RAME (fr. cuivre; sp. cobre; ted. Kupfer; ingl. copper)
Elemento chimico di peso atomico 63,57, numero atomico 29; simbolo Cu. È uno dei metalli più anticamente noti, e ciò in relazione anche al fatto del non essere raro il ritrovarlo allo stato nativo nelle parti superficiali dei suoi giacimenti. Fu detto χαλκός dai Greci e la radice di tale nome si ritrova in quelli di alcuni minerali, come calcopirite, calcosina, ecc.; aes cyprium e cuprum dai Romani per i ricchi giacimenti dell'isola di Cipro, e da cuprum derivò il suo simbolo Cu e il suo nome in varie lingue. Venere lo chiamarono gli alchimisti (che lo indicarono col segno ♀) perché Cipro fu sacra a questa dea, e per la sua facile unione agli altri metalli, ciò che gli valse anche il nome di meretrix metallorum (v. appresso).
Proprietà fisiche e chimiche. - Il rame cristallizza nel sistema monometrico e presenta un reticolo cubico a facce centrate. È rosso. Il suo peso specifico varia a seconda del modo con cui fu ottenuto: per il rame elettrolitico il valore oscilla fra 8,91 e 8,93. Punto di fusione: 1083°; punto di ebollizione: 2310°. Durezza 2,5-3. È molto duttile e malleabile: si lascia tirare in fili sottili e ridurre in fogli di 0,0026 mm. di spessore. Dopo l'oro e l'argento è il migliore conduttore del calore; dopo l'argento, il migliore conduttore dell'elettricità. Le più piccole quantità di elementi estranei alterano le proprietà del metallo: così, tracce di antimonio, arsenico e fosforo, ne abbassano notevolmente la conducibilità elettrica.
Il rame non si altera all'aria secca ed a temperatura ordinaria, ma si ricopre di una "patina" verde di carbonato basico, se esposto all'aria umida in presenza di anidride carbonica. L'alterazione è soltanto superficiale, e la patina impedisce l'ulteriore alterazione del metallo.
Data la sua posizione nella serie delle tensioni di soluzione, non si scioglie, in assenza di aria, negli acidi diluiti. Egualmente si comporta in presenza di molti acidi organici. Negli usi di cucina si adoperano spesso recipienti di rame, nei quali si possono cuocere vivande a reazione acida, perché durante l'ebollizione, il vapor d'acqua che si sviluppa fa sì che l'aria non venga a contatto del metallo; quando, però, si lascia raffreddare, il contatto avviene con conseguente dissoluzione del metallo. Ad evitare questo pericolo, si suole stagnare il rame. Bisogna, però, che la stagnatura sia fatta con stagno puro, altrimenti, se esso contiene impurezze, per es. piombo, si possono avere inconvenienti anche più gravi, essendo i sali di piombo più velenosi di quelli di rame.
Il rame si scioglie in acidi ossidanti, come l'acido nitrico e il solforico concentrato e caldo. L'HNO3 diluito è il solvente migliore, più comune, del rame. La reazione principale può essere rappresentata dalla equazione:
L'ammoniaca, in presenza di ossigeno, lo scioglie formando un liquido azzurro (liquido di Schweitzer). Dai metalli meno nobili, ad es. zinco e ferro, il rame viene precipitato dalle sue soluzioni:
Sono conosciute le soluzioni colloidali di rame che si possono preparare, ad es., col metodo generale di Bredig.
Il rame viene molto adoperato, sia per usi domestici sia nella industria, nell'elettrotecnica, nella galvanoplastica, ecc. Il rame ridotto serve spesso come catalizzatore in numerose reazioni. Molto importanti e utilizzate sono le sue leghe, tra le quali quelle con lo stagno (bronzi), che presentano una durezza e una resistenza meccanica più elevata del rame (i bronzi speciali contengono altri elementi come Zn, P, Mn, Si, Al); quelle con lo zinco (ottoni), fra cui il tomback, la colorazione giallo-oro del quale viene sfruttata per le oreficerie false, il metallo Delta (ottone complesso con piccole quantità di Mn, Fe, Al, Pb, Sn) resistente all'acqua del mare; quelle con nichelio, fra cui, la costantana, utilizzata per resistenze elettriche, il metallo Monel, molto resistente agli agenti chimici, l'argentana, il packfong, ecc. La lega di Devarda, contenente il 50% di Cu, il 45% di Al e il 5% di Zn, che per la sua durezza può essere facilmente polverizzata, serve in laboratorio come mezzo riducente.
I dati seguenti, rilevati negli Stati Uniti, rappresentano le percentuali approssimate delle quantità di rame assorbite dalle differenti industrie.
Il rame forma due serie di composti: rameosi e rameici che si possono far derivare dai due ossidi, Cu2O e CuO. Nei primi, il rame funziona da monovalente, nei secondi, da bivalente.
Composti del rame monovalente. - Lo ione Cu+ è instabile e nelle soluzioni acquose forma rame metallico e ione Cu++ (2Cu+ ⇄ Cu0 + Cu++).
Questa reazione è reversibile, ma l'equilibrio è enormemente spostato verso destra. L'instabilità degli ioni Cu+ porta con sé che sali di Cu+ solubili, non complessi, non sono conosciuti. Tutti i composti rameosi sono o difficilmente solubili (Cu2O, CuCl) o complessi (come quelli che si hanno nella soluzione di CuCl in HCl conc.).
Fra i principali composti del Cu monovalente sono da ricordare:
L'ossido rameoso (Cu2O), che si trova in natura a costituire un importante minerale di rame: la cuprite. Si può ottenere per disidratazione, a caldo, dell'idrato rameoso. Cu2O deriva anche dalla decomposizione a temperatura elevata del CuO: è solubile nel rame fuso.
L'idrossido corrispondente Cu (OH), si può ottenere trattando a freddo la soluzione di un sale di CuI con un idrato alcalino: si forma un precipitato giallo, secondo alcuni ritenuto ossido rameoso idrato, [Cu2O•n(H2O)] che, per riscaldamento, perde acqua trasformandosi in Cu2O rosso. L'idrato rameoso si può precipitare anche dalla soluzione di un sale rameico con alcali in presenza di un mezzo riducente, ad es. glucosio. Sulla formazione di Cu(OH) e Cu2O è basata la ricerca dello zucchero nell'urina dei diabetici col liquido di Fehling o con quello di Trommer.
Il cloruro rameoso, CuCl, è una polvere bianca, finemente cristallina, poco solubile nell'acqua. Per preparare questo sale, si fa bollire il rame metallico con una soluzione di cloruro rameico in HCl conc. Il CuCl che si forma, essendo solubile in HCl conc., rimane in soluzione sotto forma di cuproidracido complesso e precipita per diluizione:
Il cloruro rameoso secco è stabile all'aria; all'aria umida si altera facilmente, trasformandosi nell'ossicloruro rameico. Oltre che nell'HCl conc. si scioglie nell'ammoniaca formando complessi [Cu(NH3)n]+, e in completa assenza di ossigeno, le soluzioni sono incolori; esse assorbono facilmente ossigeno assumendo il colore caratteristico dei composti rameici. Tanto la soluzione acida quanto quella ammoniacale di CuCl (ma più specialmente quest'ultima) servono per assorbire quantità notevoli di CO (si ha formazione di composti complessi). La soluzione ammoniacale assorbe facilmente anche acetilene ed etilene. Queste soluzioni vengono, perciò, utilizzate nell'analisi gasvolumetrica.
Lo ioduro rameoso è una polvere bianca, insolubile in acqua, che si ottiene trattando con KI una soluzione di solfato rameico:
Si può evitare la separazione dello iodio e rendere quindi più completa la reazione che porta ad uno stato di equilibrio, operando in presenza di un riducente, ad es. anidride solforosa.
Analogamente allo ioduro si può preparare il cianuro, CuCN, aggiungendo una soluzione di un sale rameico KCN; si forma in un primo tempo un precipitato giallo di cianuro rameico Cu(CN)2, che si decompone in cianuro rameoso bianco e (CN)2:
Il precipitato di CuCN si scioglie in eccesso di KCN a formare una soluzione incolora contenente complessi assai stabili (cuprocianuri), fra cui:
Facendo agire l'idrogeno solforato su una soluzione che contiene il rame sotto forma di questi complessi, non si ha il precipitato di solfuro, malgrado la poca solubilità di questo: sulla maggiore stabilità di questi complessi rispetto a quelli del Cd si basa un noto metodo di separazione del Cu dal Cd a mezzo dell'H2S.
Aggiungendo ad una soluzione di solfato rameico una soluzione di KSCN si ha la reazione:
Il solfocianato rameico, nero, lentamente si trasforma in CuSCN bianco. Questa trasformazione avviene istantaneamente se si aggiunge alla soluzione di partenza anidride solforosa:
Il solfuro rameoso (Cu2S) costituisce in natura la calcosina e si può ottenere sia sotto forma di precipitato nero facendo agire H2S sulla soluzione di un sale rameoso, sia sotto forma di polvere nera, riscaldando CuS in corrente di idrogeno.
Sono noti gli acetiluri di rame (CuHC2, Cu2C2) che si ottengono facendo gorgogliare acetilene in una soluzione ammoniacale di CuCl: costituiscono dei precipitati rosso-marrone che, secchi, facilmente esplodono all'urto o per riscaldamento. Sulla formazione degli acetiluri di rame è basata una reazione molto sensibile per rivelare la presenza di piccole quantità di acetilene.
