RANIERI da Perugia
RANIERI da Perugia. – Nacque nell’Isola Polvese del lago Trasimeno poco prima del 1190. Ignota è l’identità dei genitori; la famiglia doveva comunque avere buone disponibilità finanziarie per consentire a Ranieri ancora adolescente di frequentare lo Studio di Bologna.
Qui seguì probabilmente i corsi di arti conseguendo il titolo di magister, ma anche i corsi di diritto (senza tuttavia concluderli con il dottorato). A Bologna fissò la sua residenza e il centro dell’attività professionale. Nominato giudice e notaio dall’imperatore Ottone IV nel 1210, aprì poco dopo una sua scuola di notariato.
Ranieri esercitò anche quale notaio. Il primo documento noto, datato 21 marzo 1212, è nella sua caratteristica scrittura, una minuscola notarile graficamente molto accurata, in evidente evoluzione verso la gotica, con il signum tabellionis, altrettanto caratteristico, ad aprire la sottoscrizione: «Ego Ranerius de Insula Pulvesi auctoritate imperiali iudex et notarius…». Tre anni dopo, il 6 settembre 1215, al termine del testo di una sentenza in una causa di decime, la formula era mutata: «Ego Rainerius Perusinus de Porta Nova Bononie imperiali auctoritate iudex et notarius…». A questa formula si attenne in tutti gli altri documenti redatti da notaio o nei quali fu parte o testimone. Sottolineare il legame con un quartiere della città fu probabilmente la manifestazione dell’acquisita cittadinanza bolognese, stato consono a incarichi ufficiali, testimoniati pochi anni dopo. Il quartiere di Porta Nova, inoltre, fu sempre quello di sua residenza; qui, in un edificio di proprietà dei signori di Monteveglio, erano le sue scuole, come attesta lo stesso Ranieri il 12 maggio 1221; e per abitanti ed enti religiosi del quartiere – la chiesa di S. Tecla, il monastero di S. Salvatore – scrisse in questi anni in qualità di notaio.
Poco si conosce della sua vita privata. Aveva acquisito in proprietà e in enfiteusi diversi appezzamenti di terra con vigna, bosco e arativo sul colle del Remondato (ora di S. Michele in Bosco), ma non pare abbia incrementato tale investimento. Il 5 aprile 1227, a integrare la cessione al monastero di S. Michele in Bosco di una parte di detta terra, la moglie Anastasia rinunciò alla garanzia per dote sui beni ceduti. È il solo cenno di questo legame familiare, né è stato possibile individuare la famiglia d’origine della moglie.
Più ampie sono le notizie della sua attività professionale, specie quella di docente. Tra il 1214 e il 1216 completò il Liber formularius, un testo per la scuola e la pratica notarile molto diverso da quelli all’epoca in uso. Nel proemio Ranieri dichiara il suo debito verso gli autori precedenti, consapevole peraltro di aver composto un’opera sostanzialmente nuova.
Nuova nella struttura: le formule, prima come imbreviatura quindi del relativo instrumento, sono divise in due sole parti, sulla base della distinzione del diritto di proprietà canonizzata dai glossatori. La prima parte raccoglie le formule relative agli atti che modificavano la titolarità del dominio diretto: vendita, donazione, disposizioni di ultima volontà. La seconda parte le formule attinenti al dominio utile e al possesso: enfiteusi, locazioni, contratti d’opera e di società, mutuo, pegno e così via. Nuova nella presenza di un breve trattato teorico, diviso anch’esso in due parti. La prima parte, propedeutica, segue il proemio e definisce, in stretta sintesi e con riferimento al diritto romano, i parametri di una corretta attività notarile. La seconda, in chiusura, raccoglie nozioni e formule relative alla nomina dei notai e alla loro potestà di certificazione. Nuova, infine, la presenza di una traccia essenziale del processo civile, tramite le formule degli atti la cui stesura era compito dei notai.
Il Liber formularius incontrò il favore della scuola. Lo attestano i codici ancora oggi presenti, almeno sei, tre dei quali utilizzati da Augusto Gaudenzi, che nel 1890 ne ha curato la pubblicazione con il titolo, non del tutto appropriato, di Ars notaria. Lo attesta la ripresa quasi integrale di molte parti del Liber in opere di altri maestri di notariato, quali Bencivenne e l’anonimo maestro di Arezzo.
