Lullo, Raimondo (catalano Ramon Llull)
(catalano Ramon Llull) Filosofo, teologo, mistico e missionario catalano (Palma di Maiorca 1233/1235 - forse Isola di Maiorca 1315), detto doctor illuminatus. Di nobile famiglia, sui trent’anni, dopo una crisi religiosa, decise di dedicarsi alla conversione degli infedeli. Studiò le arti liberali e la teologia, la lingua e la cultura araba: tra i suoi primi scritti l’Art abreujada d’atrobar veritat (Ars compendiosa inveniendi veritatem, 1271) e il Llibre de contemplació (1272 ca.; in arabo nel 1270). Con l’appoggio di re Giacomo II riuscì a fondare un collegio missionario a Miramar; quindi, dopo aver viaggiato attraverso l’Europa, l’Asia e l’Africa (1280-83), a Roma cercò inutilmente di convincere il papa a una nuova crociata; poi a Parigi ottenne il grado di maestro delle arti e tentò di convincere il re e l’università a un suo progetto di preparazione di missionari per gli ospedali. A Montpellier scrisse una nuova redazione della sua arte (Art inventiva d’atrobar veritat). Tentò ancora, presso vari papi, di trovare aiuti per realizzare i suoi progetti missionari, ma inutilmente. Si dedicò allora alla grande opera enciclopedica Arbre de ciència (1296), mentre vestiva l’abito di terziario francescano; a Parigi, in rapporti con Filippo il Bello, scrisse per lui e per Giovanna di Navarra l’Arbre de filosofia d’amor (1298) e combatté l’averroismo. Compì altri viaggi missionari; con l’elezione di papa Clemente V, sperò di trovare appoggi per la crociata (scrisse il De fine e la Petitio Raymundi pro conversione infidelium). Nel 1307 a Bugia scrisse in arabo la Disputatio Raymundi christiani et Hamar sarraceni. Incarcerato e poi espulso, nel viaggio perse i suoi libri. Nel 1308 scrisse l’Ars magna generalis et ultima e l’Ars brevis. Ad Avignone dedicò al papa il Liber de acquisitione Terrae sanctae; poi indirizzò al Concilio di Vienna la Petitio Raymundi in concilio generali e ottenne che fosse deliberato l’insegnamento in varie università dell’ebraico, del caldaico e dell’arabo in cui L. vedeva uno strumento essenziale per preparare nuovi missionari. Tentò ancora la via della missione personale a Tunisi; ma qui le notizie della sua vita s’interrompono (1315): una pia tradizione lo dice martire; sembra che in realtà sia tornato e morto di lì a poco a Maiorca. I suoi scritti (in catalano, latino e arabo; questi ultimi, perduti, si conservano in versioni dello stesso L.) sono numerosissimi (243 ne indica Carreras i Artau) anche lasciando da parte quelli di dubbia attribuzione, come gli scritti alchimistici. Ci limiteremo a ricordare i più importanti: oltre alle varie redazioni dell’Ars magna, Metaphysica nova (1300); Logica nova (1303); Liber de creatione (1313). Tra le opere teologiche: Liber principiorum theologiae (prima del 1277); Liber contra Antichristum (1289-90); Liber de cognitione Dei (1300); Disputatio fidei et intellectus (1303). Opere mistiche: Llibre d’amic e amat (1282-83) compreso nel Blanquerna; Ars amativa. Opere scientifiche: Liber de astronomia (1297); Liber de lumine (1303); Liber physicorum (1310). Vanno anche ricordati: Doctrina pueril (1275 ca.) e alcune opere letterarie: come principali, il Blanquerna o Llibre d’Evast e d’Aloma e de Blanquerna (1284, poi rimaneggiato) e il Llibre felix de les meravelles del mon («Libro felice delle meraviglie del mondo», 1288-89), e opere poetiche che costituiscono il primo grande documento della letteratura catalana.