Composti del rame bivalente. - La maggior parte dei sali rameici sono colorati in azzurro; le soluzioni acquose diluite dei sali di CuII presentano lo stesso colore, che sembra dovuto allo ione [Cu(H2O)4]++. Le soluzioni acquose dei sali rameiei dànno reazione acida dovuta alla debole idrolisi che subiscono. Sali solubili nell'acqua sono il cloruro, il nitrato, il solfato e l'acetato; gli altri sali sono per lo più insolubili nell'acqua, ma solubili negli acidi. Lo ione Cu++ tende facilmente alla formazione di complessi. Aggiungendo poca soluzione acquosa di ammoniaca alla soluzione di un sale rameico, si forma, dapprima, un precipitato verde di un sale basico, il quale si ridiscioglie nell'eccesso di ammoniaca dando una soluzione intensamente colorata in azzurro, contenente ioni complessi [Cu(NH3)4]++. Aggiungendo a questa soluzione alcool assoluto, si possono ottenere composti cristallini contenenti NH3; così, ad es., dal solfato di rame si ottiene: [Cu(NH3)4]SO4•H2O (solfato cuproammonico) che cristallizza in aghetti azzurro-violetti i quali all'aria perdono facilmente NH2.
Tra i composti rameici sono da ricordare: l'ossido rameico (CuO), che in natura costituisce il minerale melaconite e si può ottenere per riscaldamento moderato del metallo all'aria. Si può anche preparare per decomposizione col calore del nitrato e del carbonato. Riscaldato fortemente si dissocia:
In presenza di sostanze ossidabili cede facilmente, a caldo, il suo ossigeno: si adopera, perciò, nell'analisi elementare dei composti organici. È usato in grande quantità per desolforare il petrolio. Si scioglie a caldo nei vetri ai quali impartisce una bella colorazione blu turchese.
L'ossido rameico si scioglie negli acidi per dare i sali corrispondenti. Se si tratta a freddo un sale rameico con un idrato alcalino, si ha un precipitato azzurro fioccoso di Cu(OH)2, idrato rameico, che contiene talora anche sali basici; forse il precipitato è costituito da un ossido idrato [CuO•n(H2O)]. Già alla temperatura ordinaria e in seno all'acqua il precipitato si disidrata lentamente, assumendo un color nero bruno. La disidratazione avviene più rapidamente a caldo. L'idrato precipitato di fresco è solubile negli alcali caustici concentrati con colorazione azzurra sino a violetta: il rame si troverebbe in soluzione sotto forma di cuprito alealino (CuO2)--.
In presenza di acido tartarico e di molti altri composti ossigenati organici i sali rameici non vengono precipitati dagli alcali: la soluzione è intensamente colorata in azzurro. Il liquido di Fehling (soluzione alcalina di un sale rameico e di ac. tartarico) contiene un composto complesso. L'idrato rameico si scioglie facilmente nella soluzione acquosa di ammoniaca dando un liquido di color azzurro molto intenso (liquido di Schweitzer) che ha la capacità di sciogliere la cellulosa. Per acidificazione, si determina la precipitazione di essa. Questa reazione viene sfruttata nella fabbricazione della seta artificiale. L'idrossido rameico serve anche come sostanza colorante e va sotto il nome commerciale di azzurro di Brema.
Il solfato di rame (CuSO4•5H2O), o vetriolo azzurro, è il sale di rame più importante. Nell'industria si prepara arrostendo all'aria il solfuro oppure sciogliendo il rame in acido solforico diluito in presenza di aria: 2Cu + 2H2SO4 + O2 = 2CuSO4 + 2H2O. Si può ottenere anche per azione dell'acido solforico conc. e caldo sul rame: Cu + 2H2SO4 = CuSO4 + SO2 + 2H2O, oppure sciogliendo l'ossido, l'idrato o il carbonato rameico nell'acido solforico.
Per evaporazione delle soluzioni acquose si separano grossi cristalli triclini azzurri, con 5 molecole di acqua di cristallizzazione. Sfiorisce all'aria secca: riscaldato a 100° il pentaidrato perde 4 molecole di acqua trasformandosi nel monoidrato; oltre i 200° esso perde anche l'ultima molecola di acqua, dando il sale anidro bianco che riassorbe facilmente l'acqua ridiventando azzurro. Ci si serve di questa proprietà per accertarsi se nell'alcool è contenuta acqua. È usato in galvanoplastica; serve in agricoltura come anticrittogamico, specialmente sotto forma di poltiglie cuprocalciche.
Il cloruro rameico anidro si può ottenere per combinazione diretta degli elementi o per riscaldamento dell'idrato, in corrente di HCl secco. Il sale biidrato si prepara sciogliendo l'ossido o il carbonato in HCl ed evaporando la soluzione. Le soluzioni acquose del cloruro presentano notevoli cambiamenti di colore col variare della concentrazione, della temperatura e per aggiunta di HCl.
È impiegato come catalizzatore nella preparazione del cloro col processo Deacon. Serve in pirotecnica per produrre fiamme verdi.
Non si conosce il carbonato neutro di rame; si conoscono, invece, i carbonati basici: in natura, la malachite CuCO3•Cu(OH)2 (verde, adoperata come pietra ornamentale) e l'azzurrite 2CuCO3•Cu(OH)2. Per azione di un carbonato alcalino sulla soluzione di un sale rameico, precipitano dei sali basici verdicci-bleu, di composizione variabile, dipendente dalla temperatura e dalla concentrazione.
Fra gli altri sali di CII sono da ricordare: il solfuro, che si ritrova in natura a costituire la covellina e si può ottenere, quale precipitato nero insolubile, facendo agire H2S sulla soluzione leggermente acida di un sale rameico; tra gli acetati, quelli basici, che risultano dall'azione dell'acido acetico, in presenza di aria, sul rame; gli arseniti, fra cui il verde di Scheele e il verde di Schweinfurt (arsenito-acetato di rame). Ambedue venivano adoperati per tingere tappezzerie, ecc.: presentano però l'inconveniente di sviluppare composti arsenicali velenosissimi, sotto l'azione di alcune muffe.
Analitica. - I sali di rame colorano la fiamma non luminosa della lampada Bunsen in verde e in azzurro. La perla al sal borace, nella fiamma ossidante è, a caldo, colorata in verde azzurro, a freddo, in azzurro; nella fiamma riducente si scolora quando non contenga troppo rame, altrimenti, diventa opaca o rosso-bruna a causa del rame che si separa allo stato metallico. Per riscaldamento al carbone con soda si ottiene il metallo.
Le soluzioni dei sali di CuII trattate con soluzione acquosa di ammoniaca, assumono una tinta intensamente azzurra, dovuta al complesso [Cu(NH3)4]; con ferrocianuro di potassio si ottiene un precipitato rossobruno di ferrocianuro di rame: Cu2[Fe(CN)6]; con H2S, nelle soluzioni leggermente acide, un precipitato nero di solfuro. Queste reazioni sono molto sensibili.
Si conoscono anche numerosi reattivi organici del rame, fra cui il "cupferron" (sale di ammonio della nitrosofenilidrossilammina), il "cupron" (α-benzoinossima).
Nel corso dell'analisi sistematica il rame viene precipitato come solfuro al secondo gruppo analitico e fa parte dei solfuri insolubili in polisolfuro ammonico. È da notare, però, che, in piccole quantità, il solfuro di rame è solubile nel solfuro ammonico giallo.
Per la determinazione gravimetrica, il rame può essere precipitato sotto forma di CuS e quindi riscaldato in corrente di idrogeno per trasformarlo in Cu2S e pesato, oppure può essere dosato separandolo elettroliticamente come metallo e pesandolo allo stato metallico. Quest'ultimo modo di dosaggio è il più preciso. Per via volumetrica lo si può determinare ad es. iodometricamente, aggiungendo KI alla soluzione di sale rameico e titolando lo iodio separatosi nella reazione con tiosolfato.
Minerali. - Il rame cristallizza nella classe oloedrica del sistema monometrico, in forme ottaedriche e cubiche, con frequenti geminati e plurigeminati laminari, distorti a formare bellissime dendriti. Frequente, in natura, anche in lamine, in forme botroidiche, in fili, in masse, in minuti granuli sabbiosi.
