RICCARDI, Raffaello
RICCARDI, Raffaello. – Nacque a Mosca il 4 febbraio 1899, da Nazzareno, un pittore edile emigrato in Russia alla ricerca di lavoro, e dalla russa Sofia Vassilievna.
Dopo pochi anni seguì il padre in Francia e poi in Belgio, dove questi morì, lasciandolo solo ancora bambino. Tornò allora in Italia, dove venne accolto, prima a Roma e poi a Senigallia, dalla famiglia paterna, ma passò gli anni dell’adolescenza in collegio. Collocatosi, ancora giovanissimo, su posizioni interventiste, partecipò alle manifestazioni pesaresi del «maggio radioso». Fu però solo dopo Caporetto che poté realizzare il desiderio di arruolarsi. Prestò servizio nell’artiglieria e poi, promosso sottotenente, in cavalleria. Si distinse in alcune azioni, tanto da guadagnarsi una medaglia d’argento (concessagli in realtà solo nel 1925).
Nell’immediato dopoguerra, impiegato in compiti di ordine pubblico in Romagna, partecipò con i suoi commilitoni ad alcuni scontri con i socialisti. Avvenne in quel periodo il suo precoce avvicinamento al fascismo. Dopo il congedo, nel 1920 fu tra i fondatori del fascio di combattimento di Pesaro e, con la creazione del Partito nazionale fascista (PNF), venne nominato segretario della federazione provinciale. Riccardi risultò tra i più violenti squadristi della provincia: fu lui a trasportare, su diretta indicazione di Benito Mussolini, il primo carico di armi destinato all’Asso di bastoni, la squadra delle camicie nere di Pesaro; inoltre, si rese protagonista in prima persona di numerose aggressioni contro avversari politici. Nella primavera del 1921, per sostenere la campagna elettorale del candidato fascista Silvio Gai, mise in atto una vera e propria escalation di violenza. Tra il febbraio e il luglio del 1922 venne incarcerato per aver sparato contro i socialisti durante una spedizione punitiva a Cagli. Tornato in libertà, riprese a condurre azioni squadriste. Per vendicare l’uccisione di due fascisti all’inizio di ottobre guidò una durissima spedizione punitiva a Fossombrone che culminò con l’uccisione del comunista Giuseppe Valenti, del quale aveva pubblicamente decretato la condanna a morte. Per sfuggire all’arresto per omicidio volontario si trasferì a Roma e poi a Caltanissetta, grazie all’aiuto di Michele Bianchi, con un incarico nel sindacato fascista e con l’identità fittizia di Amedeo Rari. Partecipò comunque alla marcia su Roma e poi tornò nelle Marche. Condannato per l’assassinio di Valenti, non scontò la pena grazie all’amnistia promulgata dal governo Mussoli e poté così riprendere la guida della federazione pesarese del PNF, che detenne fino al 1928, affiancandole incarichi sempre più rilevanti nelle istituzioni nazionali. Dal 1924, fino alla caduta del regime, fu ininterrottamente presente alla Camera: fino al 1939 come deputato e poi, con la riforma istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni, come consigliere nazionale. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta ebbe i suoi primi incarichi nel governo: fu sottosegretario alle Comunicazioni dal luglio del 1928 al settembre del 1929 e all’Aeronautica dal settembre del 1929 al novembre del 1933. Successivamente, anche se per brevi periodi, ebbe incarichi direttivi nelle organizzazioni sindacali – commissario della Confederazione dei sindacati fascisti della gente del mare e dell’aria e della Confederazione sindacati fascisti del credito e assicurazione – che gli consentirono di prendere parte alle iniziative delle istituzioni corporative, quale membro del Consiglio nazionale delle corporazioni.
Dalla fine degli anni Venti, insomma, Riccardi divenne un influente dirigente politico nazionale, sebbene non di primissimo piano. Lo testimoniano gli incarichi in un ambito, quello sportivo, su cui, in ossequio alle nuove politiche giovanili, del corpo e del tempo libero, si esercitò la crescente influenza e attenzione degli uomini del PNF: Riccardi fu infatti presidente della Federazione pugilistica italiana e della società sportiva Lazio.
Intorno alla metà degli anni Trenta ottenne i primi incarichi nell’ambito della politica industriale e commerciale: dal 1935 fu presidente dell’Istituto nazionale per le esportazioni e poi del Gruppo italiano armamenti (un consorzio costituito dal sottosegretariato di Stato per gli Scambi e le valute), dell’Istituto nazionale di previdenza e credito delle comunicazioni, della Società nazionale d’Etiopia, della società Linee aeree transcontinentali italiane. In questo ambito Riccardi riuscì a formarsi una competenza tecnica che gli consentì di consolidare la propria credibilità all’interno del gruppo dirigente del regime e quindi di essere coinvolto in iniziative di diplomazia economica: tra le altre, nel novembre del 1938, dopo la conferenza e l’accordo di Monaco, guidò una missione in Romania per favorire le esportazioni italiane e contrastare la crescente penetrazione tedesca nell’area.
