Raffaello Morghen
Nel suo itinerario di studioso e di organizzatore di cultura Raffaello Morghen visse stagioni diverse, passando dalla ricerca prevalentemente erudita e filologica all’elaborazione di una visione della storia incentrata sulla tradizione cristiano-evangelica, per giungere al principale compito della formazione degli studiosi dell’età di mezzo nella sede dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, di cui fu alla guida per più di trent’anni, dal 1951 al 1982, dopo essere stato dal 1947 direttore della Scuola storica nazionale di studi medioevali, collegata a quell’Istituto. Morghen fu «un gentiluomo affabile, eloquente, aperto al dialogo, ma inflessibile nelle sue convinzioni» (Tabacco 1986, p. 15). La sua consapevole, forte e irremovibile intelligenza ha contribuito a farlo emergere nella medievistica e nella storiografia italiane (a cui non sempre corrispose un’analoga considerazione a livello internazionale) soprattutto nel terzo quarto del 19° sec., con aperture alla collaborazione ‘scientifica’, soprattutto per la realizzazione, a partire dagli inizi degli anni Sessanta del Novecento, del Repertorium fontium historiae Medii Aevii.
Nato a Roma il 19 settembre 1896, attraversa un’infanzia non facile in seguito al suicidio del padre nell’agosto 1904, ricevendo la prima formazione culturale in collegi romani. Iscrittosi alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma, vi si laurea nel 1919 con una tesi sul cardinale duecentesco Matteo Rosso Orsini, avendo come docenti di riferimento Pietro Fedele ed Ernesto Buonaiuti. Tra il 1922 e il 1930 è professore nelle scuole superiori, mentre nel contempo collabora con l’Istituto storico italiano come alunno della neonata Scuola storica nazionale. Ottenuta la libera docenza di storia medievale nel 1926, entra nella terna dei vincitori del concorso per la cattedra di storia medievale dell’Università di Firenze; ma non viene chiamato da alcuna facoltà entro il triennio successivo.
Dal 1931 al 1937 svolge il compito di redattore della Enciclopedia Italiana e nel 1938 risulta nuovamente vincitore di un concorso per la cattedra di storia medievale, questa volta bandito dall’Università di Palermo. Dal 1941 al 1948 ricopre l’insegnamento di storia moderna presso l’ateneo di Perugia, passando successivamente all’Università di Roma sulla cattedra di storia medievale, tenuta sino al 1971. Nella capitale Morghen era radicato grazie anche ai suoi legami con Fedele che, in quanto ministro della Educazione nazionale dal 1925 al 1928, nel 1927 lo aveva voluto alla direzione della segreteria dell’Accademia dei Lincei, di cui nel 1934 diviene cancelliere, continuando poi ad avere una presenza rilevante.
Il luogo da lui privilegiato è comunque l’Istituto storico italiano per il Medio Evo che egli, dopo essere stato dal 1947 direttore della connessa Scuola storica nazionale di studi medioevali, presiede dal 1951 per più di un trentennio fino al 1982, cioè all’anno precedente la sua morte avvenuta a Roma il 26 maggio 1983, diventando un punto di riferimento primario per la maturazione di due generazioni di medievisti italiani. Al tempo stesso contribuisce alla vita culturale e scientifica di istituzioni ‘storiche’ quali il Centro italiano di studi sull’alto Medioevo di Spoleto e, soprattutto, il Centro di studi sulla spiritualità medievale di Todi.
Sin verso il 1930 la figura di studioso di Morghen non presenta una fisionomia chiaramente identificabile. L’influenza che su di lui aveva avuto Fedele e «la dura disciplina della scuola di Ernesto Monaci» che lo aveva formato «alla ricerca erudita» (Tradizione religiosa, 1979, p. VI), s’intrecciavano con l’insegnamento e la testimonianza cristiana di Buonaiuti, senza dare per allora esiti particolarmente significativi. Qualora si scorra la bibliografia dei suoi scritti dal 1918 al 1929, si fatica a individuare linee di ricerca prevalenti e connotanti, se si esclude quanto si connetteva con l’attività di edizione del Chronicon Sublacense del 1927 e ne derivava, ossia saggi su I primi monasteri Sublacensi, su Le relazioni del monastero sublacense col papato, la feudalità e il comune dell’Alto Medio Evo e su Gli «Annales Sublacenses» e le Note obituarie e storiche di due codici, oltre a una breve nota sugli Studi sublacensi. Emergeva anche un primo interesse per l’opera di Dante Alighieri e i suoi rapporti con le cronache di Giovanni Villani e Ricordano Malispini.