I minerali di rame sono molto numerosi e di svariata composizione chimica, ma soltanto pochi sono abbondanti in natura. Oltre il rame allo stato nativo si possono ricordare: fra i solfuri, la calcosina (Cu2S) e la covellina (CuS); fra i solfosali, erubescite o bornite (Cu3FeS3), calcopirite (CuFeS2), bournonite (CuPb SbS3), tetraedrite (Cu2, Ag2, Zn. . . . . . )4 (As, Sb)2S7, stannina (Cu2FeSnS4), ecc.; fra gli ossidi, cuprite (Cu2O), melaconite o tenorite (CuO); fra i cloruri e analoghi, eriocalco (CuCl2), atacamite Cu(OH)Cl•Cu(OH)2; fra i carbonati, malachite Cu(OH)2CO3, azzurrite 2CuCO3•Cu(OH)2; fra i solfati e analoghi, idrociano (CuSO4), linarite [(Pb, Cu)•OH]2SO4, brochantite (Cu•OH)2SO4•2Cu(OH)2, caledonite (v.), di composizione complessa (Pb, Cu)2CO3•SO4, calcalcantite (CuSO4• 5H2O); fra i fosfati e analoghi, liebethenite, Cu2(OH)PO4 olivenite Cu(Cu•OH)AsO4; fra i silicati, diottasio (H2CuSiO4) e crisocolla (CuSiO3•H2O). Si hanno poi numerosi minerali di altri metalli contenenti tracce, o piccole dosi, di rame, e sono più specialmente importanti le piriti di ferro, le quali si presentano facilmente cuprifere, e fra queste la pirite vera e propria (FeS2), che è adoperata anche per l'estraziorie del rame, quando il tenore di questo metallo si aggiri almeno intorno all'1%. Riguardo alla pirite cuprifera si verifica in molti giacimenti che, discendendo verso la profondità, essa va sostituendosi ai veri e proprî minerali di rame, in modo analogo a quello che succede per i minerali di argento, ai quali in profondità si sostituisce la galena argentifera. I minerali più adoprati per l'estrazione del metallo sono: il rame allo stato nativo, che di tutti è il più ricco e che caratterizza gli affioramenti insieme ai carbonati e agli ossidi, e in alcuni giacimenti è anche abbondante, come in quello di Calumet e Hecla sul Lago Superiore, ai confini fra gli Stati Uniti e il Canada, e quello di Corocoro in Bolivia; vengono poi i solfuri e i solfosali e di essi la calcosina è il più ricco (Cu = 79,87% teorico), la calcopirite il più abbondante (Cu = 34,64% teorico) e diffuso e può quindi considerarsi come il minerale principale. D'importanza secondaria, per essere limitati in estensione, ma pur vantaggiosamente utilizzabili, si possono anche ricordare la tetraedrite, la cuprite e i due carbonati, specialmente la malachite. Alcuni minerali di rame possono essere adoprati per loro stessi: così l'azzurrite e la malachite come sostanze coloranti e come pietre ornamentali; l'atacamite come polverino per la scrittura; la calcantite, o meglio il corrispondente vetriolo turchino, che si fabbrica artificialmente in gran copia.
Giacimenti dei minerali di rame. - Essi presentano una grande varietà sia per la forma sia per l'origine; così possono ricordarsi filoni, ammassi, strati mineralizzati, ecc., in correlazione con rocce endogene, che possono essere basiche come le eufotidi, diabasi, ecc., neutre come sieniti, dioriti, monzoniti, acide come granuliti, pegmatiti, ecc. Tra i filoni vanno ricordati quelli di fenditura e quelli listati, come per il piombo e per l'argento, con i minerali dei quali talora si accompagnano quelli di rame, ma non sono certamente quelli più ricchi. Se questi filoni sieno riccamente cupriferi la struttura listata si rende meno manifesta e la calcopirite si dispone in colonne o in nidi. Non sempre però predomina la calcopirite, avendosi talora il predominio della tetraedrite. Se si abbia calcopirite, fa da matrice il quarzo come alle Capanne Vecchie, a Fenice Massetana, a Boccheggiano presso Massa Marittima (prov. di Grosseto), in molti giacimenti del Harz, Sassonia, Turingia, in quelli molto ricchi dell'Arizona (Copper Queen, Detroit, ecc.), di Montana (Butte, Anaconda, ecc.), in non pochi del Chile e in quello celebre di Burra Burra nell'Australia meridionale. In alcuni casi fa da matrice la siderite e allora ai minerali di rame si associano pirite, blenda, galena, come in molti del Siegen (Vestfalia), Tirolo, ecc. Se predomina la tetraedrite, la ganga è quasi sempre baritica o fluoritica, e talora non manca la siderite. Esempio a Montieri (Grosseto), a Mouzaïa (Algeria) e in taluni giacimenti dei Vosgi, del Harz, dei Carpazî e della Transilvania. Per tutti questi filoni si hanno verso gli affioramenti, carbonati, ossidi e rame nativo, ma specialmente malachite; più rari fosfati e arseniati; non rara l'atacamite, tutti quanti derivati dall'alterazione di minerali originari, specialmente calcopirite, che è il minerale delle zone più profonde, da solo, o insieme a calcosina, erubescite, ecc., nelle zone superiori. Se alla calcopirite si associa pirite, l'affioramento è soprattutto limonitico e può presentarsi molto esteso e profondo. Tutti i filoni in genere hanno potenze variabilissime da pochi centimetri a molti metri, come i ricchissimi dell'Arizona, Montana, ecc. e quello di Burra Burra, ed hanno sede per il solito in rocce antiche di natura variabilissima. Nelle rocce cristalline arcaiche, della famiglia degli scisti, non è raro il ritrovare venule, lenti, straterelli, pellicole cuprifere che stanno a indicare la possibilità di una mineralizzazione a spese della roccia scistosa cristallina, la quale può a sua volta considerarsi metallifera fino dall'origine, o divenuta tale per il metamorfismo subito.
Ai giacimenti a tipo filoniano sono riferiti, da alcuni, almeno in parte, i giacimenti cupriferi del Katanga, nel Congo belga, che si riconnettono con quelli dell'Africa equatoriale francese e della Rhodesia. Sono fra i giacimenti più ricchi del mondo, tanto che il Congo occupa oggi per la produzione del rame il terzo posto, dopo gli Stati Uniti e il Chile, ma gli studî più recenti tendono a dimostrare che i giacimenti stessi non sono esclusivamente filoniani, ma presentano caratteri da punto a punto tra loro spesso diversi, e con predominio talora di mineralizzazione caratteristica degli strati mineralizzati, tal'altra di giacimenti di sostituzione (nei calcari). Per questi giacimenti africani, oltre la ricchezza di rame, è della massima importanza industriale l'associazione ai minerali cupriferi, di quelli di uranio, che forniscono oggi la massima parte dei sali di radio fabbricati nel mondo.
Dai giacimenti filoniani si passa, per il rame, per gradi, alle lenti, ai noduli e da questi agli ammassi, che sono talora giganteschi, ma per il solito più di pirite cuprifera, che non di calcopirite. Esempi di ammassi si hanno in Italia in provincia di Belluno, ad Agordo, ove la pirite ha un tenore medio in Cu di circa l'1,8%, a Tharsis e Río Tinto in Spagna con il 3% circa di rame. L'ammasso può essere unico o multiplo; la roccia incassante è d'ordinario scistosa. Ad Agordo la mineralizzazione è negli argilloscisti a contatto con l'arenaria rossa, a Tharsis e Rio Tinto nei talcoscisti e rocce simili, a Falun (Svezia) negli gneiss e nelle granuliti.
Altro tipo di giacimento è quello dei cosiddetti filoni irregolari che diventano anche di contatto quando si trovano fra due rocce diverse. In essi la roccia incassante prende gran parte nella determinazione dell'andamento e della dimensione del filone e nel costituirsi della matrice, onde spesso succede che fra filoni e roccia incassante non si hanno limiti netti. Nelle rocce calcari sono assai rari giacimenti di soluzione o escavazione, ma se ne possono avere di molto ricchi, sia con calcopirite, sia con malachite, come per quest'ultima ce ne dànno esempio le celebri miniere di Mednyi Rudnik negli Urali, dalle quali provennero i più grossi blocchi scavati nel mondo di questo bel minerale.
Se la mineralizzazione sia avvenuta sul contatto fra il calcare e una roccia eruttiva acida, si osservano bellissime formazioni di contatto ricche di piroseni, granati, vesuviana, ecc., che funzionano da ganga silicatica accompagnata da un po' di quarzo, al minerale, quasi sempre calcopirite, disseminato in foggia di noduli, nidi, rilegature, ecc. Se ne hanno esempî, nei giacimenti del Banato, fra dolomie e sieniti, nei giacimenti di Turinsk ed altri degli Urali fra calcare e diorite. In quelli di Val Fucinaia e Monte Calvi presso Campiglia Marittima, scavati fino dal tempo degli Etruschi, più volte abbandonati e più volte riattivati, oggi infruttiferi, si hanno due dighe eruttive, in connessione con eruzione trachitica, che attraversano calcari, ridotti marmorei, con formazioni di bellissimi sferoidi di pirosseni con ilvaite, granato, epidoto, ecc., che fanno da matrice a calcopirite accompagnata da pirite, blenda e galena. Come giacimento sul contatto fra una porfirite e rocce calcari fra mezzo alle quali si sono insinuati i minerali di rame, si può anche ricordare quello di Calabona presso Alghero (Sardegna), per il quale, la mineralizzazione a solfuri si può ritenere o contemporanea all'eruzione della porfirite, quindi costituente un giacimento d'inclusione con susseguente segregazione magmatica, o posteriore, e in tal caso la porfirite avrebbe aperto la via agli agenti mineralizzatori, e la mineralizzazione sarebbe avvenuta sui contatti fra questa e le rocce attraversate.
Altro modo di presentarsi dei minerali di rame è nelle rocce serpentinose, eufotidiche, diabasiche, e altre connesse, o derivate, le quali tutte formano il gruppo delle rocce verdi, presiluriche o triassiche, come nelle Alpi, eoceniche, come in Liguria e in Toscana. In esse s'incontrano quasi sempre, piccole vene di calcopirite e di erubescite, disseminate in tutta la massa, ad accennare ad un'originaria mineralizzazione di queste rocce, derivate verosimilmente da un unico magma. Dove la roccia originaria abbia subito una profonda trasformazione, specialmente nei diabasi che ricoprono i calcari alberesi eocenici, o al contatto tra le varie rocce verdi, si formarono spesso notevoli accumulazioni di minerali di rame, in una ganga a tipo di pasta magnesiaca, di natura steatitosa di colore grigio verdolino. Il minerale è per il solito calcopirite in noduli, irregolarmente distribuiti e di varia grandezza, spesso parzialmente, ed anche totalmente, convertita in erubescite e calcosina con arrossamento della matrice per l'ossido ferrico liberato. Lo stesso arrossamento si ha talora della roccia dalla cui alterazione questi filoni, detti impastati da P. Savi, si possono considerare derivati, e il diabase alterato e arrossato viene in Toscana indicato con il nome di gabbro rosso. Questi giacimenti si possono considerare formati per lisciviazione delle rocce incassanti, oppure anche di concentrazione magmatica in rocce basiche; l'azione delle acque si sarebbe allora fatta sentire dopo la costituzione del giacimento e avrebbe originato la pasta magnesiaca, la trasformazione della calcopiritie in erubescite, calcosina, ecc., e la formazione di zeoliti, assai frequenti. In Toscana e in Liguria sono assai numerosi i giacimenti di questo tipo; purtroppo attualmente nessuno è sfruttato.
