DELLA VIGNA (De Vinea, De Vineis, Delle Vigne), Raimondo (Raimondo da Capua)
Nacque a Capua verso il 1330, da Pietro e da tale Maria, probabilmente di nobile famiglia, il cui cognome però non ci è pervenuto.
La famiglia del D., resa illustre da Pietro Della Vigna, vantava, dall'epoca del protonotario e logoteta imperiale, una lunga tradizione di giuristi; anch'egli quindi fu avviato allo studio del diritto. Secondo una tradizione piuttosto incerta, il D. avrebbe frequentato a Bologna i corsi di diritto civile e canonico ancor prima di entrare in religione.
Sicuramente il D. entrò nell'Ordine dei domenicani a Orvieto, dove fece professione poco dopo la morte del padre, avvenuta a Napoli (Pietro fu sepolto in S. Chiara) il 18 dic. 1348. Per tutta la vita appartenne alla provincia romana: dopo aver ricevuto gli ordini maggiori intorno al 1355, fu inviato come lector di teologia a Bologna, e poi forse anche a Roma.
In quel periodo l'imperversare della peste decimò l'Ordine domenicano, portando - per la necessità di accogliere gran numero di novizi senza rigorosa selezione e senza la possibilità di seguirne adeguatamente la crescita religiosa - a un grave rilassamento della disciplina. Il D. divenne da allora uno dei più decisi sostenitori del movimento di riforma che diede origine all'Osservanza.
Nel 1363 si trasferì a Montepulciano, dove era stato nominato rettore del convento delle suore domenicane; il 28 apr. 1366 vi pubblicò la Legenda s. Agnetis de Montepolitano (in Acta sanctorum Aprilis, II,coll- 792-812).
Nel periodo in cui Urbano V risiedette a Roma (1367-70) ricoprì per qualche tempo la carica di priore del convento romano di S. Maria sopra Minerva, prima di essere trasferito a Firenze, dove è registrato il 30 ag. 1373 come membro della comunità di S. Maria Novella. Qui fu presente al capitolo generale dei domenicani, tenutosi il 21 maggio 1374, e al capitolo della provincia romana che si svolse contemporaneamente. In una data imprecisata tra il 16 giugno e il 10 ag. 1374 lasciò Firenze insieme con Caterina Benincasa, che era stata chiamata a comparire alla presenza del capitolo generale dei domenicani. Le fonti ricordano che nell'estate del 1374 il D. e Caterina assistevano i malati di peste a Siepa. Dal 10 ag. 1374 il D. fu lector nel convento domenicano della stessa città.
Da questo momento in poi egli agì in qualità di direttore spirituale, mentore e confessore di Caterina, compito che sembra essergli stato affidato dal capitolo generale di Firenze. In considerazione della sua esperienza come consigliere delle suore a Montepulciano, incarico che egli conservò dur'ante gli anni di Siena, fece parte probabilmente della commissione d'inchiesta nominata dal capitolo di Firenze per valutare le accuse rivolte contro Caterina. Il 20 genn. 1375 il D. assisteva al capitolo del convento a Siena, e il 10 aprile dello stesso anno era presente, nella chiesa di S. Cristina a Pisa, quando Caterina avrebbe ricevuto le stimmate. Nei due anni che seguirono, egli le fu costantemente a fianco: per questo motivo era spesso assente da Siena e'trascurava di conseguenza i suoi doveri di lector, titolo - questo -che sembra gli fosse stato accordato in considerazione della sua competenza teologica oltre che per conferirgli pubblicamente l'autorità necessaria per adempiere al proprio incarico di "magister Catherinae". Il D. era tenuto a rispondere del proprio operato soltanto al maestro generale Elias Raimondi di Tolosa.
La speciale condizione del D., come maestro e guida di Caterina e delle suore di lei, venne confermata dalla bolla di papa Gregorio XI, in data 17 ag. 1376, in cui al D. fu affidato il compito di proteggerla e di assicurare la continuazione della sua opera per la salvezza delle anime e in favore della crociata. Il D. era infatti uno dei destinatari della bolla di Gregorio XI del 1° luglio 1375, relativa alla crociata in Oriente. Fu incaricato di far eseguire altre copie della bolla e di arruolare combattenti. La bolla lo raggiunse mentre era a Pisa, dove si trovava a partire dalla fine dell'estate del 1375. In questa stessa città ricevette anche una chiamata dal vescovo di Firenze, Angelo Ricasoli, e durante l'estate del 1376 fu impegnato in negoziati per trovare una soluzione a quegli incipienti contrasti fra Firenze e il Papato che poco dopo sarebbero sfociati nella guerra degli Otto santi. I Fiorentini, danneggiati economicamente dal ristabilimento del potere pontificio sulle Romagne operato dall'Albornoz, chiesero al D. di guidare la delegazione diretta ad Avignone per preparare il terreno alla discussione.
