RAMBERTI
– Famiglia ferrarese di orientamento ghibellino, appartenente all’aristocrazia consolare cittadina prima della definitiva presa di possesso di Ferrara da parte degli Estensi (1240); nota prevalentemente per il suo sostegno ai Torelli, a motivo del quale finì esiliata.
L’origine della famiglia non è, allo stato attuale, ricostruibile. Pasini Frassoni (1914, p. 456), riferendosi a Ludovico Antonio Muratori (1740, p. 774), che a sua volta citava le Historie di Pellegrino Prisciani, la fa discendere da un Ramberto conte di Ferrara, ricordato nel 973; non ci sono, però, indizi che confermino tale ascendenza. Lo stesso autore ne descrive lo stemma: «Di rosso, all’angemma d’oro, caricato di un’aquila di nero», con la variante usata da Ramberto Ramberti durante il capitanato a Bologna («spaccato d’argento e di rosso»), ma in nessun caso offre riferimenti sulle sue fonti.
Le prime attestazioni sono della metà del XII secolo, in atti che confermano la dipendenza vassallatica della famiglia dalla chiesa ravennate. Nel 1158 l’arcivescovo Anselmo investì Enrico, discendente di Gerardo, di alcuni beni siti nella pieve di San Giorgio in Tamara (Regesto della Chiesa, 1911-1931, I, p. 28), nel Polesine di Ferrara. Soprattutto in quest’area, a nord del Po di Volano tra i territori di Ferrara e di Ravenna, si concentrarono i beni fondiari della famiglia, prevalentemente a Tamara, Gradizza, Copparo e Sabbioncello di Mezzo. Lo confermano i pochi documenti di enfiteusi diretti a membri della famiglia e, con più frequenza, la loro presenza come confinanti in atti riguardanti altri personaggi (Regesto della Chiesa, ad ind.).
Alcuni Ramberti, in particolare Enrico e suo figlio Ubaldino, fecero parte della curia vassallorum dell’arcivescovo di Ravenna: nel 1164, padre e figlio dovettero rimettersi alla volontà del presule e della curia, giurando di non persistere nell’ingerenza di beni siti a Gradizza che la chiesa di Ravenna aveva concesso a Maria di Rocco, fratello di Enrico (ibid., I, pp. 33 s.). Sembra che la contesa tra i due rami familiari fosse risolta, se due generazioni dopo, nel 1225, Simone arcivescovo di Ravenna concesse ai due cugini Vindemiator e Ugo di godere in toto delle terre che erano state di Enrico e di Rocco e Maria (ibid., I, pp. 180 s.). Si può ipotizzare, a questa altezza generazionale, una suddivisione in rami a partire appunto dai fratelli Enrico e Rocco.
Dal primo discesero Ubaldino e Guido; nella generazione successiva si trova, pur senza riferimenti parentali, Susinello, console nel 1204 e nel 1209 (Vasina,1987, p. 117), e, inoltre, un certo Odone. Sempre su questa linea sembrerebbe inserirsi Ugo, noto sostenitore di Salinguerra II Torelli. Si può quindi ipotizzare che da Rocco discendesse invece quel Vindemiator, che nel 1209 fu console del Comune (ibid.), e poi padre di una Richeldina: costei fu moglie di Giacomo Fontana, e nella seconda metà del XIII secolo in possesso di alcuni beni a Castenaso, nel Bolognese, nonché in rapporti di scambio fondiario con i fratelli Enrico (II) e Susinello (II), appartenenti al ramo ‘principale’ nella generazione immediatamente successiva a Ugo.
Enrico (II) e Susinello (II) ereditarono un contenzioso che si trascinava dall’inizio del secolo, quando Mainardino, vescovo di Imola, aveva concesso una possessione in Perretolo a Susinello (I) ed eredi. La causa attraversò il secolo e oltre, andando infine a confluire nelle carte rambertiane pervenute a Luigi I Gonzaga attraverso la moglie Richeldina di Ramberto Ramberti (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, 297), figlio appunto di Susinello (II) così come Ugo (II), Enrico (III) e Tommasina.
La famiglia apparteneva, in ogni caso, al contesto urbano: nel 1184 Enrico (I) e un altro figlio, Guido, furono elencati tra i fideles di Tebaldo vescovo di Ferrara, residenti nel quartiere di S. Maria in Vado (Trombetti Budriesi, 1980, pp. 52 s.), nella parrocchia di San Tommaso (Riccobaldo da Ferrara, Chronica, a cura di G. Zanella, 1983, p. 148). A cavallo tra il XII e il XIII secolo, in concomitanza con il debutto sulla scena politica di Salinguerra II Torelli, alcuni membri della famiglia parteciparono alla vita politica cittadina. Susinello (I) fu tra i testimoni che sottoscrissero l’emanazione dello statuto cittadino del 1190 (Statuta Ferrariae anno 1287, a cura di W. Montorsi, Ferrara 1955, p. CXXXI), e fu console nel 1204, e poi nel 1209, dopo che la pars di Salinguerra, esiliata l’anno precedente, riconquistò Ferrara ad Azzo VI d’Este; nello stesso anno Susinello fu, insieme a Salinguerra, tra i testimoni di un patto di interesse monetario tra Ferrara e Bologna (Savioli, 1784-1795, II, 2, pp. 302 s.).