Studioso in formazione e alla ricerca di una propria identità di storico, egli poteva contare sulla stima e sull’appoggio di Fedele che, allora ministro dell’Educazione nazionale, nel 1927 ne favorì la nomina a direttore della segreteria dell’Accademia dei Lincei (pur non avendo «la tessera del partito» che accettò invece nel 1932 «dietro categorico invito del Rettore dell’Università di Roma»): in un momento, si badi, non facile perché essa doveva confrontarsi e convivere con il progetto dell’Accademia d’Italia, voluto da Benito Mussolini nel 1926, che divenne realtà nel 1929 e costituì una consistente minaccia per l’antica e prestigiosa Accademia dei Lincei, soppressa nel nome e assorbita nell’Accademia d’Italia nel 1939. In quel difficile periodo, nel 1934 Morghen fu nominato cancelliere della Reale Accademia dei Lincei. Al momento della fusione egli occupava la cattedra di storia medievale dell’Università di Palermo e si trasferì l’anno successivo presso l’Università di Perugia. Una volta caduto il regime dittatoriale e soppressa l’Accademia d’Italia, sul finire del 1944 Morghen non rinunciò a partecipare alla ricostituzione dell’Accademia dei Lincei, di cui assunse nuovamente le funzioni di cancelliere, che tenne fino al 1959. Ne fu nominato socio nazionale nel 1960.
Tra gli storici della redazione della Enciclopedia Italiana di scienze lettere e arti circolava una convinzione espressa attraverso una sorta di epigramma scherzoso: «Se Croce ci dà il pane spirituale, Gentile ci dà quello materiale». Per Morghen non era proprio così, in quanto sia lui sia la moglie, da metà degli anni Venti del Novecento, erano insegnanti di ruolo nella scuole secondarie; ma, certo, il coinvolgimento in quell’impresa culturale modificava abitudini di vita e possibilità di studio. Quando nel 1931, su indicazione del suo maestro Fedele, fu comandato presso la redazione dell’Enciclopedia, ebbe l’opportunità di dedicarsi a molteplici temi di ricerca e, soprattutto, di convivere e confrontarsi con giovani storici di elevata qualità come, tra gli altri, Federico Chabod, Walter Maturi e Arnaldo Momigliano, e intellettuali quali Ugo La Malfa. In venticinque dei trentacinque volumi dell’Enciclopedia si trovano più di ottanta voci redatte da Morghen. È oggettivamente difficile elaborare un discorso unitario per l’insieme di voci assai diversificate, che tuttavia possono essere suddivise in ampi raggruppamenti tematici riguardanti istituzioni, luoghi, avvenimenti, parti politiche, famiglie più o meno rilevanti, personaggi più o meno famosi, papi, re e imperatori.
Parallelamente Morghen portava a compimento le sue indagini su Il tramonto della potenza sveva in Italia. 1250-1266, in una monografia del 1936 quale primo (e unico) volume della collana storica Tumminelli diretta da Gioacchino Volpe: indagini che in parte confluivano nelle voci enciclopediche dedicate, per es., a Enrico VI, Federico I, Federico II e Manfredi. Il titolo riproduceva le prime parole di un precedente studio su Il tramonto della potenza sveva e la più recente storiografia pubblicato in «Nuova antologia» del 1930, a indicare un interesse preciso sin dagli inizi: un interesse che teneva in considerazione sia la storia etico-politica, sia la storia della storiografia. Tuttavia, la monografia del 1936 risulta non del tutto coerentemente strutturata: in essa ben si delinea il grande tema della italienische Kaiserpolitik, mentre si notano scarti e limiti quando l’analisi si volge al Regno di Sicilia con la mancata considerazione dell’esperienza normanna, costretta nei suoi esiti politici di unione con l’impero. Tuttavia, il disegno complessivo era e rimane significativo in relazione soprattutto alla disfatta di Manfredi e a quanto ne segue: avvenimenti che segnano il «fallimento definitivo della «politica italiana degli imperatori tedeschi», con la chiusura di «tutta un’età» e la differenziazione della «storia della Germania» dalla «storia d’Italia».
