DE DOMINICI, Raimondo
Nacque a Malta nel 1645 da genitori maltesi dei quali non ci è pervenuto il nome.
La data di nascita di questo pittore, musico e collezionista si ricava dal fatto che il figlio Bernardo nelle Vite (1742-43; cfr. ediz. di Napoli 1840-46; IV, p. 202: a questa edizione si fa riferimento in seguito indicando solo il volume e la pagina) lo dice morto "in età di sessant'anni e pochi mesi, l'ultimo di agosto del 1705" (sebbene occorra tener presente che la precisione di questa data può essere messa in dubbio, perché lo scrittore aggiunge: "sei mesi e mezzo dopo il nostro Luca Giordano", avendo però fissato la morte di Giordano al 12 gennaio, per altro errando di nuovo, posto che Giordano mori il 3, e fu sepolto il giorno seguente).
La prima menzione storiografica del D. ricorre nell'edizione napoletana (1729) della Vita del Cavalier Luca Giordano, anonima, che era stata stampata a Roma l'anno precedente in aggiunta alla riedizione delle Vite di G. P. Bellori (1728, pp. 304-395), ma che Bernardo De Dominici affermò essere sua opera giovanile. La massima parte di quel che conosciamo su lui deriva da quanto ne scrisse più tardi appunto Bernardo in due passi delle Vite (IV3 pp. 107-110, 200-203), dove è parola dei discepoli di Preti e di Giordano. L'unico riscontro oggettivo reperito finora - a parte un documento del 1682 di cui si dirà - a quanto è affermato in tale sede è nei Giornali di Napoli di I. Fuidoro, il quale, dodici giorni dopo la collocazione in situ (13 marzo 1676) delle tele degli Apostoli e Santi protettori della città destinati alla navata principale del duomo di Napoli, attesta che le tele erano state eseguite da Luca Giordano con la partecipazione di vari aiuti, fra i quali, giusto come si legge in Bernardo, il De Dominici.
"Essendo ancor giovane", il D. sarebbe entrato nello studio di Mattia Preti, e poiché la presenza del Preti a Malta e accertata a partire dal 1661-62, la data di tale apprendistato può essere fissata a ridosso di quegli anni, quando il D. era poco più che quindicenne. D'altronde tale apprendistato non poté essere di durata troppo lunga, perché Bernardo soggiunge subito che il padre "nell'età di venti anni in circa, sen venne in Napoli e si fece discepolo del famoso Luca Giordano" (Vite, IV, p. 107). L'esordio presso il Preti avrebbe però segnato a fondo gli orientamenti del giovane pittore, non solo nel "colorito", ma nell'attitudine a "contraffarne" "teste di vecchi e certe mezze figure caricate di contorni" (ibid., p. 108).
Del soggiorno napoletano, che, incominciato intorno al 1665 si sarebbe prolungato per una prima tratta fino al 1698, abbiamo un riscontro documentato nella menzione del Fuidoro sopra ricordata; una menzione che, alla data del 1676, accerta anche un rapporto con il Giordano addentrato effettivamente fino alla collaborazione. Un secondo riscontro, che proverebbe anche il protrarsi di questa presenza napoletana del D., emergerebbe per il 1689, se fosse confermata la notizia, data da Borzelli (1940), ma senza pezze d'appoggio, che in quell'anno egli "pur venne ascritto fra i Confratelli di San Luca". Ve ne sarebbe addirittura un terzo, e assai importante, se si potesse dare un corpo più consistente a quel che si legge di nuovo in Borzelli (ibid., nota 1), che il maestro nel 1682 e nel Decembre dipinge quadri per Nicola Benvenuti". Mentre, infatti, l'affermazione di Borzelli deriva senza dubbi dal documento del 24 dic. 1682 pubblicato da G. B. D'Addosio (1920), secondo cui in quel giorno, a Napoli, il D. ricevè dal Benvenuti pagamenti per un quadro che avrebbe dovuto consegnargli nel successivo gennaio, per altri che s'impegnava a fare, e per altri cinque ancora, che gli aveva già consegnato, non si può dire fondata l'ipotesi recentissima che fra tali quadri si trovasse anche il S. Giovanni della Croce per S. Teresa degli scalzi, che citeremo, con la fonte, più avanti (Galante, 1872).