Fra tutti celebre quello di Montecatini Val di Cecina; escavato per secoli, fu un tempo la miniera di rame più ricca d'Europa. Il giacimento è compreso fra il diabase e gli strati calcareo-argillosi e diasprini dell'Eocene e soltanto in un breve tratto comparisce, fra esso e le rocce diasprine eoceniche, una piccola massa serpentinosa. In Liguria fu con molte speranze sfruttato in questi ultimi anni il giacimento di Deiva, nella regione ofitica del Bracco, fra mezzo alle rocce eufotidiche. Fra le diverse forme dei giacimenti cupriferi si deve considerare anche la mineralizzazione per impregnazione di rocce sedimentarie, specialmente conglomerati e arenarie. Fra i primi sono celebri quelli di Calumet ed Hecla sul Lago Superiore, già ricordati per la ricchezza in rame nativo; fra le seconde si possono ricordare quelle dell'Eifel (Germania), di Perm (Russia) e specialmente quelle di Corocoro (Bolivia). Anche scisti e calcari possono presentare esempio di mineralizzazione; sono specialmente noti gli scisti cupriferi del Mansfeld che dalla Russia si estendono alla Slesia; sono bituminosi e mostrano nei loro piani di separazione assai frequenti resti organici, pesci soprattutto, calcopiritizzati. Il loro titolo in rame è generalmente assai basso (2%), ma sono così estesi e ne è così facile l'escavazione a cava aperta, da poter dire che costituiscono il giacimento di rame più importante della Germania. Per questi giacimenti a tipo d'impregnazione è discutibile se la mineralizzazione sia contemporanea, o posteriore alla deposizione delle rocce, i più ammettendo probabile la contemporaneità. Se questi sono i principali tipi di giacimenti cupriferi, quando si vogliano fare ricerche sulla loro distribuzione nel mondo, le statistiche della produzione del metallo c'indicano gli Stati Uniti al primo posto; poi il Chile, l'Africa centro-meridionale, il Canada, il Giappone, il Messico, la Norvegia, la Spagna. Per l'Italia purtroppo la produzione annua, di circa 3000 tonn., ci dice come essi sieno oggi ben poca cosa.
Metallurgia. - Il minerale di rame che più di frequente interviene nei trattamenti metallurgici è la calcopirite, CuFeS2, che si trova generalmente associata alla pirite; ma si hanno produzioni ragguardevoli del metallo anche dai minerali ossidati (cuprite, malachite, azzurrite, crisocolla, atacamite, brocantite). La principale fonte di rame della Germania è rappresentata dagli scisti cupriferi di Mansfeld, che contengono rame allo stato di ossido e di solfuro; il grande giacimento, sfruttato intensamente nel dopo-guerra, dell'alto Katanga (Congo belga) è costituito da minerali ossidati, e quello notevolissimo di Chuquicamata (Cile) è mineralizzato da brocantite (solfato basico).
Nell'ultimo cinquantennio il tenore medio di rame delle piriti cuprifere trattate è andato sempre più decrescendo, sia per l'esaurimento dei giacimenti più ricchi, sia per la valorizzazione di quelli più poveri col progredire dei metodi metallurgici. Tale tenore raramente raggiunge o supera il 15%; più di frequente si aggira dall'1 al 3%: si sfruttano oggi con la flottazione giacimenti a meno dell'1%, fino al 0,8%. Il processo di flottazione ha condotto, particolarmente nel campo del rame, alle maggiori e più significative produzioni di minerali arricchiti; i seguenti dati statistici del 1928 ne illustrano l'applicazione nell'America Settentrionale:
I trattamenti metallurgici per le piriti cuprifere si basano su uno schema ormai classico, che corrisponde alle fasi seguenti:
fusione a metallina, che può suddividersi in due tempi: arrostimento desolforante; fusione susseguente;
conversione della metallina in rame grezzo, impuro (rame nero, blister), che può essere preceduta da una conversione parziale per arricchire la metallina;
raffinazione del rame grezzo, che in un primo tempo avviene sempre per via termica, e alla quale può susseguire quella per via elettrolitica, allorché si richieda il metallo elettrolitico.
Fusione a metallina. - Il trattamento riposa sul fatto che il rame ha maggiore affinità per lo zolfo che non il ferro, e questo metallo ha più affinità per l'ossigeno rispetto al rame.
La fusione permette di separare dalla ganga ferrifera che scorifica il rame in forma concentrata, in miscela di solfuro rameoso e ferroso, Cu2S•nFeS (metallina).
Ciò è possibile allorché permanga nella cenere di pirite cuprifera, risultante dalla desolforazione, un tenore di zolfo sufficiente. Il ferro in eccesso, in forma di FeO, si combina con la silice presente, generando la scoria. La metallina fusa non è miscibile con la scoria fusa, e questa, specificamente leggiera, più galleggia sullo strato dei solfuri. La scoria ha composizione complessa, ma determinata entro certi limiti di rapporti tra silice e ossidi basici, affinché raggiunga il peso specifico voluto, la temperatura di fusione e la fluidità adeguate, per la separazione dalla metallina e per il buon rendimento del rame estratto. Sono frequenti i rapporti:
Si ammette in generale un tenore di circa l'1% di rame nelle scorie, raramente del 2%.
La formazione della metallina è accompagnata dall'estrazione dei metalli preziosi (oro e argento) che seguono il rame: fatto questo di grande interesse dal lato metallurgico ed economico.
La temperatura di fusione delle metalline si aggira sui 990°-1000°, e nei forni di cui diremo si opera a temperature alquanto superiori per conseguire la necessaria fluidità della scoria.
La fusione si attua in forni a vento tipo water-jacket, a camicia d'acqua (vedi anche piombo), oppure con forni a riverbero.
In detti forni il crogiolo reca due fori di colata, l'uno superiore per la scoria, l'altro inferiore per la metallina: in alcuni grandi impianti moderni è abolito il crogiolo interno, e si ha un avancrogiolo nel quale si opera la separazione su accennata.
Il forno a vento si applica agli agglomerati, ottenuti dopo o durante il processo di desolforazione, non ammettendo più del 10% di fino; si impiega anche per certi minerali di grossa pezzatura che possono subire il trattamento cosiddetto piritico o semipiritico, cioè con l'intervento di relativamente notevoli percentuali di zolfo.
Il trattamento dei fini, che non abbiano subito l'agglomerazione, si opera in forni a riverbero.
Il riverbero può presentare difficoltà con minerali poveri, per la grande massa di scoria e quindi per il costo del riscaldamento; per contro le scorie sono omogenee, la separazione più facile, il dominio delle reazioni, provocate anche dall'atmosfera del forno, è pure più agevole.
I dati seguenti illustrano il funzionamento di alcuni grandi e noti impianti. Si avverte che, all'infuori del caso indicato della Nichols Copper Co., si tratta di funzionamento semipiritico:
Oltre le metalline dai forni predetti si possono ottenere degli speise, analogamente a quanto si è detto per il piombo, allorché si trattino minerali relativamente ricchi di antimonio e arsenico. Nel rame questi prodotti, che sono soprattutto antimoniuri e arseniuri, s'incontrano più raramente, e si elaborano a parte, non senza difficoltà.
Esempio di composizione di metalline:
Conversione della metallina a rame grezzo (rame nero). - La conversione della metallina a rame nero costituisce in definitiva un processo di ossidazione dello zolfo e del ferro presenti. Da tempo ormai non hanno importanza degna di rilievo i cosiddetti trattamenti di arrostimento al riverbero: l'uno detto inglese, in cui la metallina, in due tempi, veniva portata a rame nero; l'altro detto tedesco, con ottenimento del rame in due frazioni. In entrambi il metallo veniva raffinato per ottenere il cosiddetto best selected, al 99%, commerciabile.
Il processo di conversione, attuato con apparecchi analoghi al convertitore introdotto da Bessemer nella siderurgia, in cui si inietta aria nella massa fusa di metallina, per la sua praticità, ha sostituito tali antiquati e costosi trattamenti.
L'aria insufflata nel convertitore agisce ossidando lo zolfo e il ferro, questo si elimina principalmente come silicato ferroso, per la silice preente, e forma la scoria:
in via intermedia si genera ossidulo di rame:
l'ossidulo agisce sul solfuro rameoso e si produce il rame grezzo:
I prodotti finali sono appunto anidride solforosa, rigettata nei gas, scoria ferrosa, rame grezzo. I preziosi passano ancora nel rame.
L'insieme delle reazioni esotermiche mantiene le temperature volute, alquanto superiori a quella di fusione del rame grezzo, circa 1000°.
Naturalmente sussistono limiti di concentrazione di Cu2S per il buon rendimento della conversione: sono ottime metalline dal 40 al 60% di Cu. Si trattano però anche prodotti più poveri.
