DEL BALZO (de Baux), Raimondo
Nipote di Raimondo (III) de Baux, signore di Courthézon del ramo dei principi di Orange, era figlio di Ugo - il quale insieme con i fratelli Amiel, Bertrando e Raimondo, si era trasferito nel Regno di Sicilia al seguito di Carlo d'Angiò e da lui era stato investito della contea di Soleto e nominato siniscalco del Regno e del Piemonte - e di Iacopa Della Marra, discendente di un'influente famiglia regnicola. Ebbe due sorelle, Sveva e Beatrice. L'anno di nascita del D. può esser fatto risalire al 1303, dato che alla morte del padre, avvenuta nel 1315, il D. era ancora in minore età e poté entrare in possesso di una parte dei feudi ereditati solo nel 1319, dopo aver compiuto il sedicesimo anno.
Il D. prestò il giuramento di fedeltà e l'omaggio al re il 22 febbr. 1321. Nel 1324, quando Roberto d'Angiò radunò l'esercito per la campagna contro Federico II (III) d'Aragona, il D. risulta obbligato a prestare un servizio militare di 15 cavalieri: i suoi feudi, pertanto, procuravano una rendita annua di 300 once.
Nel 1330 gli fu affidato per la prima volta un comando militare fuori del Regno. Insieme con Bertrando Del Balzo di Andria fu inviato contro i ghibellini dell'Italia settentrionale. La campagna si risolse in un completo fallimento: il D., al pari del suo congiunto, fu fatto prigioniero dai Parmensi e poté riscattarsi soltanto all'inizio dell'anno successivo. Poco dopo la sua liberazione sposò Margherita d'Aquino, ma il matrimonio fu di breve durata, visto che già nel 1337 si risposò con Isabella d'Appia, figlia di Roberto d'Aulnay e di Isabella Stendardo, vedova anch'essa.
Nel frattempo il D. era stato nominato ciambellano e nel 1331 iniziò una fortunata carriera nell'amministrazione del Regno ottenendo da re Roberto, all'inizio dell'indizione 1331-32, l'ufficio di capitano generale e giustiziere nella provincia di Principato Ultra. Nello stesso periodo stabilì vincoli più saldi con i suoi più diretti fedeli, concedendo loro, in cambio di servizi, parti dei suoi feudi. Nel 1337 ottenne la carica di maresciallo, uno dei grandi uffici del Regno. In questa veste nel 1338 passò in Sicilia insieme con la flotta comandata da Carlo di Durazzo. Subito dopo le prime operazioni militari nei pressi di Taormina, un'epidemia colpì l'esercito e costrinse i comandanti a interrompere la campagna. Anche il D. rimase contagiato: rientrato a Napoli, si fece qui curare dal medico Ricci de Mari, al quale assegnò, in segno di riconoscenza, una pensione di 8 once d'oro l'anno.
Negli anni seguenti, durante il conflitto tra le famiglie Pipino e Della Marra, il D. si schierò dalla parte dei suoi parenti materni, e, quando i Pipino si ribellarono apertamente, Roberto d'Angiò incaricò proprio il D., nella primavera del 1339, di soffocare la rivolta. La campagna condotta dal D. con brutale decisione, tale da suscitare anche le critiche del Petrarca, si concluse con la cattura di Giovanni, Pietro e Ludovico Pipino, i quali furono condannati al carcere a vita in Castel Capuano, alla revoca dei feudi e alla confisca di tutti i loro beni che vennero assegnati ai vincitori. Il D. ricevette nel 1340 il castello di Lucera, il più importante della Capitanata, e nel 1341, dietro il pagamento di 3.000 once, il castello di Minervino dove i Pipino si erano asserragliati durante l'ultimo combattimento.