Il D. giunse ad Avignone tra il 18 e il 28 giugno del 1376 e funse da intermediario di Caterina nei tentativi di ottenere la pace e di persuadere il papa a tornare a Roma. Il 17 ag. 1376 ottenne una bolla in cui il papa confermava l'autorità di lui su Caterina e le sue suore, e il 12 settembre ricevette un sussidio di 100 fiorini per coprire le spese. Il 13 settembre, quando il papa partì da Avignone per mare alla volta di Roma, anche il D. e il gruppo di Caterina partirono, viaggiando però per via di terra. A ottobre avanzato s'incontrarono a denova con la corte papale per rafforzare il proposito di Gregorio XI di continuare il viaggio fino a Roma. Il D. proseguì, fermandosi a Livorno e Pisa, dove esortò gli abitanti a sottomettersi al papa. Quando questi giunse a Roma, il D. e Caterina erano a Montepulciano; si trasferirono poi a Siena. Il 20 febbr. 1377 Gregorio XI gli accordò il permesso di scegliere tre confratelli per aiutarlo nel suo lavoro per la Chiesa e per la causa papale.
Alla fine del 1377 il D. andò a Roma per negoziare con il papa i termini di un accordo di pacificazione tra Firenze e la Chiesa proposto da un sostenitore fiorentino di Caterina, Nicolò Soderini, ma i negoziati non portarono ad alcun risultato concreto. I tentativi operati a Roma dal D., incoraggiato in numerose lettere da Caterina, ebbero come unico risultato la sua elezione a priore del convento romano di S. Maria sopra Minerva all'inizio del 1378. Nei mesi che seguirono egli si dedicò all'adempimento dei nuovi doveri e alla predicazione, con il costante incoraggiamento di Caterina, che lo consigliò anche su come esercitare il suo ufficio di priore, dimostrando giustizia e benevolenza verso i suoi subordinati.
In un incontro privato con Gregorio XI, che ebbe luogo all'inizio di marzo del 1378, il papa gli confidò la sua convinzione che Caterina sarebbe stata in grado di negoziare la pace con Firenze. Alla morte di Gregorio XI (27 marzo 1378), il D., come priore di S.Maria sopra Minerva, prese parte alle discussioni sull'elezione del nuovo papa nella cerchia che comprendeva il suo amico, cardinal Pedro de Luna e il suo confratello domenicano "Petrus de Ilperinis Romanus". Dopo l'elezione e l'unanimità di breve durata, fu avvicinato il 13 luglio 1378 dal magister sacri palatii, che si era schierato con i cardinali ribelli. Da questo momento in poi si trovò di fronte alla possibilità di uno scisma all'interno dell'Ordine domenicano. L'8 nov. 1378 il papa romano Urbano VI emanò una bolla ordinandogli di predicare una crociata contro gli scismatici sostenitori del cardinaleRoberto di Ginevra (Clemente VII); il 21 novembre emanò una serie di bolle, inviando il D. presso Carlo V di Francia, presso i vescovi e prelati francesi e i consiglieri regi, tra cui Philippe de Mézières. Il D. doveva essere riconosciuto come inviato papale e facilitato nei negoziati con il re francese circa l'autorità del papa romano. Intorno al 15 dicembre, il D. si mise in viaggio via Ostia, Livorno e Pisa; a dispetto dei tentativi di intercettamento da parte di alcune galere al servizio di Avignone, egli raggiunse Genova. A Ventimiglia ricevette lettere di avvertimento, secondo le quali la sua missione presso il re francese era in pericolo ed egli stesso rischiava di cadere in un'imboscata. Fece rientro a Genova, ma l'inviato che lo accompagnava cadde prigioniero; ricevette quindi dal papa ulteriori istruzioni sulla predicazione della crociata contro gli scismatici. Il 9 maggio 1379 Urbano VI informò il re Pietro d'Aragona della sua intenzione di inviare il suo messo in Aragona, in modo che potesse più facilmente entrare in Francia con un salvacondotto aragonese senza dover attraversare il territorio avignonese, ma il piano non venne attuato.
