rana
Il termine ricorre quattro volte nell'Inferno, quasi sempre in sede di paragoni, di cui D. si serve per chiarire rapidamente la situazione che vuol descrivere. In alcuni commenti moderni (per es., Scartazzini-Vandelli), al primo luogo in cui appare la voce (IX 76 Come le rane innanzi a la nimica / biscia per l'acqua si dileguan tutte) viene citato Ovidio (Met. VI 369 ss.), e a quella citazione si rimanda anche a proposito di altre occorrenze. Ma il Torraca mette in dubbio per If XXII 33 (com'elli 'ncontra / ch'una rana rimane e l'altra spiccia) la pertinenza del richiamo a Ovidio, e altrettanto si potrà dire per If XXXII 31 come a gracidar si sta la rana / col muso fuor de l'acqua, quando sogna / di spigolar sovente la villana, ove l'eco ovidiana è tenuissima. Per il passo di XXIII 6 Vòlt'era in su la favola d'Isopo / lo mio pensier... / dov'el parlò de la rana e del topo, l'immagine è da D. stesso mediata attraverso la citazione di una delle raccolte medievali di favole esopiche.
Gli antichi commentatori fanno riferimento al significato simbolico attestato per tutto il Medioevo dai fisiologi o bestiari moralizzati; così l'Ottimo, a If IX 76, rammenta che il serpente (la biscia) simboleggia nelle Scritture l'intelligenza, e questo appellativo è dato spesso a Cristo stesso: " per la quale proprietate della sapienza ch'elli ebbe, sono molto saputi li serpenti "; così il vivacissimo Benvenuto, che rileva puntualmente la proprietà delle comparazioni, e sottolinea i caratteri tradizionalmente attribuiti alle rane: " ranae sunt nigrae, turpes, infectae... rana est animal foedum... rana est meticulosa ". V. RANOCCHIO.