La fortunata campagna contro i Pipino rafforzò ulteriormente la posizione del D. nel Regno. Nel 1341, però, i suoi vassalli si ribellarono contro di lui. Non è chiaro se la rivolta fosse in qualche modo collegata con quella dei Pipino; certo è che il D. cercò una soluzione pacifica attraverso un accordo con i ribelli, per evitare un ulteriore aggravamento della situazione politica in Puglia. Questa regione, infatti, non era ancora completamente pacificata dopo la rivolta dei Pipino: gli antichi vassalli di questi si rifiutavano di prestare il giuramento di fedeltà ai nuovi signori, mentre i briganti approfittavano del momento di incertezza intensificando le loro scorrerie. Nel 1341 il re dette ordine al D. di provvedere, nella sua funzione di capitano generale del Principato Ultra, ad una decisa azione contro il brigantaggio e provvide a imporre agli antichi vassalli dei Pipino la prestazione del giuramento dovuto. Il D. approfittò della campagna contro i briganti per disperdere anche gli ultimi seguaci della famiglia nemica.
Dopo la morte di re Roberto nel 1343 il D. sembra essere passato assai presto dalla parte dei Durazzo. Fece parte del Consiglio di reggenza che il 14 luglio 1343, contravvenendo alle ultime volontà del re, approvò a posteriori il matrimonio di Carlo di Durazzo con Maria d'Angiò. Il D. comunque poté conservare la sua posizione anche con la nuova regina Giovanna I, che lo nominò capitano generale di Capitanata, Basilicata e Principato Ultra. Tuttavia si profilò per il D. una seria minaccia, quando, per intervento del cardinale Giovanni Colonna, Clemente VI sollecitò la liberazione dei Pipino per i quali si adoperò il Petrarca. Il D. non riuscì ad evitare il rilascio, anche perché il marito della regina, Andrea d'Ungheria, sosteneva la richiesta pontificia. Com'era prevedibile i Pipino, appena liberati (24 giugno 1341), chiesero la restituzione dei beni confiscati. Il D. riuscì ad evitare la restituzione dei feudi che gli erano stati attribuiti e, pur accettando la nuova situazione, si schierò dalla parte dei baroni ostili ad Andrea. Il 24 e il 28 ag. 1344, insieme con gli altri grandi feudatari del Regno, fu presente alla prestazione da parte di Giovanna I del giuramento di fedeltà e dell'omaggio al legato pontificio Aimeric de Chatelus per il Regno di Sicilia. Successivamente il legato lo inviò in Basilicata con l'incarico di combattere contro i briganti per mettere fine all'anarchia diffusa in quella regione.
Il D. non sembra implicato nell'assassinio di Andrea d'Ungheria, avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 sett. 1345; comunque, come sottolinea Domenico da Gravina, non disapprovò il crimine: non aveva perdonato ad Andrea il favore dimostrato nei confronti dei Pipino. Proprio per questo motivo, probabilmente, si tenne lontano da Napoli nel periodo successivo: restò, quindi, estraneo agli avvenimenti turbolenti successivi all'assassinio e non fu costretto a prendere posizione fra i partiti in lotta. Quando alla fine del 1346 le prime truppe ungheresi invasero il Regno, egli riuscì a mantenere tranquille le province sottoposte alla sua autorità. Nel dicembre di quell'anno chiamò a raccolta i feudatari delle province; ma solo il 1° luglio 1347 Giovanna I gli ordinò di unirsi al più presto con le sue truppe all'esercito comandato da Carlo di Durazzo, che già si trovava in Abruzzo, per soffocare la ribellione e per respingere gli Ungheresi. Le forze del D. e di Carlo non riuscirono però ad ottenere alcun risultato positivo: non furono nemmeno in grado di riprendere possesso dell'Aquila, dove già nel maggio l'avanguardia ungherese si era asserragliata. La vanità dell'impresa indusse Carlo ad interrompere la campagna, tanto più che Luigi di Taranto aveva approfittato della sua assenza da Napoli per sposare la regina sfidando l'opposizione pontificia. Carlo allora abbandonò la causa angioina e favorì l'avanzata ungherese: egli si recò a Capua per ricevervi Luigi d'Ungheria, mentre Giovanna e il marito lasciavano Napoli e si rifugiavano in Provenza. Il D., invece, dopo il fallimento della campagna contro L'Aquila sembra essere tornato nelle sue province.