Il ‘tema svevo’ rimase tra gli interessi di Morghen che ne trattò «in diversi corsi universitari», usufruendo della dichiarata collaborazione di Arsenio Frugoni, per arrivare infine, nel 1974, a una «nuova edizione» dell’opera del 1936 con un titolo diverso, L’età degli Svevi in Italia. Dalla centralità del «quindicennio della fortuna di Manfredi» si passava a una considerazione più ampia della italienische Kaiserpolitik «come motivo centrale e ricorrente del periodo storico che aveva avuto inizio con gli Ottoni, il momento più significativo col Barbarossa, e la fine con la morte di Federico II». Per altro verso, la prevalente dimensione politica della prima trattazione era ampliata agli «altri fattori che appaiono, con chiara evidenza, nella trama storica di ogni età», con «accenni […] alle questioni della cultura normanno-sveva del regno di Sicilia».
L’opera a cui la fama di Morghen è più legata è senza dubbio alcuno la raccolta di studi intitolata Medioevo cristiano, pubblicata nel 1951 e riveduta in una seconda edizione del 1958, nella quale veniva aggiunto un capitolo su Ottone III e l’ideale della «Renovatio Ecclesiae» e subiva notevoli integrazioni il saggio su L’eresia nel Medioevo. Gli intenti di una silloge di undici studi (poi diventati dodici) sono chiariti in modo ripetuto nella Prefazione alla prima edizione («I saggi raccolti […] sono nati dalla esigenza di porre gli aspetti più significativi della religiosità medioevale nel rilievo che loro compete in una storia della civiltà d’Europa», p. V) e nei contributi analitici e sintetici:
Il motivo fondamentale e preminente che ha ispirato e permeato tutto lo svolgimento della civiltà medievale è dunque la tradizione religiosa cristiana. Per circa dieci secoli i principi religiosi derivati dal Vangelo hanno dato significato a tutte le manifestazioni della vita civile dei popoli europei, sì che l’Età di mezzo si può veramente considerare come il banco di prova del cristianesimo storico (p. 6).
Tale paradigma interpretativo condiziona tutte le pagine di un’opera dall’elevata progettualità culturale, che presenta al fondo una volontà di testimonianza evangelico-cristiana: una volontà che forse affondava nei rapporti di Morghen (e dell’amata moglie Gemma Calisti) con Buonaiuti, ma che aveva presto raggiunto una propria autonoma dimensione e operatività, benché il ricordo affettuoso e riconoscente del ‘pellegrino di Roma’ rimanesse costante nel tempo. La stessa espressione Medioevo cristiano era stata mutuata dal linguaggio storiografico buonaiutiano, anche se per dare il titolo a un’interpretazione piuttosto lontana da quella dell’antico maestro.
Non è qui il caso di riproporre la complessa costruzione morgheniana, che trova uno dei punti centrali nell’«eresia del Medioevo», sottoposta a generalizzazioni estreme e ridotta a un’unicità affatto insostenibile sulla base di una documentazione che avrebbe imposto ben altro impegno filologico ed esegetico. Talune generalizzazioni scadono in genericità, per quanto suggestive:
Le eresie medievali […] esprimevano, in una parola le esigenze di una religiosità laica che si contrapponeva nettamente alla religiosità ufficiale e alla tradizione della Chiesa. Tutti i movimenti ereticali di quell’età […] espressero soprattutto la nuova religiosità laica popolare sorta dopo il Mille (p. XI).
Religiosità laica? Sembrerebbe che l’accentuazione della «religiosità laica», per un verso, rinviasse alle posizioni etico-politiche di Morghen negli anni Cinquanta del Novecento vicino ai gruppi liberal-radicali e, per altro verso, annunciasse in Italia temi religiosi ed ecclesiologici di provenienza transalpina, che in seguito avrebbero avuto ampia presenza e forti dibattiti nel Concilio ecumenico Vaticano II.
Non si è lontani dal vero nel ritenere che Medioevo cristiano sia lo sviluppo e l’esito dell’anteriore interesse sulla storia ecclesiastica e religiosa dell’11° sec., culminato nella monografia su Gregorio VII del 1942, in cui l’impostazione storicistica di ispirazione crociana appare evidente: in Gregorio VII
convergono le più varie tendenze della nuova società europea, sorta dopo il 1000: lo spirito della rivolta antifeudale, l’anelito alla libertà, l’ansia di rinnovamento morale propri dell’imminente civiltà dei Comuni; il dinamismo e la volontà di conquista delle Crociate; le tendenze autonomistiche e monarchiche della casta sacerdotale e del Papato. E da lui traggono origine la nuova Chiesa della gerarchia, accentrata saldamente sulla base del primato romano, e il papato politico e teocratico.