Prospettiva fondamentale del pensiero e dell’opera di L. è l’idea di missione (è un momento in cui musulmani e tatari premono ai confini della cristianità) per convertire gli infedeli e instaurare l’unità della fede: in questa prospettiva deve collocarsi anche l’idea centrale dell’ars lulliana (che L. fa risalire a una ispirazione e vocazione divina) che vuole offrire un metodo di discorso capace, per la sua necessità, di compiere quell’opera di conversione. Nel suo schema fondamentale l’arte di L. vuole stabilire elementi semplici e primi (non solo logicamente, ma ontologicamente: la logica lulliana coincide con la metafisica in quanto vuole attingere la struttura stessa del reale) raffigurati in lettere o altri simboli (ove è chiara anche l’influenza della tradizione cabalistica) e dare i metodi di combinazione di tali elementi primi (lettere, cerchi, figure mobili, ecc.) che permettano di porli in relazione e di costruire quindi un discorso analitico-sintetico. L’arte, stabilendo, con i principi, i modi dei loro rapporti, dovrebbe indicare tutte le possibili combinazioni e offrire una visione totale della realtà costituendo una scienza unitaria (di qui il nesso tra «arte» ed enciclopedismo, già presente in L. e poi in tutta la tradizione che nei secoli seguenti si rifarà alla sua arte) da cui non restano escluse né le scienze fisiche né la teologia (della quale l’arte intende dimostrare le verità fondamentali). A rafforzare il fondamento metafisico dell’arte di L. viene la sua dottrina delle «dignità» divine: queste sono gli attributi fondamentali di Dio e insieme i principi assoluti dell’arte. Con queste «dignità», cui si affiancano i principi concernenti le relazioni tra gli esseri contingenti, si costruisce l’arte e quindi si «causa la scienza» con un procedimento (che L. indica co- me «discesa dell’intelletto») che, malgrado la sua configurazione analitica, vuole essere inventivo e sintetico. Sicché l’arte non si riduce alle tecniche dimostrative né alla mnemotecnica (che pure ne è elemento essenziale), ma s’inserisce in tutta una concezione della realtà; essa è una via a leggere il simbolismo del mondo sensibile e a ritrovare l’unità del sapere (che è l’unità del reale) e a ricondurre a Dio. È il recupero di una concezione unitaria del sapere, lungo la linea agostiniana, con un esito teologico e apologetico. Di qui anche l’impossibilità di distinguere la filosofia dalla teologia, dato il loro intrinsecarsi (nella sapientia christiana) secondo una subordinazione delle scienze alla dottrina di Dio: a quest’ultima spetta avviare una intelligenza della fede (torna un tipico tema agostiniano e anselmiano) che riesca a cogliere la ratio fidei per poi discen- dere, con i procedimenti dell’arte, all’analisi delle perfezioni divine. Di qui la polemica di L. contro l’averroismo, in cui egli avvertiva la rottura di quell’ideale unitario di sapienza cristiana. Caratteristiche dell’agostinismo medievale sono inoltre particolari dottrine di L. (simbologia della luce, ilemorfismo universale, pluralità delle forme, dottrina delle rationes seminales, primato della volontà); e alla stessa tradizione si riallaccia l’esito mistico di tutta la sua speculazione: il processo conoscitivo è orientato, attraverso «passaggi trascendentali», al superamento dello stesso intelletto per attingere, con l’aiuto della grazia, la verità della causa prima: in questo ultimo atto, la contemplazione è anche preghiera e amore (la tematica dell’amore che unisce l’uomo a Dio è ampiamente svolta da L. secondo una simbologia e un linguaggio che ricorda la sua prima educazione cortese e trovadorica). Larga l’influenza di L.: alla sua morte si erano già costituiti gruppi di seguaci (a Parigi, tra coloro che insegnarono nelle facoltà delle arti, ebbe particolare importanza Thomas Le Myésier, che raccolse una biblioteca lulliana e scrisse un Electorium per divulgare le idee del maestro), e in particolare negli ambienti dei francescani spirituali e gioachimiti (si avrà una condanna pontificia di tesi lulliane nel 1376, annullata nel 1419). Il trionfo del lullismo inizierà però nel Quattrocento, legato alla sua arte e a un complesso di scritti alchimistici (in gran parte almeno falsificazioni) per durare sino al Seicento, in rapporto soprattutto ai problemi dell’arte combinatoria, della mnemotecnica e dell’enciclopedia delle scienze.
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