RAMO di Paganello
RAMO di Paganello. – Nacque a Siena attorno alla metà del XIII secolo, forse figlio di quel Paganello, lapicida, che lavorava nel cantiere della fabbrica del Duomo nel 1278-79 (Die Kirchen..., 2006, p. 740). La prima menzione di Ramo si trova in un atto del 20 novembre 1281 (Archivio di Stato di Siena, Consiglio generale, 25, cc. 30v-31v), nel quale il Comune di Siena delibera di accoglierlo nuovamente in città, annullando un provvedimento di espulsione in precedenza inflittogli per adulterio («quia debuit iacere cum quadam muliere»).
Nel documento sono contenute notizie fondamentali per tentare di tracciare un profilo dello scultore: vi si apprende infatti che prima del bando Ramo era stato cittadino senese, che godeva di un’altissima reputazione professionale («est de bonis intalliatoribus et sculptoribus et subtilioribus de mundo»), che sarebbe tornato per lavorare al cantiere del Duomo e, infine, che il suo esilio si era svolto in «partibus ultramontanis», espressione che la critica ha inteso come sinonimo di Francia o, meno frequentemente, di Germania (cfr. anche Milanesi, I, 1854, p. 157; Die Kirchen…, 2006, pp. 745 s.). Tuttavia Enzo Carli (1979, p. 54), che pur propendeva per un soggiorno francese dello scultore, avvertì che la frase avrebbe potuto indicare anche un semplice valico degli Appennini.
L’arrivo a Siena di Giovanni Pisano nel 1284 dovette provocare una contrazione del ruolo di Ramo e della sua bottega in città e, in particolare, nel cantiere della cattedrale, se il 25 novembre 1288 il Comune senese ordinava all’operaio del Duomo di assegnare a Ramo un salario giornaliero di sei soldi e incarichi di adeguata importanza («quoddam bonum, pulcrum, ac nobile laborerium») purché non si sovrapponessero ai lavori che stava conducendo Giovanni Pisano, a meno che quest’ultimo non fosse d’accordo (Milanesi, III, 1856, pp. 273 s.; Die Kirchen..., 2006, p. 749). Attestato a Siena fino al secondo semestre del 1292 (Giorgi - Moscadelli, 2005, p. 240), Ramo già nel maggio dell’anno successivo risulta attivo nel cantiere del Duomo di Orvieto, intento sia a sovrintendere alla cava di Parrano, da cui si traevano le pietre per la costruzione della chiesa, sia a dirigere, come il salario superiore a quello degli altri dimostra, la nutrita e cosmopolita schiera di scultori e scalpellini che lavorava nella loggia del Duomo. È presumibile che sia rimasto a Orvieto per tutto il primo decennio del Trecento, durante il quale rivestì la carica di soprastante, ossia l’ufficiale nominato dal Comune per sovrintendere ai lavori della fabbrica e sorvegliare, correggere e sollecitare gli artefici che vi lavoravano (Riccetti, 1995, pp. 309 s.). È infine assai probabile, come suppose Adolfo Venturi (1906), che debba identificarsi con il nostro scultore quel «Ramolus de Senis» che nel 1314, grazie a un salvacondotto di re Roberto d’Angiò, si recava a Orvieto allo scopo di acquistare marmi e mosaici e condurre a Napoli maestranze specializzate.
A questa significativa raccolta di notizie biografiche non corrisponde però alcuna certezza sul corpus delle opere di Ramo, nessuna delle quali è giunta firmata oppure documentata.