Il favore che Luigi d'Ungheria aveva riscosso al suo arrivo presso larghi strati della popolazione e della nobiltà venne meno quando il nuovo re fece imprigionare i principi sospettati di aver partecipato alla congiura contro il fratello Andrea e ordinò l'esecuzione di Carlo di Durazzo. I Del Balzo, sostenitori della politica durazzesca, in un primo tempo si ritirarono nei loro castelli. Ma quando Luigi, dopo la conquista di Napoli, invitò i baroni a prestargli l'omaggio, il D. accolse l'invito e fu confermato dal re ungherese nella carica di capitano generale in Capitanata, Basilicata e Principato Ultra, anche perché Luigi attribuiva una importanza minore alle province meridionali. Tuttavia il D., non passò come altri nobili, tra cui i Pipino, dalla parte degli Ungheresi; al contrario, si unì a quelli contrari a Luigi d'Ungheria, i quali inviarono messaggeri in Provenza per convincere Giovanna e Luigi di Taranto a ritornare nel Regno. La precipitosa partenza da Napoli di Luigi d'Ungheria, che temeva una rivolta e soprattutto la peste che infieriva nella città, favorirono questi piani. Nel giugno scoppiò la rivolta contro le guarnigioni ungheresi, che furono cacciate da Napoli e dalle altre città del golfo, e il 17 agosto Giovanna e Luigi di Taranto, accolti trionfalmente dalla popolazione, fecero il loro ingresso a Napoli.
Il D. non dovette partecipare agli avvenimenti napoletani, ma difese la causa della regina nella Puglia settentrionale; qui alla fine del 1348 giunse Luigi di Taranto alla testa di un forte esercito: il D. si unì a lui e insieme riuscirono a strappare agli Ungheresi Lucera, che era un feudo del Del Balzo. A partire da questo momento il D. divenne uno dei più fedeli seguaci di Luigi di Taranto, al quale conservò il proprio sostegno anche nel conflitto che lo opponeva alla stessa regina napoletana per il controllo del governo del Regno e della Provenza.
Nel gennaio del 1349 Luigi di Taranto lasciò la Puglia affidando al D., che aveva posto il suo quartiere generale a Minervino, la difesa della provincia contro gli Ungheresi. Il D. ottenne alcuni successi all'inizio della primavera, ma poi non riuscì ad impedire che gli Ungheresi si impadronissero di gran parte della provincia ed avanzassero verso Napoli. Alla fine di maggio un esercito di baroni, di cui faceva parte anche il D., entrò a Napoli per soccorrere la regina. L'esercito fu accolto, tuttavia, con una certa diffidenza da Luigi di Taranto, dato che fino ad allora pochi baroni si erano schierati in modo chiaro dalla sua parte nel contrasto con la regina. È addirittura probabile che non fosse del tutto sgradita a Luigi la grave sconfitta subita da questo esercito contro il voivoda ungherese, il 6 giugno, nella piana di Melito tra Napoli e Aversa: solo pochi baroni morirono nella battaglia, ma ben venticinque conti e settantaquattro altri nobili, tra cui il D., caddero nelle mani degli Ungheresi. Il voivoda progettò di mandare in Ungheria i suoi prigionieri e di avanzare su Napoli, ormai priva di efficace difesa; ma a tale azione si opposero i mercenari tedeschi e italiani che da tempo non ricevevano il soldo e reclamavano per loro i prigionieri. Il D., che con Roberto e Ruggiero di Sanseverino era uno dei più ricchi, dietro iniziativa del famigerato capitano di ventura tedesco Gualtieri di Urslingen, fu costretto ad impegnarsi, dopo aver subito la tortura, al pagamento di un riscatto di 3.000 fiorini. Pagata l'enorme somma, rientrò a Napoli dove riprese il suo posto tra i sostenitori di Luigi, il quale nel frattempo aveva quasi del tutto esautorato la moglie. Alla fine del 1349 la regina, con il sostegno di Ugo Del Balzo, conte di Avellino e con il consenso del legato pontificio, organizzò un complotto contro Luigi di Taranto. Scoperta, fu costretta a sconfessare solennemente la sua azione e a rinnegare la sua decisione di fuggire da Napoli. Tale dichiarazione fu fatta solennemente davanti ad un notaio in Castel Nuovo il 19 genn. 1350 e il D. fu tra i testimoni dell'atto notarile.