Il 30 nov. 1379 il D. ricevette il permesso di conseguire il magisterium in teologia: in quest'occasione e nelle bolle successive; all'inizio del 1380, egli viene nominato con la qualifica di penitenziere papale. Nel frattempo si fermò in Lombardia, mantenendo il controllo della parte della provincia lombarda rimasta di obbedienza romana, e continuò a predicare e a raccogliere denaro per la crociata contro Clemente VII: gli fu ordinato di depositare il denaro raccolto presso due banchieri genovesi, Gabriele Pallavicinoe Oberto Seuli, ma lettere successive di Urbano VI all'arcivescovo di Genova e all'abate di San Siro indicano che non erachiaro quale uso il D. avesse fatto del denaro raccolto. Nel 1380 circa componeva la sua Depositio super electione Urbani VI.
In qualità di provinciale della Lombardia, il D. partì per Bologna il 29 apr. 1380, per prendere parte al capitolo generale domenicano che si aprì il 12 maggio, alla vigilia della Pentecoste e che lo elesse maestro generale di obbedienza romana, dal momento che il precedente generale Elias di Tolosa si era schierato con il papa avignonese. Il D. inaugurò una campagna sia per porre fine allo scisma, sia a favore di una maggiore osservanza religiosa nelle case sotto la sua direzione. Il 1° apr. 1381 venne autorizzato a nominare inquisitori in Armenia, Georgia, Grecia, Mongolia, Russia e in Valacchia: due giorni più tardi tutti i fratres unitores in Oriente venivano sottoposti alla sua giurisdizione.
Il 25 maggio 1382 presiedette il capitolo generale di obbedienza romana a Buda e in seguito intraprese un viaggio per visitare le province dell'Ungheria e della Boemia. Considerando che era di nuovo a Firenze, a S. Maria Novella, nell'ottobre del 1382, non è verosimile che la visita in Germania sia avvenuta in questa occasione. Nel 1383 fece ritorno in Boemia con una doppia missione: in qualità di inviato pontificio accreditato presso la corte di re Venceslao e come maestro generale domenicano. Il 3 maggio 1383 Urbano VI scrisse al re Venceslao, annunciando la venuta del D., e il 17 giugno spedì un'ulteriore lettera al re di Boemia, protestando contro la presenza di un inviato di Clemente VII presso la sua corte. Nel frattempo il D. era partito per la Boemia, accompagnato dal vescovo di Spira, Nicholas von Wiesbaden. L'8 dic. 1383 era a Praga come mdomini pape legatus", e negoziava con il re e con l'arcivescovo jan von jenzenstein, con il quale strinse una stretta amicizia personale, sebbene non si sappia come e dove si siano incontrati per la prima volta.
Durante l'inverno e la primavera del 1383-1384 il D. emanò un certo numero di istruzioni che intensificarono i legami tra lo studium generale dei domenicani e l'università di Praga: il 20 apr. 1384 indirizzò lettere all'università, concedendole l'uso della cappella di S. Vincenzo nel convento domenicano, per le funzioni e le riunioni universitarie. Con l'aiuto del suo amico arcivescovo.1 tenne una linea di condotta tesa a sostituire Praga a Parigi come centro di studi per i domen.icani durante lo scisma. Questa situazione non durò a lungo, e le innovazioni teologiche accolte all'interno di quella università dai domenicani portarono piuttosto il D., alla fine degli anni '80, a garantire invece i tradizionali privilegi parigini agli studenti domenicani a Bologna.
Nell'estate del 1384 e nell'inverno del 1384-1385, egli si recò a visitare la provincia tedesca e, secondo i desideri del duca Alberto III d'Austria, lasciò libero Franz von Retz da altri doveri, in modo che potesse aiutare ad organizzare la facoltà di teologia a Vienna.
