RANIERI di Pisa
RANIERI di Pisa (San Ranieri; Ranieri Scacceri). – Nacque a Pisa intorno al 1115 da Glandolfo e da Mingarda, che abitavano nella parte orientale di Chinzica, zona urbana a sud dell’Arno: probabilmente non lontano dalla chiesa di San Martino, uno dei cui canonici, il presbyter Enrico, è ricordato come magister di Ranieri «negli anni della puerizia» (Zaccagnini, 2008, p. 330). La tradizione, piuttosto tarda, che assegna alla famiglia il cognome Scacceri (attestato in città solo nel Duecento inoltrato) è del tutto inattendibile. La famiglia era comunque legata agli ambienti mercantili, perché verso il 1135 Ranieri si imbarcò per la Terrasanta, «dopo aver messo insieme merci sue e dei suoi soci, per commerciare e ottenere un guadagno» (p. 333). Già da qualche anno, d’altronde, egli aveva sentito il richiamo della vita religiosa e aveva iniziato a praticare il digiuno. Secondo il racconto agiografico, a fargli sentire l’esigenza di «servire Dio» era stato l’incontro con un «uomo di Dio» di nome Alberto Leccapecora, il quale, pur essendo un laico, viveva «presso i monaci» (p. 325) del monastero benedettino urbano di San Vito.
La scelta di dedicarsi completamente a una vita di preghiera, penitenza e povertà maturò tuttavia in Terrasanta: dopo aver esercitato per qualche tempo l’attività mercantile in località costiere, Ranieri cedette ai soci la propria parte di merce e un venerdì santo, recatosi a Gerusalemme, salì sul Calvario e, nella cappella del Golgota, si spogliò dei propri abiti, rivestendosi con una 'pilurica' o 'sclavina', ossia una rozza veste penitenziale. Quindi si rifugiò per qualche giorno sulle mura della città, condividendo la vita degli eremiti che vi abitavano, ma ben presto si allontanò da loro (secondo l’agiografia, perché non accettavano la sua decisione di rinunciare completamente al vino e bere solo acqua), andando ad abitare presso una «certa matrona religiosa» (p. 340 s.) e passando le giornate a pregare nella chiesa del Santo Sepolcro. Qui Ranieri precisò il proprio regime alimentare penitenziale, assumendo, oltre all’acqua, solo un po’ di pane di infima qualità, e visse così per circa sette anni, concedendosi in seguito un modesto arricchimento del vitto. Nel frattempo fece frequenti pellegrinaggi in altri luoghi biblici ed evangelici come il sepolcro di Abramo ad Hebron, Nazareth, Betlemme, il Monte della Quarantena e il Tabor.
Verso il 1153-1154 Ranieri decise di tornare a Pisa. Si imbarcò sulla nave di Ranieri Bottaccio dei Gualandi (reduce da una missione diplomatica in Egitto per conto del Comune di Pisa) e, una volta arrivato in città, andò a vivere presso il monastero vittorino di S. Andrea di Chinzica, dove si trovava la tomba della madre. Dopo circa un anno, «nei giorni della Pentecoste» (p. 322), cominciò a esortare alla conversione e alla penitenza i fedeli che sempre più numerosi accorrevano a fargli visita, e iniziò anche a operare dei miracoli di guarigione, attraverso i pani e, più spesso, i recipienti pieni di acqua che gli venivano portati perché li benedisse: donde il soprannome 'dell’acqua', con il quale da allora in poi fu correntemente chiamato a Pisa. Dopo qualche tempo si trasferì a San Vito, riallacciandosi così all’esperienza vissuta venti anni prima dal suo ispiratore Alberto (che nel frattempo era andato in Francia e vi era morto): come lui, Ranieri restò sempre nello stato laicale. A San Vito portò con sé il canonico della cattedrale Guido 'Ciprinella', a lui devoto, al quale presto si affiancò il confratello Benincasa (e forse si aggiunsero anche altri canonici).