Alla fine di aprile 1350 Luigi d'Ungheria sbarcò di nuovo in Puglia senza trovare resistenza se non in poche località, tra le quali si distinsero i feudi del D., Canosa e Minervino. L'assedio di Minervino fu guidato da Giovanni Pipino, passato stabilmente alla parte ungherese, il quale cercava invano di ricuperare i vecchi possedimenti della famiglia. Nell'agosto, Luigi d'Ungheria pose l'assedio a Napoli. Mentre il re ungherese ritardava, a causa di una ferita, l'assalto finale, si presentò davanti alla città Ugo Del Balzo, conte di Avellino, accompagnato dal legato pontificio Raymond Sequet con il duplice obiettivo di mediare un armistizio con gli Ungheresi e di sostenere Giovanna nel conflitto con il marito. Luigi di Taranto incaricò allora il D. di recarsi dal conte di Avellino per negoziare su quest'ultimo punto. Poiché le trattative si protraevano, Ugo Del Balzo fece arrestare il D. e successivamente catturò anche Luigi di Taranto, rimasto senza validi sostenitori.
Ai primi di settembre Ugo Del Balzo riuscì a concludere con Luigi d'Ungheria un armistizio che prevedeva l'allontanamento dei sovrani angioini dal Regno e il loro ritorno in Provenza in attesa della sentenza pontificia in merito all'assassinio di Andrea d'Ungheria. Il 17 settembre Luigi d'Ungheria lasciava il Regno diretto a Roma; nello stesso giorno Giovanna I e Luigi di Taranto si imbarcarono sulle galee di Ugo Del Balzo per raggiungere la Provenza. Ma l'ambizione del conte di Avellino provocò il fallimento del progetto. Ugo, infatti, prima di lasciare Napoli, volle costringere Maria d'Angiò, sorella della regina e vedova di Carlo di Durazzo, a sposare il figlio Roberto. Ciò impedì l'immediata partenza delle galee e consenti a Luigi di Taranto di preparare un attacco contro Ugo Del Balzo. Quando quest'ultimo, ai primi di ottobre, raggiunse con Maria e il figlio Roberto il grosso della flotta ancorata presso Gaeta, Luigi di Taranto riuscì ad impadronirsi della sua nave e lo uccise con le proprie mani facendo prigionieri i suoi figli, Roberto e Raimondo.
Luigi di Taranto riprese allora il controllo del governo e provvide a ricompensare i suoi fedeli: il 4 dicembre il D. ricevette in feudo i castelli provenzali di Tourves, Rayssetel e Gaillet - la cui amministrazione affidò nel febbraio a procuratori, perché non voleva lasciare il Regno - e fu nominato gran camerario del Regno. Tuttavia, il successo di Luigi di Taranto non poté far dimenticare due fatti: il re ungherese si trovava ancora in Italia e un accordo con lui poteva essere raggiunto soltanto con l'aiuto del papa e l'esborso di grandi somme. Inoltre, anche la Provenza era diventata un focolaio di rivolta, una conseguenza non ultima dell'assassinio di Ugo Del Balzo. Un'ambasceria marsigliese presentatasi a corte nell'aprile del 1351 fu accolta con benevolenza: si trattava di calmare le acque e il D. si distinse per il suo impegno in favore dei Provenzali.
I contatti stabiliti in questa occasione gli risultarono utili quando alcuni mesi più tardi egli stesso fu inviato in missione a Marsiglia e ad Avignone, insieme con il vescovo di Bitonto e con il maestro razionale Matteo Della Porta. L'ambasceria aveva tre compiti: convincere il papa della buona volontà di Giovanna e anche di Luigi, il quale dal 1350 chiedeva di essere incoronato; indurre la contea a dare un sostanzioso contributo finanziario per risolvere la questione ungherese; infine, trattare ad Avignone la pace con l'Ungheria. Il lavoro degli inviati risultò piuttosto difficile, ma alla fine fu trovata una soluzione gradita a tutte le parti.