Dopo la morte di Azzo VI (1213), i rapporti tra i Torelli e Azzo VII Novello furono improntati per qualche anno alla distensione; Salinguerra II e il folto numero di partigiani esiliati nel 1211 poterono rientrare in città. Il 4 giugno 1216 Susinello (I) fu tra gli ambasciatori ferraresi per la stipula della pace con Mantova; nel 1217 fu testimone all’investitura della Marca anconetana ad Azzo, che l’anno successivo Odone Ramberti ricevette per conto dell’estense dalle mani di papa Onorio III (Frizzi, 1793, p. 82).
È con il sostanziale dominio di Salinguerra II Torelli su Ferrara, la cui «preminenza informale ma indiscutibile» (Varanini, 2005, p. 605) iniziò nel 1224, che la famiglia Ramberti ottenne un ruolo da protagonista. Sulla scia di Riccobaldo (che li annoverò tra i pochi nobili di chiara fede torelliana: ibid., p. 166), venne riconosciuto ai Ramberti il ruolo di principali fautori di Salinguerra, secondi, per potenza, solo alla famiglia del dominus. E fu soprattutto la sorte cui andarono incontro dopo la sconfitta di Salinguerra a confermare il fiero ruolo antiestense dei Ramberti: furono infatti i soli a condividere la sorte del Torelli dopo il 1240, che segnò la fine della sua esperienza alla guida della città.
Con Ferrara cinta d’assedio dall’esercito formato dagli Este e dai loro partigiani, con il coordinamento strategico del legato Gregorio da Montelongo e il contrasto, internamente, da parte del nuovo vescovo di Ferrara Filippo Fontana, Salinguerra accettò di giungere a un accordo pacifico. Riccobaldo ricorda che proprio Ugo Ramberti, che guidava un contingente di armati affidatigli da Federico II, convinse Salinguerra a scendere a patti.
Non è possibile determinare cosa esattamente accadde (come già mise in luce Antolini, 1896, pp. 62 s.): certo è che Salinguerra, giunto al campo nemico per trattare la pace, fu fatto prigioniero e condotto a Venezia, ove morì nel 1245. La città fu quindi conquistata da Azzo VII e i partigiani dei Torelli costretti all’esilio. Riccobaldo conta 1500 esuli (Chronica, cit., p. 182) che trovarono rifugio a Ravenna, da dove continuarono a infestare le campagne ferraresi, pare proprio sotto la guida dei Ramberti (ibid., p. 180). Ugo Ramberti infatti, dopo avere causato la resa di Salinguerra, sarebbe stato dapprima ammesso tra i vincitori, poi convinto a rifugiarsi con la famiglia nel contado e infine a riparare a Ravenna (ibid., p. 174). Non si hanno notizie della morte di Ugo, del quale si perdono le tracce; secondo Antonio Frizzi (1793, p. 134), nel 1251 egli si trovava ancora a Ravenna a capo dei fuoriusciti ferraresi.
I beni fondiari che i Ramberti avevano detenuto «in feudo vel alio modo» dalla chiesa di Ferrara furono confiscati con sentenza del vescovo Filippo Fontana, come ricordano due documenti del XIV secolo, nei quali i beni in questione sono citati tra quelli confermati in investitura alla casa d’Este (Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto estense, Catastro A; edito in Trombetti Budriesi, 1980, pp. 71-73).
Ulteriori notizie sui Ramberti si hanno nel 1259 quando, grazie all’interessamento di Buoso da Dovara e Uberto Pallavicino, a Enrico (II) e Susinello (II) fu concesso di rientrare nel territorio ferrarese per raccogliere le biade dai propri possedimenti (data la precedente confisca, si deduce da quelli allodiali, Frizzi, 1793, p. 140). L’anno successivo Salinguerra III e duecento fuoriusciti ferraresi furono riammessi in patria da Azzo VIII d’Este: forse, anche i Ramberti. Ma nel 1261 una fallita congiura portò, nuovamente, all’esilio della pars antiestense.