L’insistenza sul personaggio ‘sintesi’ di un’epoca ha anche un risvolto che sarà tipico di Medioevo cristiano:
Si ricollegano anche a Gregorio VII quelle correnti di religiosità popolare che potremmo chiamare laica, e che, pur condannate e respinte poi dalla Chiesa dei canonisti, come eresie, tanta importanza ebbero nella formazione della temperie spirituale, nella quale avvenne il trapasso dalla civiltà del Medio Evo alla nuova civiltà del Rinascimento.
Si tratta di convinzioni che saranno riconfermate, più di trent’anni dopo, nel 1974, al momento di dare alle stampe la «nuova edizione corretta integrata e aggiornata» del volume del 1942 con il nuovo titolo di Gregorio VII e la riforma della Chiesa nel secolo XI. Il titolo era una presa d’atto che il papato gregoriano e la «riforma della Chiesa nel secolo XI» avevano assunto una posizione eminente negli interessi di ricerca e nel dibattito storiografico – soprattutto in Italia con Cinzio Violante, Giovanni Miccoli e Ovidio Capitani – al volgere dagli anni Sessanta agli anni Settanta del Novecento, generando visioni tra loro contrastanti, che comunque si distinguevano dalle interpretazioni di Morghen.
Soltanto nel 1983, a tre anni dalla morte, Morghen si decise a raccogliere in volume otto saggi che egli in precedenza aveva dedicato a Dante Alighieri, in tempi e occasioni talora assai lontane e diverse. Il primo studio su Dante, il Villani e Ricordano Malispini risaliva addirittura al 1921, mentre l’ultimo su Dante tra l’umano e la storia della salvezza era stato pubblicato nel 1980, chiudendo la stagione degli anni Settanta del Novecento in cui erano stati composti altri quatto saggi. Degli anni Cinquanta erano invece l’analisi de La lettera di Dante ai Cardinali italiani e la coscienza della sua missione religiosa e la Critica testuale ed esegesi storica della medesima. Trattandosi di contributi sparsi, particolare valore assumono la Premessa e la Introduzione alla «Lettura» di Dante del volume del 1983, che presenta un’intitolazione che potremmo definire unificante e definitoria, ossia Dante profeta tra la storia e l’eterno. Nella Premessa Morghen precisa:
I saggi raccolti nel volume costituiscono la testimonianza di un approccio graduale e, in processo di tempo, approfondito di un’opera che segna la conclusione di un’età storica ed insieme la proiezione, sempre attuale nello spirito umano, verso le eterne attese della felicità, della vittoria sul male, sull’inesausta ricerca di Dio.
Sono affermazioni assai coerenti con tutta la produzione storiografica morgheniana. Da un lato, si interpreta una concreta vicenda umana; d’altro lato, se ne esalta una figurazione in senso biblicamente profetico vedendovi un
profeta nel senso biblico della parola, quasi con una missione affidatagli da Dio di annunciare, col suo esempio, all’umanità tralignante, le vie della redenzione, di rivelare con le parole gli eventi imminenti della Giustizia di Dio, di esaltare, nella più alta tensione spirituale, la gloria millenaria della Chiesa di Dio, fonte prima dell’Amore e della Vita immortale.
In ciò riproponeva, per l’ennesima volta, il suo antico legame con Buonaiuti, di cui ricordava la «felice intuizione […] di Dante profeta» senza dimenticare una vigorosa tradizione di studi danteschi – della quale talvolta non sottaceva alcuni limiti – e soprattutto l’apporto di Erich Auerbach (1892-1957) con la sua «illuminante ipostaticità figurale».
Negli anni Settanta del Novecento Morghen pubblicava due volumi nei quali è raccolta una serie di studi della sua molteplice attività di ricerca e di indirizzo storiografico. Del 1971 è la Civiltà medievale al tramonto. Saggi e studi sulla crisi di un’età, in cui, volendo affrontare in modo rinnovato il «problema annoso» delle relazioni «tra Medioevo e Rinascimento», l’attenzione è portata su
i segni e i tempi della frattura determinatasi, tra i due mondi, con l’illanguidirsi della tradizione religiosa medioevale – che nell’esasperata attesa escatologica aveva consumato la sua esperienza millenaria – e l’affermarsi di valori umani che avrebbero dato nuove espressioni al volto dell’Europa cristiana, nell’età moderna (p. VII).