Verso la metà di febbraio 1352 il D. lasciò Avignone e giunse a Napoli il 21 marzo: due giorni dopo fu conclusa la pace in base agli accordi firmati ad Avignone. All'ultimo momento però Luigi d'Ungheria, pressato dai suoi capitani, rifiutò di ratificarla cercando ancora una volta la decisione sul campo di battaglia; ma il suo esercito fu sconfitto il 30 aprile tra Aversa e Napoli. Gran parte del merito della vittoria spetta al D., comandante della seconda schiera che decise lo scontro. Niente si frapponeva più alla realizzazione della pace: gli Ungheresi lasciarono definitivamente il Regno, mentre Giovanna e Luigi furono incoronati, come previsto, il giorno di Pentecoste (27 maggio 1352). Ormai anche il D. poteva dedicarsi con più calma ai suoi affari personali. Difficile, soprattutto, fu per lui entrare in possesso dei feudi provenzali concessigli nel 1350. Luigi e Giovanna dovettero inviare lettere alle Comunità interessate, le quali difendevano i loro antichi diritti e ne reclamavano altri. Il D. fece ampie concessioni e il 22 luglio 1354 riuscì, infine, a trovare un'intesa pacifica. L'anno successivo i suoi possedimenti in Provenza furono accresciuti con l'assegnazione di Jonquières, del castello di Saint-Genies e del quartiere nuovo di Ferrières.
Al D., ormai uno dei più fidati consiglieri di Luigi di Taranto, si rivolse spesso anche il nuovo papa Innocenzo VI, il quale lo aveva conosciuto personalmente nel 1351. Il pontefice gli chiese di intervenire presso Luigi per ottenere la liberazione dei figli di Ugo Del Balzo ancora tenuti in carcere. Non si sa se il D. si sia effettivamente adoperato in loro favore; se lo fece, non ebbe successo, dato che nell'estate del 1353 Roberto fu assassinato in carcere per ordine di Maria d'Angiò con il tacito consenso di Luigi. Raimondo, l'erede della famiglia dopo la morte del fratello maggiore, fu liberato soltanto nel 1355, dopo ripetuti interventi del papa anche presso il Del Balzo. Il caso dei figli di Ugo Del Balzo è soltanto uno tra i tanti in cui il pontefice chiese l'intervento del gran camerario. Nel primo anno del suo pontificato, Innocenzo VI si rivolse al D. anche per una questione che lo riguardava personalmente: nel 1356, poco prima dell'invasione ungherese del Regno, il vescovo di Cassino Guillaume de Rosières aveva lasciato l'Italia affidando i temporalia della diocesi al D.; questi da allora li amministrava e sfruttava come se fossero propri feudi; ma il pontefice, avendo nominato un nuovo vescovo nella primavera del 1353, intendeva ora ricuperare i beni. Pare che il D. non abbia opposto resistenza alle richieste del papa con il quale voleva rimanere in buoni rapporti. Innocenzo VI apprezzò il suo atteggiamento e continuò a rivolgersi a lui in tutte le questioni importanti relative sia al Regno sia alla Provenza. Lo interpellò persino nel 1354, quando adottò una serie di misure che portarono indirettamente alla sollevazione dei Durazzo. Ma dopo aver inizialmente sostenuto il piano dei ribelli (Roberto di Durazzo doveva sottomettere la Provenza, Ludovico di Durazzo il Regno con l'aiuto della "grande compagnia" di Corrado di Landau), il papa cambiò posizione: ed è certamente significativo il fatto che egli si pronunciò per la prima volta apertamente contro i ribelli quando seppe che Giovanni Pipino, alleato dei Durazzo, aveva tolto al D. Minervino. Anche nell'aprile del 1355, quando Roberto di Durazzo si impadronì di Baux, Innocenzo VI si impegnò con tutti i suoi mezzi per facilitare la riconquista del castello. Il colpo di mano su Baux era un affronto per tutta la famiglia Del Balzo, ma era soprattutto una vendetta nei confronti di Sibilla, moglie di Giacomo di Savoia, la quale aveva fatto catturare e incarcerare Roberto di Durazzo mentre si recava a Milano per sposare una nipote di Giovanni Visconti. Baux fu riconquistato nella seconda metà di giugno da forze rimaste fedeli alla regina di Napoli. C'erano voluti quattro mesi per domare la rivolta in Provenza, ma ce ne vollero molti di più per cacciare dal Regno gli ultimi mercenari di Corrado di Landau (fine 1356). Quando nel luglio 1355 gli invasori avevano minacciato Napoli, mettendo in gravissimo imbarazzo Luigi di Taranto, il D. fu uno dei pochi baroni che consigliarono di affrontare il nemico con le armi.
