FASSBINDER, Rainer Werner
(App. IV, I, p. 765)
Drammaturgo e regista teatrale e cinematografico tedesco, morto a Monaco di Baviera il 10 giugno 1982. Come regista e autore cinematografico proseguì il suo cammino personalissimo di autore amante di melodrammatiche storie d'amore che rappresentano altrettante allegorie dell'eterna storia del potere dell'uomo sull'uomo.
Emblematici sono Die Ehe der Maria Braun (Il matrimonio di Maria Braun, 1979), accolto con eccezionale favore in patria e all'estero e considerato una delle migliori espressioni del Nuovo cinema tedesco: film chiave della sua produzione, melodramma con punte sarcastiche, metafora dichiarata della Germania del dopoguerra; Berlin Alexanderplatz (1980), film televisivo in tredici puntate e un epilogo, tratto dal romanzo omonimo di A. Döblin; Lili Marleen (1980); Die Sehnsucht der Veronika Voss (Veronica Voss, 1982), Orso d'oro al festival di Berlino, considerato il suo testamento spirituale; Querelle de Brest (Querelle, 1982), trasposizione cinematografica del romanzo omonimo di J. Genêt, girato in 24 giorni interamente in studio.
Anche nel teatro, per cui operò ancor prima di dedicarsi al cinema, F. si impose subito all'attenzione, più sorpresa e sconvolta e anche scandalizzata che consenziente, per il suo tumultuoso attivismo, sempre in spirito violentemente trasgressivo, con intenti provocatori (fondò a Monaco nel 1967 l'Antiteater) non tanto in prospettiva ideologica quanto piuttosto in un'ottica sconfortata di denuncia di storture e mostruosità di cui s'intesse senza recuperi il convivere umano. Promotore di varie iniziative d'avanguardia, ai margini della legalità, come regista e attore e radicale revisore ripropose testi classici, anzitutto l'Iphigenie in Tauris di Goethe (1968), e poi, fra gli altri, La bottega del caffè (Das Kaffeehaus) di Goldoni (1969; trad. it., 1989), apportandovi innovazioni sconvolgenti che spezzano l'armonia del dialogo per giungere a infrangere e quindi a irridere la compiutezza del tessuto originale. E intanto, in una stagione assai breve ma freneticamente produttiva, nel giro di soli 2 anni, F. scrisse non meno di 10 drammi, fra loro non omogenei ma tutti promossi dalla medesima attenzione alle cose del mondo umano, troppo turpe e infido e insieme autocompiaciuto per essere in qualunque grado accolto come tale.
Fra di essi, l'essenzializzato Katzelmacher (1968; del 1969 la versione cinematografica) con tono faceto smaschera il sentimento razzistico radicato nei riguardi dei più deboli; Pre-Paradise sorry now (1969), contraffazione del Paradise now del Living Theater: ne capovolge l'ottimismo nell'orrore di una società in cui ognuno è all'altro nemico e l'infatuazione hitleriana sopravvive in una specie di freddo cannibalismo; Blut am Hals der Katze (1971) ripropone il problema del linguaggio come strumento, non di comunicazione bensì di reciproca tortura; Die bitteren Tränen der Petra von Kant (1971; del 1972 è la versione cinematografica), con personaggi esclusivamente femminili, denuda gli equivoci d'una egoistica aspirazione all'affettività; Bremer Freiheit (1971), lavoro fra tutti il più compiuto, riprende la vicenda di una pluriomicida di Brema, decapitata nel 1831, per fare della satanica sete di libertà della protagonista l'emblema della vera natura di quell'aspirazione che artificiosamente viene barattata come supremo ideale umano.
Non arretrando di fronte a nessuna proposta, anche la più saldamente acquisita e consacrata, F. si collocava alla guida d'un avanguardismo troppo sfrenato per poter essere anche duraturo, e troppo dissacrante per non cadere nella ritorsione. Ed è quello che è accaduto nella sua ultima opera teatrale, Der Müll, die Stadt und der Tod (1976, non rappresentata in Germania), dove lo svelamento al solito sfrontato delle deturpazioni dell'odierna città si accentra soprattutto nel profilo del ricco profittatore ebreo: da ciò derivò l'accusa, a lui pur sempre uomo di sinistra, di antisemitismo, essendo invece più verosimile la sua intenzione di far cadere anche uno dei miti obbligati della pubblicistica tedesca post-bellica, quello del ''buon ebreo'' esclusivamente vittima, che però all'occasione può a sua volta divenire, e diviene, sopraffattore e carnefice.
Bibl.: AA. VV., R.W. Fassbinder. Uno straniero sulla terra. Il teatro dello stato delle cose, Roma 1976; H. Baer, Schlafen kann ich, wenn ich tot bin. Das atemlose Leben R.W. Fassbinders, Colonia 1982; K. Raab, P. Karsten, Die Sehnsucht des R.W. Fassbinders, Monaco 1982; M. Ufer, L'antiteatro di R.W. Fassbinder, in Quaderni di teatro, 1984, pp. 116-34; T. Scamardi, Il teatro di R.W. Fassbinder fra reperto sociale e modello antropologico, in Teatro della quotidianità in Germania, Bari 1987, pp. 123-54; R. Grimm, Iuden als Wanzen: der Fall des R. W. Fassbinder, in Studi tedeschi, 1987, pp. 335-97; AA. VV., R.W. Fassbinder, Monaco 1989.