Nel maggio 1385 presiedette il capitolo generale a.Vienna, e subito dopo nominò un vica . rro generale per la Polonia, per promuovere la riforma in quella provincia e prevenire uno scisma. Tornò passando per Siena, dove fu presente al trasferimento a Roma delle reliquie di Caterina Benincasa. Qui, nell'autunno del 1385, cominciò a comporre quella che poi sarebbe diventata la Legenda (maior) s. Catherinae Senensis. Nel 1386 era di nuovo in Germania per gettare le fondamenta della riforma nell'Ordine, e mantenne una una corrispondenza epistolare con l'arcivescovo di Praga sull'inaugurazione della festa della Visitazione. In precedenza, aveva composto un trattatello su questo argomento, l'Expositio cantici Magnificat, che è ora perduto, ma che sembra fosse posseduto dall'arcivescovo nel 1378. Il D. lavorò anche ad un Officium de Visitatione beatae Mariae Virginis (portato a termine nel 1390) e incoraggiò l'arcivescovo a fare altrettanto.
Trascorse il 1387 visitando la Germania, l'Italia settentrionale, la Romagna e l'Umbria. Nel maggio del 1388 inaugurò, tramite il suo vicario Bartolomeo Dominici, nel capitolo generale di Verona, la riforma della provincia tedesca: per l'incitamento di Corirad de Grossis di Prussia e con l'aiuto del D., l'osservanza fu introdotta a Colmar. Durante gli anni che seguirono, il D. proseguì attivamente l'opera di riforma nei conventi tedeschi e la introdusse nel convento abbandonato di S. Domenico a Venezia.
Durante l'inverno del 1391-1392 fu legato papale in occasione dei negoziati di pace che si svolsero nel palazzo ducale di Genova, per poi tornare alla composizione della Legenda maior, surichiesta degli ammiratori di, Caterina da Siena. Il 18 giugno 1392 scrisse di aver portato a termine la seconda parte dell'opera; allo stesso tempo stava lavorando per la canonizzazione di Caterina. Il 2 ott. 1392 inviò un rappresentante al capitolo provinciale della Germania che si tenne a Spira, per occuparsi dei problemi concernenti la riforma. Nel novembre del 1393 venne designato legato papale in Sicilia, dove trascorse la maggior parte dell'anno 1394-1395, esortando la popolazione a resistere all'obbedienza avignonese. Qui predicò la crociata e distribuì indulgenze, e la sua missione venne considerata di notevole importanza, tanto da impedirgli di essere presente al capitolo generale di Venezia il 7 giugno 1394. Da Palermo si accordò con Bonifacio IX per creare in Dalmazia una provincia domenicana separata, e si occupò dei problemi del nuovo convento osservante a Würzburg.
Nell'autunno del 1395 lasciò la Sicilia e viaggiò verso il Nord per prendersi cura dell'urgente questione della riforma, che all'inizio del 1396 venne introdotta a Norimberga. Il D. vi giunse nell'autunno del 1396 ed assegnò Conrad de Grossis di Prussia e altri frati da Colmar alla nuova fondazione osservante. Rimase nella città fino alla primavera del 1397, quando visitò diversi conventi tedeschi: tra maggio e giugno Francoforte, dove si tenne il capitolo generale e dove egli nominò nuovi maestri in teologia secondo il permesso che aveva ricevuto da Bonifacio IX il 1° apr. 1397. Nel luglio si trovava a Magonza e a Praga, e nell'agosto del 1397 fino alla primavera del 1399 fu a Colonia, dove si ritiene che, ammalato, sia rimasto per gran parte del 1398. Nella sua azione di riforma dell'Ordine si occupò anche dei conventi femminili di Strasburgo (5 genn. 1398), di Rothenburg (16 aprile) e Schönesteinbach (24 luglio). Il 16 luglio 1399, in uno dei suoi ultimi atti il D. nominò un vicario a Poznan con l'incarico di introdurre la riforma in Polonia.
Poco tempo dopo si mise in viaggio passando per la via di Francoforte alla volta di Norimberga, dove morì nel convento domenicano il 5 ott. 1399. La sua beatificazione fu proclamata il 15 maggio 1899.