Bernardo De Dominici afferma, quindi, che il D. tornò a Malta nel 1698 (IV, p. 201); avendo "intesa la novella della morte del padre ..., per vedere sua madre e gli altri congiunti, ed anche il suo venerato maestro" (p. 108). Poiché il "venerato maestro", che ovviamente è il Preti, morì il 3 genn. 1699 - e Bernardo precisa che, sebbene fosse solo quattordicenne, volle pure lui recarsi a Malta, "perché ardentemente desiderava di vedere il cavalier Calabrese, ed ebbe a gran sorte di esserli discepolo in quei sette mesi che il cavalier sopravvisse" (p. 201) - se ne dovrebbe dedurre che questo viaggio avesse luogo tra il maggio e il giugno del 1698. A ogni modo, il soggiorno che seguì, si sarebbe concluso nel 1701, con il definitivo ritorno di entrambi i De Dominici a Napoli (pp. 201 s.).
Senza voler sollevare dubbi per partito preso, sembra non immotivato aggiungere l'osservazione che, in effetti, questa parentesi maltese viene a coincidere, per buona parte, con l'assenza da Napoli anche di Luca Giordano, la cui permanenza a Madrid, com'è arcinoto, decorse dal luglio 1692 al febbraio 1702. È infatti al seguito e nell'aura di Giordano che l'opera del D. dovette svolgersi prevalentemente: a detta dello stesso Bernardo, il quale affermò addirittura che suo padre, "prima discepolo del cavalier Calabrese in Malta, poi in Napoli di Luca Giordano, copiò assai bene le opere di entrambi, ma le copie di Luca, con pochi suoi ritocchi, erano date per originali di sua mano" (ibid., p. 201). Giova inoltre riflettere che, se il D. si trasferì a Napoli nel 1665 ed entrò subito in rapporti col Giordano, la sua prima attività viene a coincidere con la fase saliente delle trasformazioni che il caposcuola napoletano impresse giusto dopo il 1660-62 alle pur vitalissime esperienze fatte in precedenza, salendo di lì per gradi, durante tutto l'arco degli anni 1670, al primo culmine propriamente barocco.
Venendo alle opere pittoriche (e a quelle menzionate dalle fonti, che sono finora le sole di cui abbiamo cognizione), la precedenza cronologica sembrerebbe spettare al già ricordato intervento nelle tele per il duomo di Napoli, la cui data 1676 cade allo sbocco del processo riassunto, ma la cui qualità è poi tutt'altro che adeguata a quel che il momento culturale comporterebbe. Segue il ricordo di una "volta" dipinta al Carmine, di un'altra analoga alla chiesa della Madonna del Pilar, e di "alcune stanze" nel palazzo del priore della Roccella don Carlo Carafa, tutte a Malta (ibid., p. 201), la cui data non può non cadere, perciò, fra il 1692 e il 170 1. Per gli anni successivi, sono citati "alcuni quadri" destinati ai gesuiti di Siracusa e di Catania, nonché una vasta tela con il "Redentore morto, in grembo all'Eterno Padre, ed una gran moltitudine d'angeli" destinata alla chiesa delle suore della Trinità, sempre a Catania: tutte opere dipinte a Napoli entro il 1705 (p. 202). Quanto a Napoli-città, Bernardo De Dominici - cita diverse altre opere senza che se ne possa indurre la cronologia (pp. 202 s.). L'unica superstite, fra queste, sembra essere il S. Giovanni della Croce di S. Teresa degli scalzi di cui abbiamo accennato, e la cui attribuzione al D., dovuta a Bernardo, è talvolta riferita a D'Afflitto (1834, p. 67), che invece si limitò a riprenderla da quello. Sempre fra quelle ricordate da Bernardo in tale luogo, la più complessa e singolare, anche per il raro procedimento tecnico, dové essere il "gran quadro a guazzo, di gran componimento, dipinto a chiaroscuro a S. Lucia del monte, rappresentante la morte di S. Pietro d'Alcantara": un dipinto che fu in serie con un'Estasi di s. Pietro d'Alcantara ricordata come opera di mano del Giordano stesso, e con un altro dipinto dedicato a s. Pasquale, di mano di un irreperito "Franceschitto di nazione Spagnuolo" (Vite, p. 200).