Nel 1271 gli esuli ferraresi strinsero un patto con il Comune di Bologna, alla vigilia della guerra che oppose la città agli Este: i procuratori per trattare con Bologna furono scelti da Alberto Mainardi e dai fratelli Enrico, Susinello e Beltrame Ramberti (Savioli, 1784-1795, III, 2, pp. 437 s.), che erano dunque tra i leader dei fuoriusciti. Rifugiatisi a Galliera, vicino al confine ferrarese, da lì essi ripresero più agevolmente le azioni di disturbo nei confronti degli Este; tra essi, vi era anche Ramberto, figlio di Susinello (II), che nel proprio testamento ricordò una «roberia» nelle valli di Argenta compiuta mentre gli esuli ferraresi si trovavano appunto nel distretto di Galliera (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, 334; edizione parziale in Luzio, 1913, pp. 140 s.).
Ramberto di Susinello II è la figura di spicco della famiglia al volgere del XIII secolo. Al fianco di Salinguerra III egli tentò diverse volte di rovesciare il dominio estense in Ferrara; è inoltre possibile seguire anche alcuni suoi contatti con gli oppositori ‘internazionali’ del marchese. Nel 1295 godette della concessione di alcuni beni di fuoriusciti mantovani che Bardellone Bonacolsi, in quel decennio alla guida di Mantova, gli donò, sotto alcune condizioni (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, 245-248, fasc. 10, c. 7r). Contestualmente, Bardellone concesse a Ermengarda Ramberti, vedova del mantovano Gaffarino de Ripa, di vendere alla propria sorella, vedova di Francesco da Fredo, i beni che ella possedeva nel mantovano (ibid., c. 12r). Non è ricostruibile la collocazione delle due sorelle nella genealogia Ramberti, ma è indicativo che fossero sposate a membri della nobiltà padana e avessero interessi fondiari nel territorio di Mantova.
Il legame tra i Ramberti e Mantova fu confermato anche dal matrimonio, nello stesso decennio (Mazzoldi, 1962, p. 31), tra Richeldina, figlia di Ramberto, e Luigi I Gonzaga. Richeldina, detta la Brescianina, era nata dal matrimonio di Ramberto con Margherita di Aimerico di Lavellolongo, erede della nobile famiglia bresciana di orientamento guelfo, celebrato probabilmente nell’ultimo quarto del secolo (ibid.).
Nei primi anni del XIV secolo Ramberto Ramberti fu ancora protagonista dell’opposizione agli Este. Nel 1305 fu chiamato come capitano del Popolo dal Comune di Bologna, in quel frangente guidato dai guelfi più intransigenti che, per le posizioni antiestensi, si allearono con elementi ghibellini; ma il ritorno dei guelfi moderati al governo determinò il suo allontanamento (Corpus chronicorum..., 1911-1938, p. 268). Negli anni successivi, compì imprese dirette contro Ferrara: nel 1306, con Salinguerra III e Francesco d’Este, strappò diverse terre nel contado; presso la Stellata di Ficarolo, grazie a un ponte di barche i fuoriusciti riuscirono a portare l’esercito alle porte della città, da cui furono però respinti (Verci, 1787, p. 106). Nel 1309-10, a fianco di Salinguerra III e di Francesco Menabò, riuscì a prendere Ferrara e a proclamare il Torelli signore, ma da Bologna giunse l’esercito del legato Arnaldo di Pelagrue che, entrato a Castel Tedaldo, mise in fuga i torelliani (Frizzi, 1793, p. 228). Nel 1312 fu inviato dal signore di Mantova, Passerino Bonacolsi, come podestà a Modena, temporaneamente conquistata agli Estensi (Tiraboschi, 1793, p. 185); nella stessa città, due anni prima (1310) tra i promotori di una rivolta antiestense c’era stato un Tommaso Ramberti (di cui non è però chiaro il grado di parentela con Ramberto), poi catturato e morto prigioniero (Guarini, 1621, p. 124).
E fu a Mantova, vicino alla figlia Richeldina (che nel 1312 lo nominò procuratore per recuperare l’eredità Lavellolongo: Mazzoldi, 1962, p. 37), che Ramberto visse gli ultimi anni della sua vita. Il testamento (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, 334), redatto nel 1312, che costituisce Richeldina erede universale, segnala qualche altro dato dell’intensa carriera politica di Ramberto, a partire dalla partecipazione a una «guerra di Trieste», probabilmente al fianco dei veneziani Marino e Giovanni Soranzo, agli eredi dei quali lasciò cinque lire mantovane. Altri lasciti furono destinati agli abitanti di Marcaria, nel territorio che aveva ricevuto in dono da Bardellone Bonacolsi, e ad alcuni cittadini mantovani. Significativo anche il legato per la sorella Tommasina, che poté godere di una casa a Ferrara e di un’altra nel territorio ferrarese (a Gradizza o ovunque ella avesse voluto), segno che i beni allodiali erano rimasti in possesso alla famiglia. Ramberto previde, infine, la restituzione di mala ablata da parte di Nicola, figlio naturale di suo fratello Ugo, e lasciò beni a due donne della casata: Agnesina (anch’essa figlia naturale di Ugo) e Onorabile, figlia dell’altro fratello Beltrame e vedova di Giacomo Rossi di Ferrara.