Le scorie dei convertitori di frequente recano un tenore significativo di rame, e si aggiungono alla carica del forno a vento, sia per recuperare il metallo, sia per correggere la composizione della scoria.
Raffinazione termica. - Al convertitore si eliminano notevoli percentuali dei componenti secondarî, ad esempio il piombo per il 95-99%, il bismuto e l'arsenico fino ad oltre il 90%, l'antimonio fino al 70% circa; ma il rame di conversione trattiene comunque una percentuale d'impurezze tale da renderlo inutilizzabile, anche prescindendo dal recupero dei preziosi; deve essere quindi sottoposto all'affinamento.
Alcune impurezze posseggono maggiore affinità per l'ossigeno rispetto al rame; e l'operazione è anzitutto ossidante, attuata in forni a riverbero: i componenti secondarî ossidandosi scorificano o volatilizzano. L'ossidazione però deve spingersi per conseguire il grado voluto di depurazione e il rame fuso si satura di ossidulo Cu2O, che è necessario distruggere in una fase finale, compiuta in ambiente riducente; altrimenti l'ossidulo, come una scoria, renderebbe impuro e meccanicamente scadente il rame affinato.
In questa seconda fase può compiersi il cosiddetto perchage, antico metodo consistente nell'introdurre nel metallo fuso una pertica di legno verde, che provocando lo sviluppo di gas riducenti rimescola il bagno, che si copre poi con carbone. Nei grandi impianti si procede in seguito a una seconda fase ossidante di più breve durata, e, dopo un ultimo perchage, il metallo assume, solidificandosi, la caratteristica grana rosa-salmone e l'elevata duttilità.
La prima fase detta di fusione si prolunga per circa 9 ore; la colata finale avviene dopo una durata complessiva di 20-21 ore. Permangono però nel rame i metalli nobili, alta frazione del nichelio originale, se presente, l'arsenico e altre impurezze.
Si riporta un esempio del giuoco della composizione del metallo sottoposto all'affinamento termico:
Raffinazione elettrolitica. - Per conseguire l'elevata purezza, quale l'esigono le applicazioni elettrotecniche e per il recupero dei preziosi, non sussiste finora alcun altro metodo oltre la raffinazione elettrolitica.
Come si disse essa ha un duplice scopo:
ottenere rame ad alta purezza, a non meno del 99,90%, ma soprattutto scevro o quasi di alcune impurezze, quali Ni, As, ecc., che ne deprimono notevolmente la conducibilità elettrica;
raccogliere in forma di melme anodiche i metalli preziosi presenti.
Il principio e il metodo sono esposti alla voce elettrometallurgia; comunque ricordiamo che gli anodi di rame già affinato termicamente, e non aventi in genere più dell'1% di impurezze, vengono posti in elettroliti di solfato di rame e acido solforico (40 gr. di Cu e 15-24 gr. H2SO4/litro): il rame si depone su lamine catodiche, previamente preparate per elettrolisi, con densità di corrente non inferiori ai 150 amp./mq. e fino a 230 amp./mq., e con 0,25-0,45 volt di tensione ai poli dell'elettrolizzatore. Dei metalli meno nobili del rame alcuni si accumulano in soluzione, quali Zn, Ni, Fe; il piombo precipita come solfato, il bismuto come sale basico; dei metalloidi l'antimonio e l'arsenico si suddividono fra la soluzione ed i residui anodici, e in questi infine permane praticamente la totalità dei metalli nobili, argento, oro, platino, se presente.
Le melme anodiche vengono trattate per metalli preziosi e da esse si ricava di frequente quella lega Au-Ag che viene chiamata doré, e che viene raffinata elettroliticamente per metalli preziosi puri.
L'elettrolito circolante nei bagni subisce sistematica depurazione dall'arsenico, antimonio, e la necessaria correzione della composizione: viene pure rinnovato a periodi per limitare l'accumulo dei metalli e metalloidi predetti e soprattutto del nichelio.
Tale trattamento dell'elettrolito dà luogo in alcuni impianti a una produzione di solfato di rame commerciale, determinata anche dal fatto che l'elettrolito tende ad arricchirsi di rame, superando in generale il rendimento di corrente all'anodo quello del catodo.
Riportiamo alcuni dati tipici che indicano gli effetti della raffinazione e la composizione di un tipo di residui o melme anodiche della raffinazione.
Il trattamento dei minerali che contengono il rame come ossido o anche allo stato nativo è, come ovvio, più semplice. Si può superare la fusione per metallina e passare direttamente a rame grezzo, sia al forno a vento, sia al riverbero, a seconda della ricchezza in rame del minerale della ganga. Dopo la separazione dalla scoria, il rame, anche in questi casi, passa alle raffinazioni sopra indicate.
Il caso più noto e maggiore di elaborazione di rame nativo è quello dell'impianto già citato di Calumet, in cui il minerale della regione del Lago Superiore viene fuso direttamente, previa concentrazione, e raffinato nello stesso forno.
Evoluzione della metallurgia del rame. - Desolforazione. - I progressi compiuti nell'ultimo trentennio nell'arrostimento dei minerali solforati sono intimamente connessi con il trattamento delle piriti cuprifere; anzi sono state le preoccupazioni dei metallurgisti ad eccitare l'evoluzione dei forni e degli apparecchi di desolforazione, e ad influire su quella degli impianti per l'ottenimento di SO2 destinata all'acido solforico e più generalmente alimentati con pirite.
Il vecchio forno a griglia e a carica discendente e quello a mano, tipo Maletra, nel sec. XX scompaiono e si afferma il tipo meccanico MacDougall, Herreschoff, che attraverso la varia esperienza europea e americana assurge dai piccoli modelli iniziali di circa 3 tonn./giorno di pirite, ai grandi tipi Wedge e simili (diametro di 6 metri, altezza di 10 m. circa) e della potenza fino a 120 tonn./giorno e oltre di piriti cuprifere.
Il tenore di zolfo determina la possibilità di arrostimento con o senza apporto di calore sussidiario. Con meno del 40% di zolfo in generale è necessario il riscaldamento sussidiario, ottenuto generalmente con becchi a olio pesante o a carbone polverizzato, le cui fiamme sono introdotte nei piani inferiori dei forni meccanici sopra accennati.
La necessità di desolforazioni spinte, e soprattutto dell'agglomeramento del minerale arrostito (forno a vento), introduce il forno a griglia continua che oggi si concreta nel tipo a nastro Dwight-Lloyd (v. piombo).
Nel tempo stesso la necessità economica di trattenere le polveri asportate dai gas della desolforazione, le quali raggiungono con i minerali fini alte percentuali, reca la diffusione degli apparecchi elettrostatici di precipitazione delle polveri stesse, dovuti a Cottrell.
L'evoluzione è lungi dall'aver raggiunto la stasi in questo campo: sono ora in studio e sviluppo i forni tubolari rotativi per piriti, i forni a fiamme di minerale soffiato, questi soprattutto per le blende. Sono probabilmente da attendersi notevoli modifiche nell'insieme dei futuri impianti d'arrostimento.
L'attrezzatura meccanica odierna, infine, mette a disposizione del metallurgista aggregati complessi di arrostimento: è possibile l'abbinamento del forno meccanico (tipo Wedge e analoghi) con lo Dwight-Lloyd: il primo a funzione di desolforante, il secondo soprattutto di agglomerante.
Fusione per metalline. - Il forno a vento nel sec. XX passa dalla forma a sezione circolare a quella rettangolare che permette una marcia più regolare con le grandi dimensioni: sono noti i grandi water-jacket di Anaconda della sezione di 25 × 1,40 m. circa. Da questi forni la metallina e le scorie colano in modo continuo, passando in un avancrogiolo in cui si compie la separazione e la colata distinta dei due liquidi.
In alcuni impianti è stato introdotto il mescolatore, omogenizzatore della metallina, analogo, salvo le dimensioni, a quelli usati per la ghisa.
Il forno a riverbero per i fini dal 1894 al 1912 assurge alle massime dimensioni: passa da 50 tonn./giorno di minerale a 350 tonn. e oltre, con suole di 25 × 5 m. circa, e poi fino a 40,8 × 8,2 metri (Nevada Cons. Copper Co., 1921).
Il riscaldamento è fatto con carbone in polvere o ad olio pesante: le temperature nella camera salgono verso 1700°.
La natura di alcuni minerali a grande pezzatura, e a composizione conveniente (ganga), ha condotto ad alcune notevoli varianti del metodo di fusione.
Con la marcia tipica, nel forno a vento, fondono, mercé l'intervento del coke, il conglomerato sufficientemente desolforato, i correttivi per la scoria, le scorie di ritorno dei convertitori.
Nella cosiddetta fusione piritica, invero limitata a rari impianti, il combustibile, coke, è sostituito dal ferro e dallo zolfo del minerale solforato, che viene trattato come tale.
Si è sviluppato anche un metodo intermedio, detto di fusione semipiritica, in cui per il tenore di zolfo, insufficiente a intrattenere le temperature necessarie, si alimenta il forno con minerale, coke e le aggiunte per le scorie, proporzionando il coke alla composizione del minerale solforato.
Le fusioni piritiche e semipiritiche sono paragonabili, in parte, al primo tempo della conversione delle metalline, e si è tentato in alcuni impianti, con successo vario, d'impiegare per esse il convertitore stesso.
La fusione semipiritica si è alquanto diffusa in diversi impianti nordamericani, come abbiamo accennato.