Il rilievo assunto come docente di notariato fu probabilmente il motivo che indusse il Comune di Bologna a coinvolgere Ranieri in incarichi ufficiali. Allo stato della ricerca è solo ipotetica la sua presenza nel gruppo di sapientes che nel 1219 elaborò il provvedimento che dette vita al Liber notariorum, l’elenco dei notai legittimati ad agire in città e nel contado (Ferrara, 1977, pp. 53 s.); nel quale Liber, tra i notai attivi da meno di dieci anni, fu registrato anche «magister Rainerius Perrusinus notarius», in possesso del privilegio di notariato dell’imperatore Ottone (IV). Certo è invece che nello stesso anno, o subito dopo, Ranieri fu chiamato a coordinare il lavoro di nove notai incaricati di trascrivere in un cartulario, il Registro grosso, dai documenti raccolti nell’archivio del Comune, quelli di preminente interesse, specie per la gestione dei beni pubblici. Ranieri curò di persona la copia dei primi documenti, dal 1116 al 1203, modificando per l’occasione la sua usuale scrittura accentuandone i moduli più tipicamente cancellereschi. I criteri da lui adottati – la copia integrale fino ai signa tabellionis, l’ordinamento strettamente cronologico, gli specchi di scrittura – determinarono la struttura unitaria dell’opera, suggellata dalla complessiva cartulazione per quaderni di mano dello stesso Ranieri. Questi scrisse anche l’ultimo documento, la divisione del contado di Bologna fra i quartieri cittadini, deliberata il 30 novembre 1223, data molto prossima, pare, a quella di conclusione dell’opera.
La redazione del Registro grosso mise Ranieri a contatto con la documentazione prodotta da e per il Comune di Bologna in oltre un secolo di vita. Ne venne influenzata la sua attività di docente, sollecitata dai numerosi allievi delle scuole di preparazione al notariato, chiamati in numero crescente a ricoprire incarichi nella struttura amministrativa e soprattutto giudiziaria del Comune.
Già dal 1221 per la registrazione nel Liber notariorum non bastò più il privilegio di notariato, che richiedeva comunque sicure basi professionali, ma occorreva la verifica dell’effettiva preparazione tramite l’esame di un giudice della curia del podestà. E in diversi casi, per entrambi i requisiti – privilegio ed esame – restò traccia dell’attività di Ranieri. Nel 1230 affiancò il giudice incaricato dell’esame di notariato. Tra il 1225 e il 1237 scrisse gli atti di concessione di oltre cinquanta privilegi di notariato da parte dei conti di Panico; e i nuovi notai erano, in gran parte, suoi allievi.
Dal 1237, mentre il possesso del privilegio di notariato veniva sempre meno citato nel Liber notariorum, si faceva più incisiva la verifica della preparazione dei candidati. In questo contesto nasceva nello Studio l’ars notariae, «formula programmatica che intendeva raggiungere la tecnicizzazione (ars) della antica pratica tabellionale applicando ad essa i metodi e le conquiste della scienza prima, che per lo Studio di Bologna era scienza giuridica» (Orlandelli, 1965, p. 2). E Ars notariae è appunto il titolo della seconda opera di Ranieri, composta in gran parte tra il 1226 e il 1233; opera non del tutto rifinita, almeno nei codici rimasti. È ancora una raccolta di formule, articolata in testo e glosse dello stesso Ranieri, ma con una struttura che sviluppa al massimo i criteri innovativi del Liber formularius.
Essa è divisa in tre parti: contratti, atti giudiziari, disposizioni di ultima volontà, con riferimento, spiega lo stesso Ranieri, all’agire dell’uomo, cui soccorre l’attività del notaio quando acquisisce un diritto (paciscendo), lo difende in giudizio (litigando), lo trasmette per successione (disponendo). La prima parte ha un’ampia premessa teorica in cui Ranieri fissa 31 tipi di patti cui riferire tutti i contratti inter vivos e ne definisce i requisiti per persone e per cose. Seguono le formule dei contratti nella espressione del solo instrumento, specchio della sostanziale unificazione del valore di tutte le scritture notarili: una serie di esempi che in qualche caso, come nei patti dotali, è però meno completa di quella del Liber formularius. Nella seconda parte dedicata al processo, Ranieri sviluppa in un vero trattato la traccia del Liber formularius. È l’innovazione più rilevante e anche il riconoscimento del ruolo di ausiliario delle parti in causa, sostenuto sempre più spesso dal notaio, accanto all’avvocato, specie per gli aspetti strettamente procedurali. Questa parte è divisa in due sezioni, un formulario di libelli e un ordo iudiciarius. Il formulario ha in premessa la definizione del processo, di coloro che vi intervengono, dei loro requisiti e delle posizioni assunte. Segue una lunga raccolta di libelli, testi simili, in realtà, alle note di ricezione delle querele orali, compito sempre svolto dai notai. La raccolta è esemplata, avverte lo stesso Ranieri, sul De ordine iudiciario di Roffredo da Benevento, appena pubblicato.
La seconda sezione si apre con il quadro in 22 capitoli del processo civile, successivamente illustrati con frequenti riferimenti alla procedura in uso a Bologna. Chiaro ed essenziale nell’intero testo, Ranieri si sofferma ovviamente sulle fasi in cui prevalente era la funzione dei notai e delle loro scritture. Il colore locale è ancora più evidente nell’ultima rubrica, dedicata al processo penale. La puntuale descrizione, in chiusura, della procedura di bando si conclude ricordando la presenza nella curia di Bologna di numerosi uffici, ordinari e straordinari, e con la promessa di Ranieri di dedicare loro un successivo lavoro. La terza parte ripete il modulo espositivo delle prime due: una densa premessa sul diritto successorio, il quadro delle disposizioni e quindi le formule, integrate da note a guidare la scelta del notaio. La rubrica finale annuncia una sorta di documento generale, ma il contenuto è soprattutto una breve guida per i notai incaricati di registrare le delibere dei consigli comunali, formule che avevano già richiamato l’attenzione dei maestri di ars dictandi: un’ulteriore manifestazione dell’intento di Ranieri di estendere l’ambito dell’ars notariae a tutto il campo delle scritture notarili.
