambasciatori pisani impegnati in due importanti missioni diplomatiche, una a Genova e l’altra presso la Curia pontificia. Il 1304 può per molti versi essere considerato il momento culminante dell’influenza quasi signorile dei quattro personaggi.
Ranieri fu anziano per l’ultima volta nel luglio-agosto del 1309 e risulta già defunto nel gennaio del 1311; morì quindi plausibilmente nel corso del 1310.
Lasciò tre figli maschi, Iacobo, Vanni e Gualterotto. Quest’ultimo venne avviato alla carriera ecclesiastica, mentre il primo, nelle intenzioni del padre, era destinato a raccogliere la sua eredità politica. Iacobo fu infatti l’unico giudice in questa generazione dei Sampante e fu anziano per la prima volta nel novembre-dicembre del 1310, probabilmente poco dopo la morte di Ranieri. All’inizio del 1311 egli sposò Ghecca, figlia di Piero, figlio di Banduccio Bonconti, scelto a sua volta dal padre per succedergli nel ristretto gruppo di potere che guidava la politica pisana. Ranieri Sampante era già defunto, ma è certo che le famiglie si fossero accordate mentre egli era ancora in vita, per un matrimonio che chiaramente rientrava nel tentativo di dare continuità plurigenerazionale all’influenza di «quelli, che più savi erano tenuti a Pisa». La presa di potere di Uguccione della Faggiola nel 1314, tuttavia, pose fine traumaticamente all’esperienza del quadrumvirato. Banduccio Bonconti, il leader dei quattro savi, fu decapitato insieme al figlio Piero, suocero di Iacobo Sampante. Quest’ultimo recuperò una posizione politica di primo piano negli anni della signoria dei Donoratico, dopo il 1316, ma in quella fase non si ricostituì più nulla di simile a quella sorta di ‘signoria collegiale’ che aveva governato Pisa per venticinque anni.
Fonti e Bibl.: Fragmenta historiae pisanae autore anonimi, in RIS, a cura di L.A. Muratori, XXIV, Mediolani 1798, rist. anast. Bologna 1983, coll. 643-667 (in partic. col. 666); Breve Vetus seu Chronica Antianorum Civitatis Pisarum, a cura di F. Bonaini, in Archivio storico italiano, 1845, vol. 6, pp. 647-792, disponibile anche on-line all’indirizzo http://icon.di.unipi.it/ricerca/html/bvc. html (9 ottobre 2017).
A. Boscolo, Un giurista pisano: R. S., in Anuario de estudios medievales, 1966, vol. 3, pp. 489-498 (con qualche imprecisione); R. Taranto, Una famiglia di giudici e mercanti pisani: i Sampante (secc. XII-XIV), tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 1998-99, ad ind.; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004, ad indicem.