Lo sviluppo recente della flottazione ha ridotto il campo d'azione del forno a vento. I concentrati di flottazione esigono l'agglomeramento, e, dato il loro alto tenore di rame, è più conveniente trattarli direttamente nei forni a riverbero, senza o con desolforazione preliminare, a seconda dei casi; naturalmente si perviene sempre a metallina.
L'insieme degl'impianti varia con la natura del minerale e con il concorso di tutte le condizioni di ambiente.
Lo schema qui riportato degl'impianti delle Fonderie di Calumet e Arizona (Douglas, Ariz.) illustra un diagramma complesso, con forni a vento e forni a riverbero: i primi a funzionamento semipiritico, i secondi alimentati con fini, previamente arrostiti ai forni meccanici.
Conversione. - I convertitori vennero introdotti anche nella metallurgia del rame con rivestimento acido, silicioso. Si è usata silice addizionata di argilla. Tale materiale attivo, per la silice, nelle reazioni della conversione, durava al massimo da 10 a 12 cariche. Per ridurre l'aggravio di tale manutenzione si è tentato di ricorrere alla magnesia, cioè al rivestimento basico, come già si era operato con il convertitore Thomas nella siderurgia.
Questo rivestimento veniva però facilmente attaccato dalla silice necessariamente presente, ma dopo tentativi molteplici il nuovo metodo si afferma nel 1905 e si diffonde rapidamente: nel 1911 l'80% della produzione mondiale è affidata ai convertitori basici.
La protezione della magnesia si consegue spingendo la conversione senza silice nella prima carica, con rivestimento nuovo; in tal modo si forma ossido magnetico di ferro che fonde a circa 1500°, e si produce una specie di smalto che aderisce alla magnesia stessa. Con tale accorgimento il convertitore è atto a sopportare un numero notevole di cariche, poiché nelle operazioni successive non si raggiunge la temperatura di fusione dello smalto ferrifero.
Il metodo acido non è però scomparso, anzi, mediante le aggiunte di silice alla carica, suggerite dalla marcia dei convertitori basici, si è perfezionato, cosicché con esso si possono trattare alcune metalline relativamente molto povere, al 20% di rame.
I convertitori sono cilindrici, orizzontali o verticali.
Metodi elettrometallurgici e idrometallurgici. - Il forno elettrico, nella fusione dei minerali cupriferi, è stato pure studiato ed applicato. È noto particolarmente il tentativo col forno Westley (tipo Héroult) della Sulitjelma Copper Co. destinato a fondere per metallina.
Più recenti sono gli studî sui minerali ossidati dell'alto Katanga, che hanno portato a consumi di 1000 a 500 kWh. per tonn. di minerale a seconda della ganga. È certo che uno degli ostacoli maggiori all'affermarsi del forno elettrico, nella metallurgia del rame, risiede nell'elevato consumo di energia.
Può avere possibilità di applicazione dove concorrono difficoltà di trasporto dei materiali, alta fusibilità della ganga, mancanza di combustibili, energia a basso prezzo.
Il processo di raffinazione elettrolitico, se è profondamente evoluto nell'organizzazione e costruzione degl'impianti, non ha subito, né poteva subire, variazioni sensibili nel metodo, in cui soprattutto si è avuto il graduale incremento della densità di corrente, che permette una assai minore giacenza del metallo nell'impianto, e quindi una ragguardevole diminuzione degli aggravî passivi dell'ingente capitale che il metallo rappresenta.
Si hanno tuttora funzionanti i due metodi: quello cosiddetto multiplo, con celle recanti gli anodi e i catodi rispettivamente in parallelo, quello detto in serie (Hayden), con elettrodi bipolari ottenuti per laminazione. Negli elettrolizzatori del secondo tipo il rame puro si depone su una faccia della lastra di metallo grezzo, mentre questo si discioglie dall'altra.
Il primo metodo è più diffuso soprattutto per la maggiore elasticità dell'applicazione. Le celle del primo sistema raggiungono unità fino a 10.000 amp., con un consumo di energia di circa 1 kWh. per 3,6 kg. di metallo.
Si riporta il diagramma seguente di lavorazione, tipico dell'impianto dell'Anaconda Co.
Il rame elettrolitico, rifuso e trafilato, possiede oggi generalmente una conducibilità superiore al 100% del campione depositato a Londra (100% corrisponde a 0,15328 ohm per m./grammo a 20°).
L'America tiene sempre il grande primato nella raffinazione elettrolitica: la sola raffineria della Guggenheimer Co. di Baltimora ha prodotto nel 1926-28 circa 330.000 tonn. di raffinato l'anno.
Nella sezione di Filadelfia della zecca americana si sono ottenuti raffinati fino a 200 kg./giorno di oro, proveniente dai residui anodici delle raffinerie.
Presenta notevole interesse la recentissima applicazione dei forni elettrici a vuoto per la fusione del rame elettrolitico, che così risulta privo di ossigeno, con alta caratteristica conducibilità.
L'estrazione del rame per via elettrolitica è stata oggetto di tentativi lontani e recenti, dai primitivi dell'italiano Marchese (1894) ai più recenti.
Si ebbero esperimenti notevolissimi nell'America Settentrionale; pochi anni or sono si descrisse un impianto di grande esperienza industriale nell'alto Katanga che doveva raggiungere le 200.000 tonn. annue.
Ma l'attuazione più grandiosa permane quella della Chile Copper Co. a Chuquicamata nel Chile, alimentata dalla centrale termica di Tocopilla, e della potenza di circa 180.000 tonn. annue.
Il principio generale è sempre quello di portare il rame in soluzione come solfato, deporlo per elettrolisi con anodi inattacabili, piombo perossidato o leghe speciali, ripristinandosi all'anodo l'acido che torna in ciclo:
Le difficoltà sono molteplici, date dalla necessaria solubilizzazione del rame, del ferro che entra in soluzione, dagli altri componenti secondarî.
Nel caso di Chuquicamata, la brocantite, solfato basico, che impegna roccie inattaccabili, con un tenore medio dell'1,6% circa di rame, offre un caso eccezionale e favorevole per la facile solubilità del metallo, per l'inerzia chimica della ganga.
Il trattamento è ostacolato però dal cloro e dall'acido nitrico, da cloruri e nitrati presenti nel minerale, che intaccano profondamente gli anodi. Il primo si elimina in larga parte con elegante trattamento, in forma di cloruro rameoso insolubile; si fronteggia il secondo, usando anodi di una lega speciale di silicio-rame-ferro, detta Cilex. Si otterrebbero gr. 390 di rame per 1 kWh.
Riproduciamo nella colonna precedente, in basso, l'interessante diagramma sommario dell'officina.
Non hanno oggi significato notevole certi metodi, già proposti da antica data dallo stesso Marchese, e che si ristudiarono più di recente, basati sull'attacco dei minerali solforati con sali ferrici (solfato):
Il sale ferrico poteva rigenerarsi per ossidazione anodica da quello ferroso, deponendosi il rame al catodo, con un ciclo chiuso di operazioni.
Tale solubilizzazione del rame può verificarsi in parte nei trattamenti di ceneri debolmente cuprifere, di fabbriche d'acido solforico.
Cementazione. - Le ceneri di pirite si trattano talora in cumuli con acido diluito. Lentamente si raccoglie la soluzione acida cuprifera, da cui il rame si cementa con rottami di ferro:
Il cemento rame può raggiungere anche titoli superiori all'80% di rame. Può passare alla fusione in forno a riverbero; oppure, previamente ossidato, talvolta s'impiega per produrre solfato di rame.
Sono stati azionati grandi impianti meccanicizzati di lisciviazione al classificatore tipo Dorr della cenere o di minerali ossidati, con cementazione successiva in ciclo continuo o semicontinuo.
Nel momento degli alti prezzi dei metalli, ebbero favore alcuni impianti di valorizzazione delle ceneri di pirite delle fabbriche di acido solforico, sottoponendole dapprima a desolforazione clorurante mediante aggiunta di cloruro sodico, in appositi forni, operando a 3500-4000.
L'acido solforico, che si genera in presenza di vapor d'acqua e dell'ossigeno atmosferico, libera acido cloridrico che attacca soprattutto il rame presente, che passa a cloruro, e produce solfato di sodio. La massa, lisciviata con acqua, cede solfato di sodio e cloruro di rame. Il rame si separa per cementazione; dalla soluzione residua, per raffreddamento, cristallizza il sale di Glauber (Na2SO4•10H2O) sufficientemente puro. La cenere di pirite così depurata può venire brichettata e resa infine in mattonelle compatte mediante cottura ad alta temperatura in forni appositi. Un grande impianto di questo tipo è stato costruito dalla Società Montecatini presso il porto industriale di Venezia.
Produzione e consulto.
Il metallo commerciale si distingue in non elettrolitico ed elettrolitico.
Il primo corrisponde a gradi diversi di purezza secondo il vario grado di affinamento che lo rende adatto per usi diversi.
Il rame elettrolitico non si contraddistingue soltanto per la purezza complessiva, ma soprattutto per lo scarso contenuto o l'assenza di quelle impurezze che maggiormente ne deprimono la conducibilità. È caratteristico sotto questo aspetto il diagramma, collocato qui a fianco, determinato da Addicks fin dal 1905.
La valutazione del rame elettrolitico si basa sulla conducibilità, che, per il rame ricotto a 600°, deve essere ≤ 17,84 Ω per 1 km. di lunghezza ed 1 mmq. di sezione a 20°, con un incremento di 0,668 Ω per l'aumento di 1° di temperatura.