Questa seconda opera di Ranieri, a lungo non conosciuta dagli storici del diritto, è stata pubblicata da Ludwig Wahrmund nel 1917, sulla base essenzialmente di due codici parigini. L’edizione ha reso evidente il ruolo fondamentale sostenuto da Ranieri nell’evoluzione di questo insegnamento e dello stesso notariato. L’Ars notariae, con la sua struttura articolata in contratti, atti giudiziari e di ultima volontà e con lo stringente raccordo tra teoria e pratica, si impose nella scuola e condizionò la normativa comunale. Le opere dei successivi maestri di notariato nello Studio bolognese, Salatiele, Rolandino, Zaccaria di Martino, presero avvio dalla sua impostazione: recepita, interpretata, modificata, ma sempre base delle loro argomentazioni. La tripartizione dell’Ars notariae di Ranieri fu accolta dal Comune: nel 1251 uno statuto stabilì che l’esame di notariato doveva accertare la conoscenza delle formule di contratti, atti giudiziari e ultime volontà.
Nella scuola, volta alla preparazione a questo esame, Ranieri continuò la sua attività di docente. Nel 1249 il Liber notariorum segnalò per la prima volta accanto ai candidati il nome del magister representator che garantiva della loro preparazione. E la formula usata, «magister R.», indica, a mio avviso, proprio la presenza di Ranieri.
Proseguì anche la sua attività di notaio, testimoniata da atti per i monasteri di S. Salvatore e S. Michele in Bosco e per i membri delle famiglie Denari, Lambertini, de Armanno, Tebaldi. L’ultimo documento noto, scritto di sua mano, è datato 31 dicembre 1253. Non fu l’ultimo impegno di Ranieri come notaio, poiché si sa che il 22 luglio 1254 rogò una quietanza per conferimento dotale, rimasta allo stato di imbreviatura.
Morì probabilmente nel 1255. Il 27 dicembre di tale anno le sue imbreviature risultano affidate al notaio Rainerio Zagni, citato come suo nipote.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Comune - Governo, Atti enti religiosi, b. 1, n.11; S. Francesco, b. 3/4135, n. 48; b. 5/4137, n. 10; b. 7/4139, nn. 10, 12; b. 335/5078, nn. 4, 5; S. Michele in Bosco, b. 2/2174, nn. 4, 11, 54; b. 3/2175, n. 12; S. Salvatore, b. 16/2463, n. 1; b. 52/2499, nn. 8, 11 bis; archivio Lambertini, b. 1, n. 9; archivio Montanari Bianchini, b. 223, n. 3; Rainerii de Perusio, Ars Notaria, a cura di A. Gaudenzi, Bologna 1890; Die Ars Notariae des Rainerius Perusinus, a cura di von L. Wahrmund, in Quellen zur Geschichte des römisch-kanonischen Prozesses im Mittelalter, III, 2, Innsbruck 1917 (rist. Aalen 1962); Liber sive matricula notariorum comunis Bononie (1219-1299), a cura di R. Ferrara - V. Valentini, Roma 1980, pp. 8, 45-87, 119; Commissioni notarili. Registro (1235-1289), a cura di G. Tamba, in Studio bolognese e formazione del notariato, Milano 1992, pp. 383-446 (in partic. pp. 212, 237).
Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall’VIII al XX secolo, a cura del Consiglio nazionale del notariato, Milano 1961, pp. 475-477; G. Orlandelli, La scrittura da cartulario di R. da Perugia e la tradizione tabellionale bolognese, in Id., Il sindacato del podestà, Bologna 1963, pp. 131-168; Id., Genesi dell’“ars notariae” nel secolo XIII, in Studi medievali, s. 3, V (1965), pp. 329-366; R. Ferrara, «Licentia exercendi» ed esame di notariato a Bologna nel secolo XIII, in Notariato medievale bolognese, II, Atti di un convegno (febbraio 1976), Roma 1977, pp. 47-120; G. Orlandelli, Documento e formulari bolognesi da Irnerio alla “Collectium contractuum” di Rolandino, in Actas del VII Congreso internacional de Diplomatica, II, Valencia 1989, pp. 1009-1036; R. Ferrara, La teorica delle “Publicationes” da R. da Perugia (1214) a Rolandino Passeggeri (1256), ibid., pp. 1053-1090; G. Tamba, Teoria e pratica della «commissione notarile» a Bologna nell’età comunale, Bologna 1991.