Quanto, infine, alla supposizione (accreditata in Ferrari-Scavizzi, 1966, II, p. 134; poi ripetuta in Dizionario Bolaffi) che sarebbero state completate dal D. le tre tele di S. Maria Regina Coeli, sempre a Napoli, che tutte le fonti attribuiscono invece al Giordano (la centrale è stata infatti firmata e datata dal maestro nel 1684), si tratta sicuramente di un equivoco derivato da una lettura distratta della Guida sacra di G. A. Galante (1872, p. 91). In effetti, Galante scrive che i tre quadri "sono del Giordano, compiti dal De Dominici"; ma intende riferirsi per altro erratamente, ad Antonio De Dominici (ossia al palermitano Antonio Dominici), il cui nome egli ricorda per esteso, più o meno a ragione, per varie altre opere esistenti nella stessa chiesa, e per una delle quali, la Resurrezione di Lazzaro, precisa anche una data, l'anno 1781, che evidentemente non si addice al De Dominici.
Un altro aspetto dell'attività figurativa del maestro che il figlio Bernardo ricorda con rilievo, fu l'apprestamento di "macchine teatrali" anzi, più specificatamente, la pittura "a guazzo [di] macchine grandi di quarantore e di sepolcri": vale a dire dei sontuosi addobbi effimeri che le chiese maggiori facevano preparare in occasione dell'adorazione rituale dell'eucarestia (detta appunto delle "quarant'ore", dal numero di ore in cui il "Sacramento" rimaneva esposto al culto) e, ancor più, in occasione dei riti della settimana santa, a cui evidentemente il termine "sepolcri" si riferisce.
In questa branca dell'arte devozionale, o, per meglio dire, dell'effimero celebrativo, che toccò un suo culmine in sintonia col montare del gusto barocco, eccelse specialmente Luca Giordano, secondo quanto attesta lo stesso Bernardo; ma questi non solo affermava che anche in ciò il D. fu discepolo di Luca, bensì che, in tal "parte, Napoli ha superato ogni altra città, come anche ne' presepi, che con gran vedute qui si usano rappresentare" (Vite, p. 201).Il D. "assai miglior pittore sarebbe riuscito ..., se non si fusse lasciato tirar più dal piacere della musica ... ; quindi cantò con buona grazia e con franchezza" (ibid.). Fu inoltre collezionista di stampe, di disegni e di "sbozzetti". Giusto di propri "sbozzetti e gran copia di Oisegni", gli fece varie volte dono Luca Giordano (ibid.); "granquantità di disegni" li ebbe da Cianferli, "schiavo" del Preti a Malta (pp. mo e 201), e dopo il 1703 ne ereditò ancora dalla sorella suor Maria, che era stata anche lei allieva del calabrese (p. 109); radunò disegni di vari altri "valentuomini"; e di stampe, di cui mise insieme "una gran raccolta", gliene mandò da Roma "delle bellissime e rarissime" specialmente Giacinto Brandi, con il quale intrattenne rapporti assidui (p. 203).
Da questo quadro emerge altresì uno stato di cose (rapporti con artisti e viaggi, varietà di esperienze, raccolta di opere e documenti di "valentuomini") di cui non poté non giovarsi il figlio Bernardo, il futuro storico degli artisti napoletani. Di contro, la propensione per la musica e per il canto indica un rapporto con il mondo musicale e dello spettacolo, da cui tolse sicuramente stimoli preziosi l'altro figlio del D., Giampaolo, il quale ebbe una parte di rilievo nella vita musicale e letteraria di Napoli. Il D. ebbe per allievo il futuro paesista Michele Pagano (c. 1685-1732), il quale si sarebbe "applicato al disegno nella sua scuola" (Vite, p. 367).
Morì a Napoli il 31 ag. 1705.
La sorella del D., Maria, nata a Malta intorno al 1650, fu, secondo il nipote storiografa.1 monaca secolare, pittrice e scultrice. Una nota nelle Vite del 1742-43 (cfr. IV, pp. 108 s.), l'unica fonte da cui deriva quanto si sa di lei, la dice "pinzochera" e aggiunge che, come il D., "fu anch'ella discepola" di Mattia Preti, discepolato che probabilmente cominciò dopo la partenza del D. per Napoli.