Insomma, mentre venivano riproposti gli elementi di forza e gli elementi di debolezza del Medioevo cristiano, si riaffermava come
il fatto religioso costituisce il filo rosso che consente di trovare una via dell’intrico delle vicende e degli aspetti della civiltà dell’Occidente, dal formalismo e dal trionfalismo del Cattolicesimo rinascimentale post-tridentino, all’individualismo religioso della Riforma e al filone evangelico mantenuto vivo dalla tradizione francescana; dal culto dell’uomo e dello Stato, all’assolutismo delle monarchie nazionali e al contrasto tra Stato e Chiesa; dalle esigenze delle autonomie politiche, alle prime manifestazioni della scienza moderna e del nuovo senso della storia (pp. VII-VIII).
Tali affermazioni non riescono a nascondere la natura assai composita della raccolta che nel titolo, come già l’opera sulle vicende degli Svevi, utilizza la parola «tramonto», quasi a sottolineare che proprio l’accertamento della ‘fine’ di un fenomeno storico, comporti necessariamente di riandare ai suoi caratteri connotanti e peculiari. In più, parrebbe che i tramonti riguardino, in un volume, una stirpe e la italienische Kaiserpolitik e, nell’altro, la «civiltà medioevale», ma non il «fatto religioso» e la fede cristiano-evangelica che, nonostante tutto, Morghen continuava a credere fossero fondamenti della civiltà e dell’essere uomo. Tale legittima convinzione talvolta faceva velo a una piena comprensione di un fenomeno importante quanto il «francescanesimo», che veniva esaltato «come un grande fiume che convoglia con i detriti i germi della nuova primavera» e che quindi aveva portato «dal Medioevo verso le nuove plaghe della civiltà moderna i germi fecondi della tradizione religiosa dell’Europa cristiana».
Alla Tradizione religiosa nella civiltà dell’Occidente cristiano sono dedicati i Saggi di storia e di storiografia che Morghen raccoglie nel 1979 in occasione del «venticinquennio degli “Studi storici”», collana editoriale che egli stesso aveva «ideato e diretto», all’interno dell’attività dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, a partire dal 1953. L’intento era di fornire una sorta di aggiornamento della propria produzione in rapporto
agli indirizzi prevalenti nella storiografia medioevalistica del [suo] tempo: dai problemi dell’agiografia e della storia della Chiesa, alla nuova rappresentazione dei movimenti religiosi popolari ortodossi ed eterodossi; dalle forme tradizionali della teocrazia papale, agli aspetti della religiosità laica e della secolarizzazione della tradizione cristiana nel mondo moderno, e alle nuove prospettive della storia del Cristianesimo in rapporto alla storia della mentalità e della spiritualità.
Nel volume si segnalano, comunque, la ripresa di un saggio su Il pensiero religioso di Giuseppe Mazzini e la secolarizzazione della tradizione cristiana e la riproposizione, sotto forma di «postille storiografiche», di quattro brevi contributi «a integrazione e complemento» delle considerazioni su Crisi della civiltà e storiografia del nostro tempo. La riflessione su «i tempi che corrono, presso a poco, dagli ultimi anni del ’700 a questa nostra torbida fine di secolo», oscilla tra la pessimistica constatazione di una evidente «crisi di civiltà» e l’ottimistica previsione che si stesse aprendo «un nuovo senso della solidarietà ecumenica di tutte le razze, ai fini della promozione e della liberazione della persona umana, dal male, dal dolore, dal bisogno». Insomma, lo storico in quanto ‘uomo di fede’ non poteva rassegnarsi al tramonto della «tradizione dell’umanesimo cristiano», che anzi costituiva, anche per lo ‘storico’, «la giustificazione degli eterni valori della civiltà».