Questo spiega perché, alla sua morte (avvenuta in San Vito il 17 giugno 1160), la sua salma fu subito trasportata in Duomo e lì tumulata, dopo solenni esequie celebrate dall’arcivescovo Villano. Nei mesi successivi i canonici devoti a Ranieri si preoccuparono di annotare i miracoli da lui compiuti in vita e, soprattutto, quelli avvenuti dopo la sua morte: la raccolta fu completata nel primo anniversario del decesso e, contestualmente, fu redatta una prima Vita di colui che a Pisa era ormai considerato a ogni effetto un santo. Mentre il primo testo è giunto fino a noi nella forma originaria, la vera e propria Vita sancti Raynerii fu sottoposta nel 1165 a una radicale riscrittura per opera di uno solo dei canonici che avevano attorniato Ranieri nei suoi ultimi anni, Benincasa.
A differenza dell’arcivescovo Villano e di quasi tutti gli altri membri del Capitolo della cattedrale, Benincasa condivise la scelta del Comune di puntare tutto sull’alleanza con Federico I Barbarossa, anche a costo di conformarsi alla decisione dell’imperatore di riconoscere come papa legittimo non Alessandro III, ma il suo competitore Vittore IV e poi, dall’aprile del 1164, Pasquale III. L’operazione di riscrittura della Vita e di ‘riplasmazione’ della figura di Ranieri compiuta da Benincasa, molto probabilmente in contemporanea con l’allestimento in Duomo, a spese del Comune, di un sepolcro più elegante per le spoglie del 'santo', si spiega appunto nel contesto politico-religioso del 1165. Al fine di acquistare l’autorevolezza necessaria a convincere la cittadinanza e il clero di Pisa della giustezza della scelta di negare l’obbedienza ad Alessandro III (ciò che proprio in quell’anno, a Würzburg, Barbarossa si impegnò solennemente a fare con un giuramento pronunciato insolitamente in prima persona), Benincasa si presentò come l’unica persona in grado di rivelare la vera natura della santità di Ranieri, e fece di lui una sorta di reincarnazione di Gesù Cristo, dotato da Dio Padre del potere squisitamente ‘cristico’ di scacciare i demoni. Così, una volta rientrato a Pisa, e fino alla morte, Ranieri non avrebbe fatto altro che liberare corpi di ossessi dai demoni che se ne erano impadroniti, e le fasi precedenti della sua vita furono rilette alla luce di tale missione ricevuta da Dio, della quale Benincasa proclamò di essere a conoscenza grazie alla rivelazione accordatagli da Ranieri stesso.
Poiché Benincasa fece sparire la versione originaria della Vita, il testo da lui riplasmato rimase l’unica fonte d’informazione sulla vicenda biografica di Ranieri (salvo i particolari offerti dai pochi racconti dei miracoli operati in vita dal 'santo', contenuti nella raccolta del 1161, che Benincasa ritenne di non toccare, nonostante vi si trovasse qualche contraddizione con la Vita da lui riscritta).
Mentre nel capitolo I della Vita (che Benincasa lasciò pressoché intatto) l’episodio chiave dell’esperienza religiosa, schiettamente penitenziale, vissuta da Ranieri in Terrasanta è la spogliazione sull’altare del Golgota, e al soggiorno del santo presso S. Andrea in Chinzica (con la relativa predicazione esortativa da lui lì praticata) è dato ampio risalto, nel prosieguo della Vita la rivelazione della missione ‘cristica’ di Ranieri è contenuta nel racconto di una singolare esperienza mistica vissuta sul Monte della Quarantena, e l’anno trascorso presso S. Andrea, dopo il ritorno a Pisa, è liquidato come una breve e trascurabile parentesi, in quanto in quel momento Ranieri era assistito da Guido Ciprinella, che lo avrebbe poi tradito, esattamente come Giuda aveva fatto con Gesù. In realtà, è facile dimostrare che tale tradimento non ci fu, ed entrambi i canonici rimasero accanto a Ranieri fino alla sua morte, promuovendone quindi di comune accordo il culto per almeno un anno, salvo schierarsi su posizioni opposte quando, dal 1162 in avanti, la scelta pro o contro Alessandro III diventò sempre più impellente. Nel 1165 Guido Ciprinella era già morto e Benincasa poté così trasformarlo a posteriori in un nuovo Giuda, il cui tradimento sarebbe stato profetizzato dallo stesso Ranieri a una donna della nobiltà pisana, Berta, madre di Suavizzo degli Orlandi. Costui divenne quindi il ‘garante’ dell’operazione agiografica di Benincasa.