Ogni tentativo di attribuzione ha fatto perno esclusivamente sull’attestata presenza nei cantieri di Siena e di Orvieto e, appoggiandosi sull’esperienza ‘oltremontana’ dell’artista, ha prevalentemente tentato di riconoscergli opere dalle evidenti influenze nordiche. Rimangono plausibili, come ipotesi di lavoro, il riferimento a Ramo per i rilievi con Betsabea al bagno e David e Betsabea in trono scolpiti nella colonna a racemi di sinistra nella facciata del Duomo di Siena (1281-92; ora Siena, Museo dell’Opera del Duomo), il disegno della facciata del Duomo di Orvieto a impianto monocuspidale (primo decennio del Trecento; Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo) e la Madonna col Bambino in legno di pero, prossima a quella tracciata sulla lunetta del portale nel disegno suddetto (Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo). L’intervento dello scultore nel progetto decorativo della facciata della cattedrale orvietana è stato più volte enfatizzato (Schmarsow, 1928), in parte ammesso (Carli, 1947; Middeldorf Kosegarten, 1996) oppure decisamente negato (Tigler, 2002, p. 13). Carlo L. Ragghianti (1950) e Wilhelm R. Valentiner (1951), indipendentemente, riferirono a Ramo di Paganello la tomba di Phillippe de Courtenay nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi, e il secondo vi aggiunse alcuni capitelli dell’interno della cattedrale, la statua di Bonifacio VIII (1297; ora nel Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto) e altre opere orvietane. Poco seguito hanno invece avuto i tentativi di individuare tracce del suo operato in ambito napoletano.
Non si conoscono il luogo e la data di morte di Ramo.
Fonti e Bibl.: G. Della Valle, Storia del duomo di Orvieto..., Roma 1791, pp. 101-103, 263; G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, I, Siena 1854, p. 157, III, 1856, pp. 273 s.; L. Fumi, Il Duomo di Orvieto, Roma 1891, pp. 97, 309 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IV, La scultura del Trecento e le sue origini, Milano 1906, pp. 323-325; A. Schmarsow, R. di P., Siena 1928; R. di P., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933 pp. 597 s.; E. Carli, Le sculture del duomo di Orvieto, Bergamo 1947, pp. 11 s., 14, e passim; C.L. Ragghianti, Scultura lignea senese (e non senese), in La critica d’arte, 1950, n. 32, pp. 486-496; W.R. Valentiner, The master of the tomb of Philippe de Courtenay in Assisi, in The Art Quarterly, 1951, vol. 14, pp. 3-18; E. Carli, Il duomo di Orvieto, Roma 1963, pp. 3, 7 s., 20, 22 s., e passim; Id., Il duomo di Siena, Genova 1979, pp. 54 s.; Id., Gli scultori senesi, Siena 1980, pp. 7-8; L. Riccetti, La “loggia del duomo” e i cantieri delle cattedrali, in Il duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento. Atti del convegno... 1990, a cura di G. Barlozzetti, Torino 1995, pp. 273-356 (in partic. pp. 309 s., 313); A. Middeldorf Kosegarten, Die Domfassade in Orvieto. Studien zur Architektur und Skulptur. 1290-1330, München 1996; A. Franci, Guido Farnese, R. di P. e il capitello dell’Ave Maria nel duomo di Orvieto, in Arte cristiana, LXXXIX (2001), pp. 5-16; G. Tigler, Orvieto 1284-1334. Le sculture della parte bassa della facciata, in La facciata del duomo di Orvieto. Teologia in figura, Cinisello Balsamo 2002, pp. 13-25; R. Bartalini, Scultura gotica in Toscana, Cinisello Balsamo 2005, pp. 124, 148, 354; A. Giorgi - S. Moscadelli, Costruire una cattedrale. L’Opera di Santa Maria di Siena tra XII e XIV secolo, München 2005, pp. 240, 243, 245; Arnolfo di Cambio. Una rinascita nell’Umbria medievale (catal., Perugia-Orvieto, 2005-2006), a cura di V. Garibaldi - B. Toscano, Cinisello Balsamo 2005, pp. 169, 270-272, e passim; Die Kirchen von Siena. Der Dom S. Maria Assunta, III, 1-3, a cura di P. Riedl - M. Seidl, München 2006, pp. 24-26, 286-288, e passim; L. Riccetti, Opera Piazza Cantiere. Quattro saggi sul Duomo di Orvieto, Foligno 2007, pp. 26-28, 66 s., 76 s.; G. Tigler, Siena 1284-1297. Giovanni Pisano e le sculture della parte bassa della facciata, in La facciata del duomo di Siena, Cinisello Balsamo 2007, pp. 140, 144 s.; S. D’Ovidio, L’enigmatico “Ramolus de Senis” e la scultura lignea di primo Trecento in Campania, in Rassegna storica salernitana, n.s., XXV (2008), 49, pp. 7-58.