"Io, frate Raimondo da Capua, cognominato Delle Vigne, umile Maestro e servo dell'Ordine dei Frati Predicatori, mosso e con ragione, anzi obbligato dai fatti straordinari che ho veduto e sentito raccontare, compiuti dalla vergine Caterina, nata in Siena, nella terra di Toscana, che credo da ammirare e da imitare, dopo averli divulgati a viva voce, mi sono deciso anche a metterli in scritto. Così non soltanto al giorno d'oggi, ma anche in avvenire, conoscendo le meraviglie, che il grande e lodevolissimo Signore ha operato in questa giovane..., si Lodi Lui nei suoi santi e nelle sue opere, si benedica secondo la sua immensa grandezza, e, nel medesimo tempo, ci si infiammi ad amarlo con tutte le forze sopra ogni cosa ed a servirlo con la mente e col cuore, rimanendo perseveranti al suo servizio fino alla morte". In questo modo il D., pregiudizialmente, indica nel Prologo II della sua Vita di s. Caterina da Siena - quella Vita che venne subito designata come Legenda maior per l'autorevolezza dell'autore' o come Legenda prolixa per la mole e l'estensione - i motivi e le finalità che lo avevano indotto a comporre la biografia della santa. Nel Prologo II, inoltre, il D. dichiara, "chiamando in testimonio la stessa Verità che mai inganna né può essere ingannata, che niente di favoloso o d'inventato vi ho inserito; né v'è nulla, assolutamente nulla, di falso, per quanto la mia fragilità abbia potuto ricercare, riguardo almeno alla sostanza dei fatti". E prosegue: "Perché poi si abbia maggior fede in quello che sono per scrivere, dirò in ciascun capitolo dove e in qual modo abbia raccolto i fatti, e ciascuno vedrà dove abbia attinto quello che metto avanti in questo libro a nutrimento delle anime". Fatti non leggendari, dunque, sono quelli da lui riferiti, ma fatti storicamente avvenuti; narrazione rigorosamente obiettiva e attendibile, la sua, fondata sulla testimonianza di fonti orali e scritte fededegne. Pur se in modo diverso, il D. aveva già espresso questi medesimi concetti quando aveva confessato che nei momenti in cui scriveva la Legenda sentiva accanto a sé la presenza di Caterina: la santa gli ricordava episodi dimenticati e guidava la sua penna onde il racconto riuscisse puntualmente veridico. Puntualmente veridica, del resto, considerarono la Legenda i discepoli stessi della vergine senese, contemporanei e testimoni dei fatti in essa narrati: Tommaso Caffarini, Stefano Maconi, Francesco Malavolti, tra gli altri. Essi ne lodarono l'obiettività e l'attendibilità, spttolineando anzi la circostanza che il D., lungi dall'esagerare i fatti, li aveva piuttosto sminuiti e ridimensionati. Quanto alla promessa di citare, al termine di ogni episodio, le fonti del suo racconto, essa viene puritigliosamente mantenuta: si vedano, ad es., Legenda maior, I,2, 9, 4, 7; 5, 5, 6, 11; 8, 2; II, 4, 16.
Sempre nel Prologo II, infine, il D. rivela le ragioni ideologiche e le finalità pratiche, che lo hanno indotto a distribuire in tre grandi sezioni la materia trattata e di essa fornisce, nel contempo, il sommario generale: "Affinché tutto si coMpia nel nome della Trinità, e per rendere più chiaro il materiale raccolto, ho diviso in tre parti questo libro. La prima parte conterrà la nascita, l'infanzia e la fanciullezza di Caterina fino a quando fu sposata dal Signore. La seconda dirà della sua vita attiva, dallo sposalizio fino ai suoi ultimi giorni. La terza racconterà la fine, con qualche poco di tempo avanti, e i miracoli avvenuti prima e dopo la morte: alcuni, pero, non tutti, perché a dirli tutti bisognerebbe scrivere un libro troppo grosso, né.mi basterebbe la vita". Il fatto che la materia della Legenda sia stata divisa in tre parti, e che, di esse, le due prime siano costituite da dodici capitoli, e l'ultima da sei (il sei, sottolinea più avanti il D., "precede in perfezione tutti gli altri numeri", come ogni teologo sa), dimostra come il numero, considerato una delle componenti essenziali dagli esegeti biblici ed uno dei tre elementi fondamentali dell'universo, sia uno dei principia individuationis della forma mentis dell'autore e della stessa architettura della sua opera, premessa, insieme ai restanti simbolismi non solo matematici, all'allegoresi. Dimostra altresì, da un lato, come il D., dottore in sacra teologia e uomo di scienza, conoscesse molto bene i Sistemi del simbolismo astratto che erano stati elaborati dai pensatori dei secoli XII e XIII, e, dall'altro, come egli e la sua opera siano l'espressione di una scienza e di una civiltà che tendevano all'ordine e all'euritmia e che scoprivano in ogni cosa creata un significato e un valore trascendenti.
