GAMBACORTA, Ranieri
, Ranieri. - Uno dei numerosi figli di Gherardo di Andrea (nove, secondo un cronista pisano), nacque a Pisa intorno alla metà del secolo XIV, probabilmente all’inizio degli anni Cinquanta. Ricopri l’anzianato per la prima volta nel 1381.
Tra il 1381 e il 1393 tenne la carica di amministratore della rocca arcivescovile di Montevaso: per questo i documenti coevi lo ricordano come «vicecomes de Montevaso».
La rocca era parte di un dominio che l’arcivescovo di Pisa possedeva nel territorio situato tra Pomaia e Chianni, estendendosi in parte nella diocesi di Volterra. Montevaso, che aveva una certa importanza anche per lo sviluppo demografico conosciuto dalla zona nel XIII secolo, era governata da un visconte che poteva a sua volta delegare un vicario e concedere beni in feudo. La carica, ambita dalle più importanti famiglie cittadine, era stata già tenuta da Bartolomeo di Buonaccorso Gambacorta nel 1352-54 e dal padre del G. fino al 1381.
Durante il periodo della signoria dello zio Pietro sulla città di Pisa (1369-92), il G. si meritò, al pari dei suoi fratelli Lorenzo e Priamo, la fama di uomo violento e sprezzante degli ordinamenti cittadini in grazia della propria parentela con il signore. Agli eccessi compiuti dal G. viene riservata un’intera rubrica di un’anonima cronaca di fatti pisani, che ci informa anche che questi aveva ottenuto il cavalierato in Francia: «questo Messer Ranieri [...] avea grande entrata, e anco non si contentava, e dessi a mal fare. Elli si diè a corseggiare, e armòe una Galea con più d’ottanta uomini Pisani e sbanditi del Comune di Pisa; & elli anco era sbandito [...] ma perché era nipote di Messer Piero, andava e venia per quello di Pisa a suo beneplacito» (Cronica di Pisa, col. 1084). Stando alla medesima fonte, il 2 apr. 1389 il G. giunse a Pisa con una Galea armata a Napoli, compiendo atti di pirateria ai danni di barche pisane e forestiere, suscitando proteste, come attestato da altra fonte, da parte dei Fiorentini (Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, 23, c. 20); quindi ripartì recandosi ad Avignone.
Dopo l’uccisione di Pietro Gambacorta, avvenuta il 22 ott. 1392, il G. riuscì a fuggire dalla città e, con l’aiuto dei Fiorentini, organizzò numerose azioni per insidiare il governo di Jacopo Appiani. Fin dal 1393, infatti, il nuovo regime pisano si trovò minacciato dai Gambacorta che avevano alloro seguito numerosi fuorusciti: Francesco Gambacorta aveva occupato la rocca di Burlano (presso Saline di Volterra), mentre Priamo, fratello del G., era insediato nella rocca di Pietracassa; il G., da parte sua, stabilì Montevaso come base delle proprie iniziative militari ai danni dell’ Appiani: la rocca, a differenza di Burlano e Pietracassa, che erano situate al centro di territori dove i Gambacorta avevano da tempo estesi possedimenti fondiari, poté essere acquisita proprio perché, centro amministrativo di un feudo vescovile, era già stata, come si è visto, affidata all’amministrazione dei Gambacorta.
Il 28 sett. del 1392 Ladislao di Durazzo, re di Napoli, insignì del titolo di maresciallo del Regno il G.,«qui in militaribus artìbus se laudabiliter exercet» (Barone, p. 727). I marescialli, date le incombenze della carica, erano personaggi eminenti alla corte napoletana e Ladislao scelse in quel tomo di anni uomini di provato valore militare o di sicura devozione. Non ci è dato sapere in quale occasione il G. avesse dato prova delle sue capacità a Ladislao; si può solo ricordare che fin dalla fine del sec. XIII i Gambacorta intrattenevano importanti relazioni commerciali e finanziarie nel Regno di Napoli e in particolare con la casata angioina. Nel giugno del 1402, a capo di alcuni sbanditi del Comune di Pisa, il G. organizzò la ribellione del castello di Bientina al commissario del duca di Milano; un anonimo cronista fiorentino informa della voce corrente che il G. avesse agito in accordo con Firenze (Cronica volgare di anonimo fiorentino, p. 277). Nel 1408 si trovava a Lucca, in occasione della permanenza di papa Gregorio XII in quella città, forse su mandato di re Ladislao.
Dopo questa data non è dato di reperire ulteriori notizie sulla sua vita. Mori certamente dopo il 1418, dato che, ancora nel novembre di quell’anno si rivolgeva, sempre con il titolo di maresciallo «regni Siciliae» (Carteggio ..., p. 489), al signore di Lucca Paolo Guinigi raccomandando Antonio di Puccino da Pisa, detenuto nelle carceri della città.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Signori, Missive, 23, c. 20; 26, c. 20r; Pisa, Arch. della Mensa arcivescovile, filza 15 (Vari notan), 1376-1428, c. 92v; Cronica di Pisa, in LA. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, col. 1084; Cronica volgare di anonimo fiorentino già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di E. Bellondi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXVIII, 2, p. 277; Carteggio di Paolo Guinigi. 1400-1430, a cura di L Fumi - E. Lazzareschi, in Memorie e documenti della storia di Lucca, XVI, Lucca 1925, p. 489; N. Barone, Notizie storiche tratte dai registri di Cancelleria di Ladislao di Durazzo, in Arch. stor. per le provo napoletane, XII (1887), p. 727; P. Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti, Pisa 1910, pp. 99 s.; E. Virgili, Per la storia del visconte di Montevaso, in Boll. stor. pisano, XXXVI-XXXVIII (1967-69), pp. 37-49; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Napoli 1969, pp. 156, 168; O. Banti, Iacopo d’Appiano. Economia, società e politica del comune di Pisa al suo tramonto (1392-1399), Pisa 1971, p. 155; M. Tangheroni, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 1973, pp. 165 s.