Il metallo raffinato, non elaborato meccanicamente, vene commerciato in forme tipiche introdotte da lungo tempo nel commercio: in blocchi (inglese: ingot e ingot-bar); in barre di trafila (inglese: nire-bar e slab); in barre cilindriche (inglese: billet).
Inoltre si commercia in piastre quadrate e discoidali, infine in catodi, non rifusi, quali provengono dai bagni di raffinazione.
Nel mercato europeo si adottano generalmente le specificazioni della borsa di Londra dei metalli.
La classificazione dei tipi è basata sulla purezza: ad esempio le norme germaniche specificano:
La produzione mondiale del rame presenta un rapido incremento dal 1880 in poi, con la valorizzazione dei grandi giacimenti nordamericani.
La produzione mondiale del rame ha toccato il massimo nel 1929, salendo a 1.894.700 tonn., con un consumo mondiale di 1.761.400 tonn. Il rapido accumularsi degli stock invenduti e il relativo deprezzamento hanno arrecato negli anni seguenti la più grave crisi che mai si sia verificata nel campo metallurgico dei metalli non ferrosi pesanti. Si sono chiuse imponenti officine ed è cessata o quasi la produzione dell'alto Katanga. La produzione scende così nel 1932 al minimo; dal 1933 si nota la ripresa.
I prezzi, dopo precipitosi ribassi, sono dal 1933 in rialzo:
L'elettrolitico scese a New York nel 1932 a cts. 4,15 per libbra. Il massimo prezzo si ebbe nel 1805 a Lst. 198 per tonn.; il minimo nel 1932 a Lst. 25.1/32.
La crisi del rame è parallela a quella dello zinco e del piombo, e costituisce uno degli aspetti più caratteristici di quella generale.
Bibl.: Per le proprietà fisiche e chimiche: J. W. Mellor, A comprehensive Treatise on Inorganic and theoretical Chemistry, Londera 1928; H. Remy, Lehrbuch der anorganischen Chemie, Lipsia 1932; P. Pascal, Traité de Chimie minérale, Parigi 1933; E. H. Riesenfeld, Lehrbuch der anorganischen Chemie, Lipsia 1934. Per la mineralogia: A. D'Achiardi, I metalli, loro minerali e miniere, I, p. 278, Milano 1883; P. Weiss, Le cuivre, Parigi 1894; F. Beyschlag, P. Krusch, J. H. L. Vogt, Die Lagerstätten der nutzbaren Mineralien und Gesteine, II, Stoccarda 1913, p. 360; L. De Launay, Traité de Métallogénie. Gîtes minéraux et metallifères, II, Parigi 1913, p. 619; E. Molinari, Trattato di chimica generale e applicata all'industria, I, ii, Milano 1919, p. 619; G. D'Achiardi, Guida al corso di mineralogia. Mineralogia descrittiva e applicata, Milano 1925, p. 576. Per la metallurgia: H. O. Hofman e C. H. Hayward, Metallurgy of copper, New York 1924; V. Tafeln, Lehrbuch, Lipsia 1927; Werkstoffnormen. Nichteisen-Metalle, Berlino 1927; J. Billiter, Die neuen Fortschritte, Halle 1930; E. W. Mayer, e H. Schranz, Flotation, Lipsia 1931; V. Engelhardt, Handbuch, Lipsia 1932; Quin's metal Handbook, Londra 1935.
Medicina.
Farmacologia. - Poco usati sono in terapia i sali di rame. Il solfato irrita le terminazioni nervose dello stomaco e per via riflessa provoca prontamente il vomito, alla dose di gr. 0,5-3 per dose. È irritante, per cui si raccomanda solo come antidoto del fosforo che rivestito di un sottile strato metallico verrebbe difficilmente assorbito. Solido è usato come mite escarotico nelle congiuntiviti, tracoma, uretriti, vaginiti, ecc. Avendo azione tossica oligodinamica sulle alghe e i funghi è stato proposto per la purificazione dell'acqua potabile, ma l'azione battericida è piccola o nulla. Sali di rame solubili somministrati a dosi elevate possono produrre gastroenteriti, lesioni della milza, reni e altri organi. Si è sostenuto da alcuni che il rame si trova normalmente nei tessuti; da altri si è negato. Recenti ricerche fatte col polarografo ne ammetterebbero l'esistenza. Come gli altri metalli colloidali anche il rame colloidale è stato sperimentato nella cura del cancro, ma tanto questo quanto altri preparati organici di rame non hanno dato successi clinici degni di nota.
Tossicologia. - L'avvelenamento da sali di rame attualmente è abbastanza raro; i sali più comunemente reperibili sono il solfato e l'acetato di rame, per i quali la dose letale minima è di circa 10 grammi. Data l'azione prevalentemente caustica ed emolitica e l'affinità per il sistema nervoso centrale, il tossico ingerito in forti dosi determina la formazione sulle mucose di escare verdastre, dure, poco profonde; vomito precocissimo, scialorrea, orlo rameico gengivale. L'addome è tumefatto e dolorabile, abbondanti le scariche diarroiche rossobrune. Facile è l'insorgere di ittero. Si osserva rapidamente deficit funzionale di tutta la muscolatura e del cuore; il polso è piccolo e frequente. Gli arti diventano paretici, il malato cade in istato di collasso. L'esito letale non è frequente. Nell'avvelenamento cronico professionale l'aspetto è cachettico, la pelle di colorito verdognolo; v'è orletto rameico, gastroenterite, coliche, ittero. Discussa è la patogenesi della paralisi che talora si osserva. La cura si fa mediante lavaggio gastrico con ferrocianuro potassico, magnesia usta, limatura di ferro, glucosio, carbone animale. Si somministra inoltre acqua albuminosa e latte, purganti oleosi. La prognosi di solito è benigna data la precocità del vomito che espelle la maggior parte del veleno. Evitare l'olio e i grassi.
Archeologia e arte.
Il rame e l'oro furono i primi metalli utilizzati dall'uomo. Per loro natura infatti, come quelli che si rinvenivano allo stato nativo, attirarono l'attenzione dell'uomo neolitico e poterono facilmente essere estratti e sottoposti a lavorazione. L'utilizzazione dell'oro rimase necessariamente sempre ristretta alla fabbricazione di oggetti d'ornamento. Con il rame, per contro, si ottennero ben presto armi e utensili. Sul minerale rame, il quale colpiva l'occhio con il bel colore, con la sua pesantezza, si esercitò primamente il martello neolitico.
Solitamente il rame nativo si ritrova in pezzi di piccole dimensioni. Solo quando si giunse alla conoscenza del modo di fondere insieme questi pezzi, si ebbero i primitivi utensili ed armi. Dalla fusione del rame entro forme ebbe origine nel vecchio mondo la metallurgia: fattore di eccezionale importanza per lo sviluppo delle Culture. I primitivi abitatori dell'America sembra non abbiano superato lo stadio tecnico della lavotazione con il mezzo del solo martello.
Lo stadio di cultura del rame si dice cuprolitico o eneolitico: s'avverta però che si dicono eneolitici pure aspetti di civiltà regionali affini o coevi, nei quali, per l'una o l'altra causa, manchi o sia scarsissimo il rame (v. eneolitica, civiltà). Se la naturale pieghevolezza del rame lo rendeva adatto ad essere martellato, la poca durezza costrinse abbastanza presto a legarlo con lo stagno: si ebbe così il bronzo (v. bronzo, civiltà del).
I più antichi oggetti di rame apparvero nel corso del V e IV millennio a. C. in Caldea ed in Egitto. L'isola di Cipro - donde l'appellativo classico del rame, cyprium - fu presto uno dei centri principali di produzione industriale nel Mediterraneo. È, o è stata almeno, opinione prevalente fino ai giorni nostri, che i primi oggetti di rame - l'ascia piatta e il pugnale triangolare - siano stati primamente fabbricati appunto nei paesi del Mediterraneo orientale e che di là si siano diffusi, con la conoscenza dei procedimenti metallurgici, nell'Europa centrale ed occidentale, quando le culture litiche erano pervenute alla loro fase culminante.
La Penisola Iberica fu centro importante di una primitiva industria del rame (v. eneolitica, civiltà), in relazione evidente con la ricchezza dei giacimenti ramiferi. Particolarmente notevoli nella produzione iberica le lame triangolari inchiodate a un lungo manico orizzontale: specie di "accette d'arme", inesattamente dette alabarde dai paletnologi inglesi. L'eneolitico iberico ci appare essere stato magnifico. Anche l'Ungheria e l'Irlanda ebbero una fiorente primitiva industria del rame.
Nelle Alpi Orientali (Tirolo e regioni finitime) la ricchezza di giacimenti di rame fu ragione, dalle ultime fasi della civiltà del bronzo, di notevole floridezza d'industria, di traffici e di vita.
Lo splendore della civiltà nuragica sarda è per larga parte dovuto all'intenso sfruttamento delle miniere dell'isola e alla fiorentissima industria del bronzo.
Dall'Elba proveniva agli Etruschi, oltre al ferro, anche il rame, che tuttavia nella maggiore sua quantità era dato dalle miniere del Campigliese e di Montecatini in Val di Cecina. Nel Campigliese oggetto di ammirazione è la "Gran Cava", miniera etrusca con pozzi, trombe di aereazione, gallerie. Per formare il bronzo, del quale erano eccellenti lavoratori, gli Etruschi si potevano servire sia dello stagno importato da lontano, sia di quello dato, in non grande quantità, dai Monti Metalliferi.