La Legenda maior conobbe, da quando fu terminata (1395), una rapida ed estesa diffusione non solo in Italia, diffusione favorita non solo dalla circostanza che il D., oltre ad aver lasciato un esemplare della sua opera a Venezia, in "quell'operosa fucina di codici cateriniani", come si esprime il Cencetti, "che fu messa su dal Caffarini nel convento di San Zanipolo", un altro - forse il manoscritto originale - ne portò sempre con sé nelle sue peregrinazioni connesse con i suoi doveri di maestro dell'Ordine proprio perché se ne potessero ovunque trarre nuove copie (di questo prezioso codice, che venne recato in Italia da fra' Tommaso da Nocera dopo la morte del D., si sono perdute le tracce); ma anche dal fatto che nell'antica "familia" della santa ci si dette cura assai per tempo di farne approntare una versione in volgare italiano. "Speculum" di una vita vissuta secondo gli ideali del movimento domenicano, la Legenda maior era stata scritta infatti - l'autore lo dice espressamente - sia per i confratelli dell'Ordine e per quanti avevano conosciuto Caterina e ne veneravano la memoria, sia per tutti coloro che non avevano potuto e non potevano sapere di lei. Uno degli antichi segretari della santa, Neri di Landoccio Pagliaresi, ne intraprese un volgarizzamento, che non poté condurre a termine, perché interrotto, nel 1399, dalla morte. Sempre nel 1399, invece, compì una seconda versione in volgare italiano un piacentino, rimasto anonimo, che ne aveva ricevuto l'incarico da Stefano Maconi, amico e compagno del Caffarini. In ambiente cateriniano, tuttavia, si preferì la versione del Pagliaresi, che si completò per la parte mancante con quella dell'anonimo piaceritino. Lo attesta la tradizione manoscritta rappresentata dal cod. Ital. 2178della Biblioteca nazionale di Parigi e dal suo apografo, il cod. T. II. i della Biblioteca comunale di Siena. Membranacei, dei sec. XV, scritti da mani assai somiglianti di due copisti dell'Italia settentrionale, provengono ambedue dallo scrittorio del convento veneziano di S. Zanipolo (cf. Cencetti, p. i i): la redazione da essi conservata fu alla base della editio princeps della versione italiana della Legenda maior, stampata a Ripoli nel 1477(Hain, n. 1495)e destò un largo interesse, come testimoniano le cinque edizioni che essa ebbe tra il 1477 ed il 1489 (l'editio princeps dell'opera originale in latino fu stampata a Colonia nel 1553).Anche la versione dell'anonimo piacentino, ad ogni modo, dovette conoscere, nella sua forma integrale, una certa diffusione: essa comparve infatti in edizione a stampa a Milano, nel 1488 (Reichling, n. 868).
La fortuna che la Legenda maior incontrò anche nei secoli successivi, è provata non solo dalle versioni che se ne fecero nelle diverse lingue europee, ma anche dai numerosi nuovi volgarizzamenti italiani, di cui si ricordano qui quello con tagli e qualche rimaneggiamento, opera di A. Catarino de Politi (Vita della seraphica Caterina da Siena, Siena 1534, riedita per cinque volte tra il 1562 e il 1612), quello famosissimo di B. Pecci (Vita della serafica sposa di Gesù Cristo Caterina da Siena, Siena 1707), e quello del Tinagli.
Contrastante il giudizio della critica storica sulla Legenda maior. Così come gli antichi discepoli della santa, la valutò assai positivamente, tra gli altri, il Martier, il quale, dopo aver rilevato (p. 611) che "elle révele à la fois deux saints: celle qui en est le sujet, et celui qui écrit. Le Maitre s'efface avec modestie; il apparait comme un témoin qui raconte honnétement ce qu'il a vu, ce qu'il a entendu, ce qu'on lui a dit. Sa probité d'historien est intègre. En le lisant, sans parti pris, on a l'impression que cet homme dit la vérité", conclude (p. 612): "La Vie de sainte Catherine de Sienne, par Maître Raymond, est certainement une des Vies de Saints le plus animées et le plus répandues". Molto severo è, invece, il giudizio del Fawtier.