La plurisecolare parabola dei Ramberti si chiuse con Richeldina. Non è chiaro se e quali figli ella abbia dato a Luigi I Gonzaga (I. Lazzarini, Gonzaga, Luigi I, in Dizionario biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 810-814, in partic. p. 811); non compare nel suo testamento (redatto il 31 agosto 1319; Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, 332) nessuno di quelli ricordati dalle genealogie gonzaghesche (Guido, Filippino, Feltrino e Tommasina: ma quest’ultimo è un tipico nome della famiglia Ramberti). Certo è che dichiarò erede universale il marito, il quale entrò in possesso dei beni della famiglia Ramberti e della famiglia Lavellolongo; e ricordò nelle sue ultime volontà anche una sorella naturale (Elena) e la cugina Agnesina di Ugo. Dopo questa data non è possibile seguire la sorte di altri membri della schiatta. Alcuni Ramberti, allora a Modena, riammessi alla cittadinanza ferrarese nel XVII secolo, furono considerati da Pasini Frassoni (1914, p. 456) discendenti della famiglia, ma allo stato attuale mancano dati che comprovino tale ipotesi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga: 245-248, 297, 332, 334; Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense, Catastri delle investiture, Catastro A; Archivio storico del Comune di Ferrara, Archivio Famiglia Brusantini Muzzarelli, Processi; Patrimoniale, 167, c. 1; Regesto della Chiesa di Ravenna: le carte dell’archivio estense, a cura di V. Federici - G. Buzzi, I-II, Roma 1911-1931; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, RIS2, XVIII, 1-2, Città di Castello 1911-1938; Riccobaldo da Ferrara, Chronica parva Ferrariensis, a cura di G. Zanella, Ferrara 1983; G. Rossi, Storie ravennati, a cura di M. Pierpaoli, Ravenna 1996.
M.A. Guarini, Compendio storico delle Chiese della diocesi di Ferrara, Ferrara 1621; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, III, Milano 1740; G.A. Scalabrini, Memorie storiche delle chiese di Ferrara e de’ suoi borghi, Ferrara 1773 (rist. anast. Sala Bolognese 1980); L. Savioli, Annali bolognesi, I-III, Bassano 1784-1795; G.B. Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, III, Venezia 1787; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, III, Ferrara 1793; G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi, II, Modena 1793; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi, Ferrara 1804; C. Antolini, Il dominio estense in Ferrara. L’acquisto, Ferrara 1896; A. Luzio, I Corradi di Gonzaga signori di Mantova. Nuovi documenti, in Archivio storico lombardo, 1913, vol. 19, pp. 249-282 e ibid., vol. 20, pp. 131-183; F. Pasini Frassoni, Dizionario storico-araldico dell’antico ducato di Ferrara, Roma 1914; Id., Famiglie medievali ferraresi, in Rivista del Collegio araldico, XXIII (1925), pp. 9 s.; L. Mazzoldi, Possedimenti di Luigi Gonzaga I° capitano di Mantova in territorio bresciano, in Commentarii dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1961, CLX (1962), pp. 27-64; F. Bocchi, Istituzioni e società a Ferrara in età precomunale: prime ricerche, Ferrara 1979; A.L. Trombetti Budriesi, Vassalli e feudi a Ferrara e nel Ferrarese dall’età precomunale alla signoria estense (secoli XI-XIII), Ferrara 1980; A. Castagnetti, Società e politica a Ferrara dall’età postcarolingia alla signoria estense (secoli X-XIII), Bologna 1985; A. Vasina, Comune, vescovo e Signoria estense dal XII al XIV secolo, in Storia di Ferrara. 5: Il basso Medioevo, a cura di A. Vasina, Ferrara 1987, pp. 75-127; A.L. Trombetti Budriesi, La signoria estense dalle origini ai primi del Trecento: forme di potere e strutture economico-sociali, ibid., pp. 159-197; G.M. Varanini, Salinguerra Torelli, in Enciclopedia Federiciana, II, Roma 2005, pp. 604-606; Id., I notai e la signoria cittadina. Appunti sulla documentazione dei Bonacolsi di Mantova fra Duecento e Trecento (rileggendo Pietro Torelli), in Reti Medievali. Rivista, IX (2008), www.rmojs.unina.it/index.php/rm/ article/view/96 (18 luglio 2016).