Presso i Greci e presso i Romani lo stesso termine (χαλκός, aes) si usava per indicare tanto il rame puro, quanto il bronzo: solo in qualche caso, in età meno antica, il primo era più specificamente determinato con gli aggettivi: ἐρυϑρός, rubrum, κύπριος, Cyprium, καϑαρός. Ma se presso i Greci dei poemi omerici il rame puro era ancora adoperato per fabbricarne armi o utensili o per ornamento degli edifici, e se presso gli Etruschi e i Romani tale uso si conservava per qualche particolare strumento di carattere sacrale (la lama dell'aratro con cui si tracciava il solco primigenio della città; le forbici adoperate da qualche sacerdote per tagliarsi le chiome, ecc.) si può tuttavia affermare che l'impiego del rame puro fu in età classica completamente sostituito da quello del bronzo.
Bibl.: v. bronzo; eneolitica, civiltà, ecc.; H. Blümner, Technologie und Terminol. Gewerbe u. Kunst, IV, Lipsia 1887 segg.
Nel Medioevo il rame martellato e lavorato a sbalzo fu di uso assai comune, adoperato largamente dagli orafi perché poteva essere facilmente inciso, niellato, dorato, ageminato, smaltato. Mentre, infatti, gli smalti bizantini furono quasi sempre su fondo d'oro (mirabile eccezione il grande smalto col Pantocratore su rame nel Museo di Palazzo Venezia a Roma, ritrovato presso S. Maria in Trastevere), gli smalti occidentali sono incrostati su rame, o lo coprono, così quelli renani come i limosini dal sec. XII al XVI, in reliquiarî, in croci, in cappe, in legature di libri sacri, ecc.
La Schedula diversarum artium accenna al modo tenuto nel raffinare il rame e a diverse lavorazioni in uso nel sec. XII. Di rame dovettero farsi anche statue di tutto tondo e altorilievi (statuae ductiles); specialmente nei luoghi e nei momenti in cui fu meno praticata l'arte fusoria. Fra le poche statue di rame che restano del Medioevo, dobbiamo ricordare gli angeli che dominano i campanili delle cattedrali di Parma, di Piacenza e di S. Gottardo a Milano: il primo fu collocato nel 1294, il secondo (alto m. 2,82) fu posto sulla cuspide nel 1341, il terzo è del tempo di Azzone Visconti. Del principio del Trecento è la statua di Bonifacio VIII, di rame battuto, opera del senese Manno (Bologna, Museo Civico).
Oltralpe, il rame ebbe una particolare applicazione nelle grandi lastre tombali, lavorate a incavo, fiamminghe, francesi, inglesi. Nemmeno nel Rinascimento, e in seguito, cessò l'uso del rame nella statuaria. È da ricordare che prima che Leonardo da Vinci fosse a Milano, scultori lombardi proposero di modellare in lastre di rame la progettata statua equestre di Francesco Sforza; e di rame sono la Madonna, un tempo dorata, di Bartolomeo Spani sulla facciata del duomo di Reggio Emilia, il busto donatelliano di S. Rossore nella chiesa di S. Stefano a Pisa, e la colossale statua (v. figura) di S. Carlo Borromeo presso Arona (1626). Per le suppellettili sacre e domestiche il rame seguitò a essere abitualmente adoperato: per reliquiarî, per scaldavivande, per bacini, per scaldamani che sovente erano artisticamente decorati di trafori e di rilievi come i bruciaprofumi (esemplari nel Museo Correr di Venezia, nel Museo Nazionale di Firenze, ecc.).
Ricordiamo ancora per i secoli XVII e XVIII il grande fanale di nave di rame sbalzato e dorato ora nel Palazzo Donà delle Rose sul Canal Grande (fine del sec. XVI e inizio del XVII), le punte di calcese di comando di galere Morosini nella Sala del Peloponnesiaco al Museo Correr di Venezia (prima metà del sec. XVII), il triplice fanale di comando della galera di Andrea Pisani tutto di rame, con figurine bronzee, e anticamente dorato, ecc.
In Francia, l'uso del rame nella statuaria nonché in importanti opere decorative si era perpetuato anche attraverso il Rinascimento e nell'epoca barocca. Quando l'arte medievale fu rimessa in onore, esso tornò a rivivere per opera di architetti e di orafi valorosi.
I primi saggi, un po' scolastici, di questa rinascita, sono l'urna di Santa Radegonda e il reliquiario di Notre-Dame di Parigi (su disegno del Viollet): poi vennero le belle statue per la cuspide di Notre-Dame eseguite dal Monduit; e l'esempio fu seguito da artisti di fama che non esitarono a fornire schizzi e modelli adatti a questa particolare tecnica. Degne di menzione sono la Gloria che sovrasta la tomba di Paul Baudry nel Cimitero di Père-Lachaise, di Antoine Mercié, la statua di S. Michele collocata al sommo dell'Abbazia di MontSaint-Michel, opera del Frémiet. Importanti lavori d'arte di rame si fecero poi nella chiesa di Montmartre: la statua di S. Michele sull'abside del tempio (lavoro dello scultore Sicard) e il ciborio dell'altare maggiore, opera di P. Poussielgue su disegni di L. Magne, e l'urna di bronzo, rame e smalti che, su disegni del Magne e del Lefebvre, venne eseguita dal Lesage.
Il sec. XIX ha industrializzato anche la lavorazione del rame, che può essere foggiato a stampo, mediante matrici di ferro o d'acciaio, in cui il metallo è compresso progressivamente, a piccoli colpi, con uno o parecchi punzoni che agiscono verticalmente: speciali dispositivi permettono di approfondire gl'incavi e di dar più vigore alla modellazione: con le saldature si riuniscono poi i varî pezzi stampati, ottenendosi oggetti anche di notevoli dimensioni. Anche l'imbutitura al tornio ha facilitato la formazione di vasi e oggetti congeneri, che con la martellatura sullo stozzo è più difficile e lenta.
Oggi il rame, spesso in sostituzione dell'argento, serve per arredi sacri (croci, reliquiarî, lampade, candelieri, turiboli, cornici per carteglorie, porticine di tabernacoli, pissidi, calici e patene, ostensorî, pallî, ecc.) con la tradizionale lavorazione a sbalzo che si fa sul rovescio della lastra fissata sopra un massello di pasta dura ed elastica insieme, lavorazione che può essere resa più netta e precisa nel rilievo mediante il bulino adoperato sul diritto della lamina sbalzata. Ma esso non concorre quasi più alla creazione di vere opere d'arte per le quali è preferita la fusione.
L'età contemporanea tende a mettere in disuso il rame anche nelle più modeste opere decorative (arredamenti della casa, guarniture di mobili, "arte rustica" ecc.), preferendo ad esso il bronzo o altri metalli come l'ottone nichelato o cromato e l'alluminio.
V. tavv. CLXIII e CLXIV e tav. a colori.
Sulla calcografia v. acquaforte; incisione.
Le più antiche monete cinesi, in forma di coltello o di vanga, sono fuse in rame. Nella Cina antica però non erano adoperati che raramente oggetti di rame. Nel Tibet il rame è spesso adoperato puro, talvolta anche associato ad altri metalli, ottone, metallo bianco, argento, per la fabbricazione di enormi calderoni, talvolta decorati con motivi simbolici, come quelli enormi adoperati per scaldare il tè nella "festa della grande preghiera", per i monaci, a Lhasa, a Gyangtse, ecc.; per la fabbricazione di caldaie per la cucina, di teiere, di vasi per il culto, pipe ad acqua per il tabacco, ecc. Sono oggetti che hanno forme eleganti caratteristiche dell'arte tibetana, decorati talvolta con incrostazioni di varî metalli, turchesi, ecc. Oggetti e utensili di rame di varia forma sono nell'uso comune della Cina meridionale e specialmente del Yün-nan, ove si trovano miniere importanti di rame, sfruttate da secoli. L'incisione in rame fu introdotta in Cina e in Giappone dagli Europei nel sec. XVII. In Giappone gli oggetti di rame sono rari, sostituiti da quelli di bronzo.
Bibl.: Per l'antichità v. bronzo; eneolitica, civiltà; H. Blümmer, Techologie und Terminol. Gewerbe u. Kunst, IV, Lipsia 1887 segg. - Per il Medioevo e l'età moderna v.: H. Thomas King, Orfèvrerie et ouvrages en métal du moyen-âge, mesurés et dessinés d'après les ancien modèles, Bruges 1852; J.-P. Rossignol, Les métaux dans l'art, Parigi 1863; R. Ménard, Histoire artistique du métal, Parigi 1881; P. Rioux-Maillou, Les utensiles de cuisine, in Revue des arts décoratifs, 1882-83; E. Molinier, Histoire général des arts appliqués à l'industrie du Ve à la fin du XVIIIe siècle, Parigi 1897; G. Migeon, Catalogue des bronzes et cuivres du Moyen-âge, de la Renaissance, et des temps modernes, du Musée National du Louvre, Parigi 1904; L. Magne, Le cuivre et le bronze, Parigi 1917; G. Lorenzetti, Lucerne cinquecentesche veneziane, in Dedalo, II (1921-22), pp. 328-32; U. Nebbia, Antichi fanali navali veneziani, in Boll. d'arte, n. s., IV (1924-25), pp. 49-69; L. A. Pettorelli, Il bronzo e il rame nell'arte decorativa italiana, Milano 1926; A. Melani, L'arte nell'industria, Milano s. a.; É. Viollet-le-Duc, Dict. de l'ameublement.