L’anno successivo pubblicò il libro Pagine squadriste (Roma 1939), in cui ripercorse le vicende del primo dopoguerra di cui era stato protagonista e la nascita del fascismo marchigiano, senza tacere sui più controversi episodi di violenza, che anzi rievocò con un certo compiacimento.
Questa visibilità, grazie anche a relazioni sempre più strette con Galeazzo Ciano, gli consentì di accrescere il suo peso politico. È emblematico che a più riprese, cioè all’inizio del 1937 e ancora nel 1939, girasse la voce che Riccardi, sostenuto proprio da Ciano, avrebbe dovuto sostituire Achille Starace alla guida del PNF. Nell’ottobre del 1939 fu comunque nominato ministro per gli Scambi e le valute, in sostituzione di Felice Guarneri, rispetto al quale sembrava garantire una minore vicinanza alla Confindustria e, in generale, agli ambienti economici.
Come Ciano, che alla fine degli anni Trenta era riuscito ad avere alla guida di diversi ministeri uomini a lui vicini, Riccardi era annoverato tra i gerarchi meno favorevoli a un’alleanza con la Germania e all’intervento in guerra. Nei primi mesi al ministero per gli Scambi e le valute, coincidenti con la fase finale della «non belligeranza», promosse infatti l’esportazione di prodotti bellici (aerei militari in particolare) verso la Francia e, soprattutto, la Gran Bretagna. Al tempo stesso, in linea con il suo predecessore Guarneri, volle farsi garante degli equilibri valutari, anche contrastando il potenziamento dell’apparato militare. Resistette di conseguenza alla proposta (avanzata dal ministro delle Finanze Paolo Ignazio Maria Thaon di Revel e sostenuta da Mussolini e dal governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini) di impegnare la riserva aurea per l’acquisto di materie prime da destinare a scorta; richiamò la necessità di incentivare le industrie esportatrici a discapito di quelle che lavoravano con le commesse militari; soprattutto, cercò di limitare gli acquisti all’estero da parte degli organi dell’amministrazione e così, nel 1940, nella commissione suprema di difesa, ebbe dissidi e scontri con Rodolfo Graziani, capo di stato maggiore dell’esercito, scontri che furono generalmente risolti da Mussolini a favore dei militari.
I propositi iniziali però si arrestarono presto. L’andamento generale delle relazioni internazionali, le pressioni della Germania, la volontà di Mussolini e, infine, l’ingresso in guerra, resero impossibile praticare una politica che non fosse di fedeltà all’Asse e di sostegno allo sforzo bellico. Lo stesso Riccardi, nel corso del 1940, si spostò progressivamente su posizioni filotedesche e interventiste. Nello stesso anno siglò così un importante accordo commerciale con il ministro tedesco dell’economia, Walter Funk, con il quale i rapporti erano stati tesi nel biennio precedente, e ripristinò condizioni di favore per le esportazioni verso la Germania. Rientrano in questo quadro anche i suoi viaggi a Berlino e la creazione di riviste economiche, con redazione comune, come Economia fascista, da lui stesso curata.
Crebbe così il suo peso politico, mentre si allentava il rapporto con Ciano, dalle cui posizioni fu sempre più distante. Parallelamente, però, si intensificarono le accuse di malversazione, già rivoltegli in anni precedenti. Voci ricorrenti, alimentate dagli acquisti di grandi proprietà immobiliari, si appuntarono in particolare sugli affari di alcune società e cooperative pesaresi da lui protette e sulla vendita – in contrabbando – di permessi di importazione ed esportazione. Riccardi fece però intendere che le accuse erano la reazione ai suoi tentativi di ostacolare i traffici illeciti con l’estero dei familiari di Claretta Petacci e di altre personalità di primo piano del regime.
Nel 1942 fu insignito dall’Università di Urbino di una laurea honoris causa in giurisprudenza, ma nel febbraio del 1943, nell’ambito di un vasto rimpasto ministeriale voluto da Mussolini, fu sostituito al ministero per gli Scambi e le valute con Oreste Bonomi. Nei mesi successivi si legò ancora di più all’ala filotedesca del PNF, composta, tra gli altri da Roberto Farinacci, Renato Ricci ed Edmondo Rossoni, in diretto contatto con Berlino.
Dopo il 25 luglio venne arrestato e condotto nel carcere romano di Regina Coeli. In settembre, dopo la proclamazione dell’armistizio, fu liberato dai tedeschi e portato a Monaco, insieme ad altri gerarchi. Aderì in seguito alla Repubblica sociale italiana, senza però ricoprire incarichi ufficiali.
Nel 1947 fu processato per la sua attività squadristica antecedente la marcia su Roma. Rigettò le accuse, sostenendo, tra l’altro, che nel suo Pagine squadriste aveva ricostruito i fatti in modo fantasioso e romanzato. Assolto per insufficienza di prove, si ritirò a vita privata, vivendo tra la Svizzera e l’Italia.
Morì a Roma nel 1977.
Opere. In aggiunta a quella citata nel testo: Economia fascista. Sanzioni, commercio estero, autarchia, prefazione di G. Ciano, Roma 1939; La collaborazione economica europea, Roma 1943.
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