Quando, all’inizio del 1167, il cancelliere imperiale Rinaldo di Dassel impose al Comune di Pisa la cacciata dell’arcivescovo Villano e la sostituzione con un presule disposto a farsi consacrare da Pasquale III, Benincasa fu il prescelto. Si può pensare che nei tre anni in cui fu alla testa della Chiesa pisana egli incentivasse al massimo il culto di Ranieri come 'nuovo Gesù Cristo' e potente esorcista. Nel 1170 il Comune tornò però a riconoscere Alessandro III e richiamò l’arcivescovo Villano; il culto perdette allora rapidamente di significato, così come divenne impensabile ottenere da quel papa, e dai suoi successori, la canonizzazione di Ranieri.
Solo lentamente si tornò, a Pisa, a venerare il Ranieri predicatore di penitenza descritto nel capitolo I della Vita, e soprattutto operatore di miracoli tramite l’acqua benedetta sulla sua tomba, di cui tanti esempi erano stati forniti dalla raccolta compilata nel 1161. Alcuni di quei miracoli erano stati compiuti in favore di marinai che stavano per fare naufragio, e nel corso del Duecento la figura di Ranieri come santo protettore dei pisani in mare tornò in auge, sì che lo statuto del Comune promulgato nel 1287 proclamò il 17 giugno giorno festivo. All’inizio del Trecento la tomba in Duomo fu trasformata in altare (l’arca fu scolpita da Tino di Camaino); nella seconda metà del secolo, al tempo della signoria di Pietro Gambacorta, alcuni episodi della Vita e alcuni miracoli (ma non certo quelli demonologici) divennero il tema di un ciclo di affreschi sulla parete meridionale del Camposanto.
La canonizzazione ufficiale da parte della Sede apostolica non sarebbe mai arrivata. In compenso, fu sufficiente una semplice autorizzazione a tributargli un culto (concessa dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1664) per far sì che, prima della fine del secolo XVII (e con la spinta determinante dei granduchi medicei), Ranieri sostituisse la Vergine Assunta come patrono principale della città e della diocesi di Pisa.
Fonti e Bibl.: Tutte le indicazioni sui manoscritti, le edizioni e gli studi fino agli anni recenti sono in G. Zaccagnini, La «Vita» di san R. (secolo XII). Analisi storica, agiografica e filologica del testo di Benincasa. Edizione critica del codice C181 dell’Archivio Capitolare di Pisa, Pisa 2008 (ma 2011).
Frutto del rinnovato interesse per la figura e il culto di Ranieri, stimolato dal Giubileo del 2000, sono altresì il ricco repertorio di S. Burgalassi, San R. attraverso nove secoli di storia pisana, Pisa 2004 e il volume Intercessor Rainerius ad patrem: il santo di una città marinara del XII secolo, a cura di P. Castelli - M.L. Ceccarelli Lemut, Pisa 2011, che raccoglie i contributi presentati a due incontri di studio pisani, tenutisi l’uno nel giugno del 2000 e l’altro nell’ottobre del 2010; a esso è seguito L’ 'invenzione’ di R. il taumaturgo tra XII e XIV secolo: agiografia ed immagini, a cura di P. Castelli - M.L. Ceccarelli Lemut, Pisa 2012. L’operazione compiuta da Benincasa è stata descritta da M. Ronzani, R., Benincasa e il Barbarossa. Peripezie di un culto nella Pisa dei secoli XII-XIV, Pisa 2015.