"Inchinata alla scultura", ebbe dal Preti insegnamento e orientamenti di scultura, sia pure attraverso la pratica del disegno; per giunta, con l'integrazione di una competente indicazione dei modelli antichi e contemporanei ("egli sommamente lodava le famose statue che fanno l'ornamento di Roma, e gli eccellenti maestri che operavano in quell'alma città. fra quali era l'ammirabil cavalier Bernino": p. 108). Tale fatto merita nota anche perché pone in risalto un interesse del Preti per la scultura, di cui comunemente non si fa conto; e lo aggiunge a quella per l'architettura - praticata e costruita, oltre che dipinta -, su cui ancora Bernardo De Dominici (pp. 108 s.) fornisce indicazioni importanti, tuttora da valorizzare.
In base alle indicazioni del Preti, e con "lettere di raccomandazione del gran Maestro [dell'Ordine di Malta] dirette all'ambasciatore Sacchetti, che dimorava in Roma", Maria si trasferì a Roma non prima del 1670-75, per operarvi non esclusivamente, ma prevalentemente, come scultrice. Sempre secondo Bernardo, la "pinzochera" avrebbe preso contatto "con il famoso Bemino, dal quale ebbe utili ammaestramenti" (p. 108). Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile indicare riscontri di fatto a questa affermazione; ma, sebbene non se ne ritrovi traccia nella letteratura berniniana più recente, sembra non essere immotivata l'osservazione di G. Sobotka (in Thieme-Becker, IX, p. 415, s. v. Dominici suora Maria de) che il gruppo plastico scolpito da Maria per la chiesa dei padri teresiani (cioè carmelitani scalzi: opera finora non individuata) di Roma, e da Bernardo descritto come "Santa Teresa cui un bellissimo Angelo, o sia l'Amor Divino, trafigge il cuore con un dardo", presuppone manifestamente l'imitazione della celebre S. Teresa di Bernini nella cappella Cornaro a S. Maria della Vittoria. Si deve tuttavia tener presente che, risalendo il conipletamento della cappella Comaro a non oltre il 1652, e la venuta a Roma di Maria, verosimilmente, a non prima del 1670-75 circa, una simile imitazione esige di essere spiegata come un ritorno rievocativo a posteriori; a meno di non vedere tale ritorno - come forse è più fondato - sulla scia di quanto poté sembrare che indicasse Bernini stesso proprio agli inizi degli anni 1670, con l'esecuzione della Beata Ludovica Albertoni per S. Francesco a Ripa (1671-74).
Maria sarebbe stata in rapporti anche con Carlo Maratta il quale l'avrebbe addirittura "compiaciuta", cedendole "il luogo di una cappella più luminosa" per l'esposizione di un quadro (p. 109). Avrebbe dipinto, inoltre, e disegnato "varie immagine e quadri di devozione", alcuni dei quali incisi e messi a stampa "da Carlo de Haje [Charles de la Haje] e da Andrea Magliar, che allora studiava l'intaglio a Roma" (p. 108). Nessuna sua opera è stata finora identificata.
Morì a Roma nel 1703. Maria raccolse anche lei disegni, soprattutto di Mattia Preti, il quale gliene aveva fatto dono; e la raccolta passò al D. nel 1703, come sua unica eredità.
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 415 (s. v. Dominici, Raimondo de), cfr. I. Fuidoro, Giornali di Napoli dal 1600 al 1680, ediz. a cura della Deputazione di storia patria, IV, Napoli 1943, p. 24; F. S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII [c. 1725-30], a cura di A. M. Matteoli, Roma 1975, p. 338; B. De Dominici, Vite... [1742-43], IV, Napoli 1846, pp. 107-110, 200-203; L. D'Afflitto, Guida ... di Napoli, II,Napoli 1834, p. 67; G. A. Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, pp. 91, 400 (se ne veda anche l'edizione commentata a cura di N. Spinosa e collaboratori, Napoli 1985, p. 276 e n. 45); G. A. D'Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani dei secc. XVI e XVII dalle polizze dei Banchi, Napoli 1920, p. 49; A. Borzelli, Luca Giordano, l'"Anonimo" e Bernardo De Dominici, Napoli 1917, pp. 34 s.; Id., Bernardo De Dominici, Napoli 1940, pp. 5 s.; O. Ferrari-G. Scavizzi, Luca Giordano, Napoli 1966, I, pp. 74, 208; 11, pp. 134, 306; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori..., IV,p. 183