Cessato il pericolo, il D. fu nominato capitano di Barletta e Brindisi, forse dietro sua richiesta, per poter combattere meglio contro i sostenitori dei Durazzo sparsi per il paese, e soprattutto contro gli odiati Pipino. Nel 1357 fu uno dei comandanti della grande spedizione angioina (vi parteciparono 1.500 cavalieri), la quale, muovendo da Messina - riconquistata nel 1356 grazie all'abilità diplomatica del gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli -, mirava alla riconquista dell'isola. Dopo sorprendenti successi iniziali - solo Catania e poche altre terre erano rimaste in mano agli Aragonesi - l'esercito angioino subì una gravissima sconfitta nei pressi di Acireale. Il D. cadde prigioniero e poté riacquistare la libertà soltanto in cambio del rilascio delle due sorelle di Federico III d'Aragona, trattenute a Napoli da Giovanna I. Dopo il ritorno a Napoli, pare nello stesso 1357, egli fu inviato da Luigi nel Principato con l'incarico di ristabilirvi l'ordine compromesso da bande di briganti. Durante questa missione il D. mantenne stretti rapporti con la corte facendo pesare la sua autorità quando si trattava di decisioni politiche che Luigi non voleva o non poteva prendere. Anche il papa continuò a rivolgersi a lui per le questioni interne del Regno.
Dopo la morte di Luigi di Taranto (24 maggio 1362) il D. dovette allontanarsi dalla corte, dato che non è attestata la sua partecipazione agli affari politici del Regno negli anni 1363 e 1364. Era comunque considerato persona di grande autorità anche dal nuovo pontefice Urbano V, che a lui si rivolse per le questioni più importanti. Così il papa, dopo averlo invitato, al pari di molti altri nobili, a mettersi al servizio del nuovo marito della regina, Giacomo III di Maiorca, nell'aprile 1363 chiese il suo intervento per la restituzione di un castello in Provenza. Nel settembre e nell'aprile 1365 lo pregò di adoperarsi presso la regina a favore del monastero di S. Vittore a Marsiglia. Infine, lo incaricò di mediare nel conflitto insorto di nuovo tra la regina e Filippo di Taranto. Dopo la morte di Roberto di Taranto (17 sett. 1364) Giovanna I, con l'approvazione del pontefice, aveva investito Filippo, marito di Maria d'Angiò, soltanto di una parte dei feudi del defunto: Filippo, che aspirava all'intero patrimonio, si rifiutò perciò di prestare omaggio alla regina. La questione era ulteriormente complicata dal fatto che Francesco Del Balzo di Andria, marito della sorella di Filippo, Margherita, reclamava per se l'eredità di Roberto di Taranto, mettendosi in conflitto sia con Filippo sia con Giovanna.
Furono probabilmente questi conflitti ad indurre il gran camerario a ritornare sulla scena politica. Nel marzo 1366 lo ritroviamo a corte, testimone dell'atto con cui Giovanna I prestò 1.000 fiorini al cardinale Gil Albornoz. Continuò anche in seguito a godere del pieno favore della regina, come dimostra una disposizione riguardante il ricupero delle terre demaniali in Provenza: il 25 maggio, infatti, ordinando al siniscalco della contea di revocare tutti i feudi, Giovanna escluse dal provvedimento le terre che erano state assegnate al D.; e quando nel 1367 la disposizione fu revocata, il D. fu il primo ad esserne informato, tanto che spettò a lui inviare le relative direttive al siniscalco di Provenza.
La stima di cui il D. godeva presso Giovanna I è testimoniata anche dalla circostanza che in una questione "familiare" dei Del Balzo, la regina prese posizione a favore del suo gran camerario. Nel 1365 Raimondo (V) de Baux, del ramo dei principi d'Orange, e suo fratello Bertrando avevano fatto un colpo di mano su Courthézon imprigionando la nipote del D., Caterina. Si sapeva ormai che Caterina non avrebbe avuto figli e che il D. era quindi l'erede: il colpo di mano ledeva perciò i suoi diritti. Anche Urbano V intervenne nella disputa, soprattutto allo scopo di ristabilire la pace. Giovanna I, invece, volle ristabilire lo status quo ante e arrivò al punto di incolpare i due fratelli di lesa maestà. L'atteggiamento accorto e prudente del D. in questa vicenda è indicativo del suo carattere: egli accettò di buon grado la mediazione del cardinale Filippo de Cabasolle e cercò di ristabilire la pace quando nel 1368 vinse la contesa; alla fine, pregò personalmente la regina di concedere l'amnistia ai due fratelli e la sua richiesta fu esaudita.
