BELFORTI, Ranieri
Figlio di Belforte e fratello di Ottaviano, nacque a Volterra nella seconda metà del sec. XIII. Divenuto canonico della cattedrale della sua città, si guadagnò la stima dei suoi concittadini e largo seguito per la sua intelligenza e per il suo carattere energico. Per queste doti aveva riportato un notevole successo nel 1296, quando era riuscito a concludere la pace fra le fazioni cittadine e a far richiamare gli sbanditi.
Alla morte di Ruggeri de' Ricci, vescovo di Volterra, Bonifacio VIII, in considerazione della situazione locale particolarmente delicata per gli interessi della Chiesa, si era riservato (2 febbr. 1300) la facoltà di provvedere a quella sede vescovile tutte le volte che fosse stata vacante; fu quindi proprio Bonifacio VIII che nominò il B. economo e procuratore "plenarie tam in spiritualibus quam in temporalibus" della Chiesa di Volterra (28 sett. 1301). Non era, quella che il B. riceveva dalle mani del pontefice, una situazione facile, poiché il vescovo defunto era stato fino all'ultimo in lotta col Comune contro cui, anche poto tempo prima di morire, aveva per l'ennesima volta lanciato la scomunica. E inoltre i Belforti (poiché col B. era tutta la famiglia) miravano ad occupare la sedia vescovile. Tale loro ambizione era, in certo modo, giustificata oltre che dalla loro posizione preminente in Volterra, dalla antica tradizione guelfa della famiglia e dai vincoli che li legavano alla curia romana, a fianco della quale avevano spesso lottato in difesa delle "libertà" ecclesiastiche. Non è possibile accertare quali segreti maneggi abbiano preparato e facilitato la nomina del B. a vescovo, né si può dire di quali precedenti servizi prestati dai Belforti alla Curia questa elezione sia stata la ricompensa. Sta di fatto che, già prima di essere vescovo, il B. accettò e fece propri gli scopi politici che si proponeva di conseguire in Toscana Bonifacio VIII, così come, in Firenze, operava con gli stessi intenti Carlo di Valois. Anche per questo, forse, non fu difficile al B. da economo divenire vescovo, come difatti avvenne dopo pochi mesi di sedevacanza. Dallo stesso papa gli fu concesso inoltre, per alleviarlo dalle spese che avrebbe dovuto altrimenti sostenere, di farsi consacrare dal vescovo di Pistoia (3 genn. 1302) invece che a Roma.
La prima preoccupazione del B., divenuto vescovo, fu di, ricostituire almeno in parte il patrimonio vescovile che un secolo prima era stato alla base della potenza politica notevolissima di vescovi come Pagano Pannocchieschi. A questo scopo si valse dapprima delle trattative dirette, incominciando dal Comune di Volterra, che, per vari motivi, poteva essere considerato, in quel momento, l'avversario meglio disposto o meno irriducibile, anche in considerazione del fatto che proprio il 4 marzo 1303 aveva ottenuto, tramite, il B., l'assoluzione dalla scomunica in cui era i ncorso durante la sedevacanza per aver occupato il castello vescovile di Montecastelli. Ci furono dunque approcci e speranze di, un accordo, ma già nel 1304 il B. si vide costretto a sperimentare le vie legali con un primo processo. Anche i Fiorentini fecero orecchi da mercante e contrastarono poi risolutamente le rivendicazioni del B., che nel 1305 si trovò costretto ad invocare contro di loro l'intervento dell'autorità pontificia per ottenere la restituzione di alcuni castelli vescovili concessi in usufrutto per dieci anni, nel 1284. Ma in tutti e due i casi gli ostacoli frapposti dai Comuni furono insormontabili; specie Firenze, per quanto legata al B. da un trattato di alleanza, fu irremovibile nel suo diniego, cosicché tanto Clemente V quanto più tardi, nel 1316, Giovanni XXII, furono incapaci di far giustizia al vescovo di Volterra. Naturalmente queste liti giudiziarie provocarono un ulteriore dissanguamento delle già scarse finanze del vescovato, rendendo insostenibile la posizione del B., il quale, forse proprio per questo motivo, dovette accettare, nel 1305, la carica di consigliere offertagli dal re Roberto d'Angiò, e col consenso del pontefice (10 ott. 1305) abbandonò per circa tre anni la sua diocesi affidandone l'anummstrazione ad un vicario. Contro il Comune volterrano tuttavia il B., aiutato dalla sua consorteria e dalla fazione guelfa cittadina, lottò aspramente a più riprese per tutto il ventennio del suo vescovato.
