RAGION FATTASI
. Cenni storici. - Mentre nella fase ultima dello svolgimento del diritto romano il farsi giustizia da sé, da parte del privato, senza ricorrere all'autorità pubblica, è considerato reato represso e punito dal legislatore, una serie di indizî permette di affermare con tutta sicurezza che invece nel diritto romano classico e, a fortiori, nel diritto più antico, era lasciato alla difesa privata dei diritti un ambito sempre più largo quanto più si risale il corso del tempo. Ciò si spiega col fatto che lo stato s'ingerisce progressivamente in modo sempre più deciso nel dirimere le controversie fra i singoli, cosicché è via via ristretta, e poi del tutto eliminata la facoltà dei singoli (o meglio dei gruppi sottostanti) di rimuovere da soli uno stato di fatto ritenuto antigiuridico.
Accanto a dichiarazioni di carattere generale (non commetter violenza chi fa uso del proprio diritto) noi troviamo, ad esempio, che i classici lasciavano ancora largo campo alla difesa privata nell'uso delle cose pubbliche, nel condominio, nei rapporti di vicinanza, in materia di locazione. Così pure era lecito al creditore impadronirsi di cose pignorate per soddisfarsi del proprio credito, ovvero convenire che, non soddisfatto alla scadenza, avrebbe potuto immettersi nel possesso di beni del debitore; inoltre gli era lecito estorcere, anche con la violenza, il pagamento al debitore che non volesse pagare. In altri campi invece già il diritto classico era intervenuto a limitare la tutela privata delle proprie ragioni: così rispetto al possesso, dove gl'interdetti proteggevano il possessore anche contro lo stesso proprietario. Non senza che anche qui venisse lasciato un certo ambito alla difesa privata: l'exceptio vitiosae possessionis infatti consentiva che il possessore vizioso potesse essere espulso impunemente; questa eccezione non aveva però luogo nell'interdetto de vi armata. Inoltre forse già la lex Iulia de vi privata puniva il creditore che violentemente si fosse impadronito di cose del debitore non pignorate, e certo Marco Aurelio comminò, in questo caso, la perdita del credito. I principî classici sono, come sempre, riaffermati ancora da Diocleziano, e solo qua e là, in modo molto cauto, si fa strada qualche altra limitazione.
La lotta contro la ragion fattasi fu iniziata da Costantino e proseguita dai suoi successori: gl'imperatori si occupano specialmente della violenta invasione di immobili e, se l'invasore è il proprietario, lo colpiscono con la perdita del suo diritto. Giustiniano è anch'egli in quest'ordine d'idee, avendo accolto nel suo Codice le costituzioni repressive della violenza, avendo eliminato, mediante interpolazione nei testi, quasi tutti i casi in cui nel diritto classico era lecito farsi giustizia da sé, e avendo infine abolito l'exceptio vitiosae possessionis nell'interdetto unde vi, in modo che anche l'espulsione del possessore vizioso è considerata illecita.
Diritto penale moderno. - Il delitto di ragion fattasi o di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha per sua oggettività giuridica la tutela del supremo diritto e dovere dello stato di impedire che i privati si facciano giustizia con le proprie mani con grave pericolo della pubblica pace. Il delitto consiste nel fatto di chi, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose (art. 392 cod. pen.), ovvero mediante violenza o minaccia alle persone (art. 393). Come si vede, questo delitto ha bisogno per la sua configurazione di un dolo specifico; quello di agire per il fine di esercitare un diritto, ed è precisamente questo dolo specifico che negl'innumerevoli casi pratici serve a distinguere questa ipotesi delittuosa da altre, alle quali potrebbe riferirsi il fatto nella sua materiale estrinsecazione. Occorre, altresì, che vi sia la possibilità di ricorrere al giudice, ma non è richiesto che il diritto, che si vuole esercitare, sia realmente esistente. Basta che si tratti di una pretesa giuridica; ossia, basta che nel contrasto tra le parti l'attore ritenga di avere elementi sufficienti a giustificare una realizzazione giudiziaria della sua pretesa. Su questa condizione della possibilità di ricorrere al giudice il codice penale del 1930 ha portato una notevole chiarificazione, perché, mentre il codice del 1889 parlava di casi "in cui si potrebbe ricorrere all'autorità", il codice vigente dice: "potendo ricorrere al giudice", indicando in tal modo l'autorità a cui si sarebbe potuto ricorrere, per evitare la possibilità di un'interpretazione, che comprenda nella parola "autorità" qualsiasi autorità pubblica, a cui anche le leggi speciali attribuiscono la potestà di dirimere i privati dissidî.
L'attività delittuosa deve realizzarsi o nella violenza sulle cose, o nella violenza verso le persone. Il nuovo codice, per dirimere tutte le controversie, che erano state sollevate nella dottrina e nella giurisprudenza intorno al concetto della violenza sulle cose, espressamente stabilisce che, agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è mutata la destinazione. Se si versa nella ipotesi dell'art. 393, la violenza o la minaccia deve essere rivolta alle persone, ma non è necessario che queste siano precisamente le persone con le quali esiste il contrasto, bastando che essa serva di mezzo all'arbitrario esercizio del diritto.
Requisito elementare del diritto è l'arbitrarietà dell'azione, così che il delitto è escluso tutte le volte in cui l'azione del privato è legittimata dagli ordinamenti generali del diritto, anche senza l'intervento del pronunciato del giudice. Esempî ne sono le azioni compiute in virtù del principio: vim vi repellere licet, o dell'altro: qui continuat non attentat.
La pena è, nell'ipotesi dell'art. 392, la multa sino a lire 5000 e nell'ipotesi dell'art. 393 la reclusione sino a un anno. Non si procede che a querela della persona offesa. Sono prevedute due aggravanti: la prima, quando si ha concorso della violenza sulle persone con la violenza sulle cose: in tal caso alla pena della reclusione è aggiunta la multa sino a L. 2000; la seconda, quando si ha l'uso delle armi nella violenza alle persone; in questa ipotesi la pena è aumentata.
Bibl.: G. Sarrocchi, Sul reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, Torino 1893, p. 51; A. Stoppato, L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, Verona 1896, p. 289; R. Babboni, Delitti contro l'amministrazione della giustizia, in Trattato di diritto penale di E. Florian, 2ª ed., Milano 1911-16, V, p. 301; V. Manzini, Dell'eserczio arbitrario delle proprie ragioni, in Trattato di diritto penale italiano, V, Torino 1913, p. 506 segg.; Lavori preparatorî del codice penale e del codice di procedura penale, V, II, Roma 1929, p. 184; C. Saltelli-E. Romano di Falco, Commento teorico pratico del nuovo codice penale, II, I, ivi 1930, p. 433; L. Aru, Appunti sulla difesa privata in dir. romano, Palermo 1934; G. Maggiore, Principii di dir. pen., II, Bologna 1934, p. 181.