Anche per il pontefice il D. era rimasto in questi anni un importante punto di riferimento nel Regno: Urbano V lo pregò di assistere il legato Gil Albornoz e chiese varie volte la sua mediazione, soprattutto nel dissidio tra Francesco Del Balzo e Filippo di Taranto. Pensò inoltre di affidargli un ruolo importante quando nel 1367, dopo il suo ritorno in Italia, progettò una riforma del Regno. La situazione non cambiò, quando nel 1371 il neo eletto Gregorio XI informò il gran camerario di tutti i passi intrapresi dalla Curia per risolvere la questione siciliana. Erano in corso trattative per il matrimonio tra Federico III d'Aragona, re di Sicilia, e Antonietta Del Balzo, figlia di Francesco e di Margherita di Taranto, e il D. era quindi interessato alla faccenda anche personalmente. Il matrimonio fu concluso il 26 nov. 1373 e pose fine al conflitto iniziato nel 1282, ma costituiva anche un atto ostile nei confronti di Bernabò Visconti che invano aveva cercato di dare in sposa a Federico la propria figlia Antonia. Dopo questo successo, Gregorio XI riprese la lotta contro i Visconti servendosi della lega guelfa ricostituitasi già al tempo del suo predecessore; per tutte le questioni relative ai contingenti napoletani che ne facevano parte, era solito rivolgersi al Del Balzo.
Ma il compito più importante assegnato al D. negli ultimi anni di vita fu la mediazione nei contrasti in cui si trovarono coinvolti alcuni dei suoi parenti. Dopo la morte nel 1366 o nel 1367, di Maria d'Angiò principale ispiratrice della rivolta del marito contro la regina, Filippo di Taranto fece pace con Giovanna I, mentre il conflitto con Francesco Del Balzo continuò, acuito anche dal fatto che Raimondo (II) Del Balzo conte di Avellino scese in campo al suo fianco. Nel corso del conflitto, Filippo strappò a Raimondo (II) Avellino e Conza, inducendo Gregorio XI, che era imparentato con Francesco Del Balzo, ad intervenire, ordinando la restituzione delle terre occupate e l'immediata conclusione della pace. Il D. fu affiancato come "cooperator" al vescovo di Napoli cui era stata affidata la soluzione della faccenda; cercò allora di giungere ad una equa soluzione del dissidio, nonostante che, dopo la morte di Luigi di Taranto, egli si fosse allontanato da questo ramo della famiglia angioina. Nel 1372 riuscì a convincere Francesco Del Balzo a deporre le armi e ad accettare la soluzione giudiziale della vertenza. Il successo del D., comunque, non fu definitivo: Francesco accolse le sue proposte solo in via transitoria, probabilmente per non turbare l'imminente matrimonio della figlia con il re di Sicilia, tanto che riprese le ostilità appena riuscì a concludere l'accordo matrimoniale. Alla morte di Raimondo (II), avvenuta nello stesso anno 1372, il D., comunque, riuscì ad assicurare l'eredità ai discendenti di quello. Nel 1373 intervenne nel conflitto armato insorto tra Francesco Del Balzo e la regina. Francesco aveva reclutato in Provenza truppe mercenarie e alla loro guida era rientrato nel Regno. Il D. riuscì a convincerlo a desistere dalla lotta, facendo appello agli interessi della comune famiglia: certamente la sua azione fu facilitata dal fatto che l'impresa di Francesco non aveva valide basi finanziarie.
Questo fu l'ultimo servizio reso dal D. alla sua regina. Egli morì nel 1375, non più tardi di settembre, senza lasciare discendenti legittimi, e fu sepolto nella chiesa di S. Chiara a Napoli.
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