È, probabile, d'altra parte, che egli si accorgesse assai presto della vanità dei suoi sforzi; difatti più volte cercò di liquiclare, mediante accordi col Comune, quelle parti del residuo patrimonio da cui non gli veniva ormai nessun utile, e che erano piuttosto un grosso peso in quanto causa di attriti e di lotte continue coi cittadini. La prima óccasione, per quello che noi sappiamo, gli si presentò nel 1312. In quell'anno, infatti, il B. intavolò trattative con il Comune di Volterra per cedergli, mediante vendita, o sotto forma di permuta, o di enfiteusi, i diritti della Chiesa volterrana sul castello e gli uomini di Montecastelli, che erano da tanti anni la causa principale della discordia tra vescovo e Comune. Nemmeno allora però fu raggiunto un accordo, anzi le trattative furono quasi subito interrotte per l'opposizione della curia avignonese, e per il sopravvenire di altri pressanti problemi derivanti dalla presenza dell'imperatore Enrico VII in Toscana.
In contrasto con la tradizionale politica dei suoi predecessori, ma fedele alla posizione da lui assunta fin dal momento della sua elezione, il B. si unì a Firenze e alla lega guelfa contro l'imperatore, il quale perciò punì il vescovo ribelle privandolo di tutti i feudi, privilegi e giurisdizioni ricevute dall'Impero.
Ne approfittò subito il Comune volterrano per impadronirsi dei privilegi e delle giurisdizioni di cui l'imperatore aveva spogliato il vescovo, e per sostenere poi di fronte al legato pontificio, il cardinale Pietro Colonna, che, in conseguenza della condanna imperiale dovevano considerarsi nulle anche le sentenze e le scomuniche emanate dal B. in difesa dei suoi privilegi.
Una nuova assoluzione del Comune di Volterra (22 nov. 1318) dalle censure ecclesiastiche in cui era incorso per aver occupato i beni del vescovato, aboliti i privilegi ecclesiastici, e invaso e saccheggiato il palazzo vescovile, non produsse un accordo duraturo. Tra il 1319 e il 1320 il B. tentò ancora dirisolvere la questione di Montecastelli mediante la concessione enfiteutica in perpetuo del castello al Comune di Volterra dietro il corrispettivo di 16 mila lire; ma un nuovo dissidio sorto per la ripartizione dei redditi fiscali del castello di Pomarance, altro castello vescovile ora passato in gran parte in mano dei Volterrani, fece insabbiare le trattative. Intanto erano sorte anche aspre discordie tra il "popolo" e le famiglie dell'antica nobiltà cittadina, molte delle quali furoner poi bandite dalla città. Tra queste furono i Belforti. Con loro anche il B. fu costretto a prendere la via dell'esilio e, di lì a poco, in esilio, morì il 26 nov. 1320.
Fonti e Bibl.: Les registres de Boniface VIII, III, Paris 1921, a cura di G. Digard, nn. 4261, 4262, 4320, 4402, 4497, 4643; G. Volpe, Volterra. Storia di Vescovi signori, di istituti comunali, di rapporti tra Stato e Chiesa, secoli XI-XV, Firenze 1923, pp. 192-198, 249 (con ulter. bibl.; ora in Toscana medioevale, Firenze 1964, pp. 297, 300 ss., 307 ss.).