"Quanto al valore artistico dello scritto", osserva il Cencetti, "certo è che se vi cercassimo l'immediatezza di rappresentazione, la semplicità di espressione, la candidezza del racconto che tanto ci fanno gustare, per esempio, le Vite dei Santi Padri e i Fioretti, rimarremmo delusi; ma se lo consideriamo per quello che vuole essere, un opus rhetoricum, una specie di lungo panegirico o meglio un contesto di molte prediche aventi per oggetto la vita e i miracoli di Caterina, potremmo anche dame un giudizio più benevolo del Fawtier, notandone il calore espressivo l'efficacia rappresentativa, anche se non giungeremo alle espressioni del Capecelatro".
P. Bertolini
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Reg. Lat. 12, ff. 81r, 194v-195r; Reg. Lat. 44, ff. 97r-102r; Reg. Lat. 59, ff. 5r, 45rv, 244rv. Per le fonti edite, si veda l'ampia bibliografia pubblicata alle pagine 160 ss., in A. W. Van Ree, Raymonde de Capoue, éléments biographiques, in Archivum fratrum praedicatorum, XXXIII(1963), pp. 159-241, e inoltre J. Loserth, Der Codex epistolaris des Erzbischofs von Prag Iohann von jenzenstein, in Archiv für österreichische Geschichte, LV (1877), pp. 308, 351, 364. Per la letteratura, si vedano A. W. Van Ree, cit.; H.-M. Cormier, Le bienheureux Raymond de Capoue, Roma 1902; H. C. Scheeben, Katharina von Siena und ihre Seelenführer, in Geist und Leben. Zeitschrift fúr Aszese und Mystik, XXX(1957), pp. 281-93, 369-79; A. Barthelmé, La Réforme dominicaine au XVe siècle en Alsace et dans l'ensemble de la province de Teutonie, Strasbourg 1931, pp. 23-38; S. L. Forte, The cardinal-protector of the Dominican Order, in Dissertationes historicae, XV, Roma 1959, p. 17; Bibliotheca sanctorum, XI(1968), coll. 8-11; VI. J. KoudeIka, Il convento di S. Sisto a RomaO. p. negli anni 1369-81, in Archivum fratrum praedic., XI-VI (1976), pp. 5-24; W.A. Hinnebusch, The English dominicans and the masters general of the late Fourteenth-Century, in Xenia Medii Aevi historiam illustrantia oblata Thomae Kaeppeli O.p., a cura di R. Creytens-P. Künzle, Città del Vaticano 1978, 11, pp. 459-69; Th. Kaeppeli Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevi, III, Roma 1980, pp. 288-90; S. Boesch Gajano-O. Redon, La "Legenda maior" di R. da Capua, costruzione di una santa, in Atti del Simposio internazionale Cateriniano-Bernardiniano, Siena, 17-20 apr. 1980, a cura di D. Maffei-P. Nardi, Siena 1982, pp. 1535; F. Cardini, L'idea di crociata in s. Caterina da Siena, ibid., pp. 57-87; M. B. Hackett, Un profilo del pensiero agostiniano di Caterina nel suo periodo formativo, ibid., pp. 137-47; Bibliotheca sanctorum, XI, coll. 8-11.
K. Walsh
S. Caterina da Siena. Vita scritta dal b. R. di Capua, confessore della santa, tradotta dal p. G. Tinagli O.P., Siena s.a. (ma 1934), pp.48 s.; R.P. Martier, Histoire des maîtres généraux de l'Ordre des frères prêcheurs, III, Paris 1907, pp. 611-614; R. Fawtier, S. Catherine de Sienne, I Paris 1921, pp. 125 s.; G. Cencetti, La "Leggenda maggiore" di s. Caterina da Siena e il suo volgarizzamento, estratto da Strenna dell'anno XIII dell'Istituto nazionale di cultura fascista, Sezione di Piacenza, Piacenza 1939; T. Centi, Le "Leggende" del b. R. da Capua e la critica storica, in S. Caterina da Siena, XVI (1965), fasc. 2, pp. 12-17.
K. Walsh-P. Bertolini