Sulla base delle ultime parole, il passaggio all’ultimo volume di Morghen appare scontato, se non obbligato, e si trova sintetizzato nell’esplicito titolo Per un senso della storia. Il volume compare postumo nel «gennaio 1984», ma porta la data del 1983, cioè l’anno in cui, nel mese di maggio, lo storico era deceduto. Tuttavia, i curatori tengono a precisare che si trattava dello «specchio» e del «frutto fedele della sua volontà», in quanto a Morghen risalivano «la scelta dei contributi, il loro inserimento in un organico disegno, la loro successione e articolazione in sezioni, i diversi titoli» (p. 6), oltre che la Premessa, ultimata nel gennaio del 1983. Siamo davanti, dunque, alla estrema testimonianza di «esperienze e prospettive di uno storico di impegno», ripetendo espressioni dello stesso Morghen, il quale ripercorre il proprio itinerario di studioso, partendo dai contesti in cui egli si era formato e inserito (Il rinnovamento degli studi storici in Roma dopo il 1870, e Cultura laica e cultura cattolica in Roma ai primi del ’900), passando per «i Maestri delle nuove generazioni» (Volpe, Fedele, Gaetano Salvemini, Arturo Carlo Jemolo, Buonaiuti) e pervenendo ai classici temi morgheniani (il «Medioevo cristiano», la «crisi di civiltà», la «tradizione di civiltà»).
Al centro è comunque la propria posizione di «storico di impegno», che dà un senso, innnanzitutto, a quanto egli studia: un senso che diventa il senso in rapporto al senso della storia, ossia «la storia» intesa «come il campo dell’esperienza umana nel quale penetrano le radici più profonde della coscienza stessa dell’individuo e le ragioni del suo misterioso divenire nella realtà» (Per un senso della storia, cit., p. 7), a cui si connette una fermissima convinzione dello stesso Morghen: «è certo che l’uomo d’oggi può trovare i punti di riferimento che lo guidino nella tempestosa vicenda dei nostri tempi soprattutto nella sua coscienza di essere che vive nella storia» (p. 7). Perciò ne deriva l’importanza del
pensiero storico, che, proprio nell’approfondimento dei dati dell’esperienza umana della tradizione, trae motivo per una consapevolezza più piena e compiuta dell’uomo e della civiltà, che è il prezioso frutto delle sue facoltà creative, nell’ambito del mondo misterioso degli accadimenti e delle sue relazioni col mondo della natura e dello spirito (p. 8).
A dare un senso al «mondo misterioso» contribuisce il «fatto religioso come elemento necessario di una compiuta visione globale del processo della civiltà umana» (p. 15); ma è proprio a questo punto che nascono molti interrogativi intorno al «Medioevo cristiano» rispetto alla «modernità» che si connota per distanziarsi e distinguersi da esso. Morghen ne dà una soluzione non teologica, né ‘integralista’ e clericale, bensì in termini di ‘valori’, connessi con la tradizione religiosa che li ha trasmessi e li trasmette. Tutto ciò è tanto impellente in quanto la «civiltà occidentale» nel Novecento ha conosciuto una «grave crisi» che spinge non solo alla ricerca sul passato, ma soprattutto a profonde meditazioni sulla ‘filosofia della storia’: cosa che Morghen compie con grande consapevolezza, non riferendosi però al pensiero di filosofi, bensì a quello di ‘storici della civiltà’ quali Werner Kaegi (1901-1979) e Johan Huizinga (1872-1945), di cui apprezzava «grandemente il senso etico della cultura storiografica» (Capitani 1994, p. XXX).
Per concludere, non sarà superfluo ricordare un volume che consente di integrare la conoscenza di Morghen in quanto «storico di impegno». Il riferimento va alla raccolta di Lettere a Raffaello Morghen, pubblicata nel 1994, che riporta 157 epistole, di cui soltanto un quinto scritte dallo studioso romano. Nella raccolta epistolare ritorna la sua vicenda culturale diluita attraverso il tempo e la molteplicità degli interlocutori. Ritornano le convinzioni di fondo, spesso espresse in modo diretto e chiaro, come, per es., si legge in una lettera dell’ottobre 1977 a Indro Montanelli:
Non ha mai pensato […] che il Cristianesimo, sempre limitato dagli storici laici nelle anguste e transeunti transenne della Chiesa temporale e del teologismo razionale del tomismo, è la grande ipoteca che da duemila anni la coscienza spirituale dell’uomo pone alla civiltà umana e al mistero della Storia? […] Come fidarsi oggi di un laicismo, culturale e politico in crisi di accertata involuzione, a cui corrisponde uno storicismo agnostico di tipo idealistico o di materialismo marxistico, senza rifarsi ad un umanesimo cristiano che costituisce ancora la tradizione più nobile della nostra civiltà?
Da posizioni apparentemente conservatrici Morghen sapeva proiettarsi in dimensioni che non concepivano chiusure di ‘parte’, fossero esse ‘laiciste’ o fossero esse ‘cattolico-clericali’: «La coscienza cristiana moderna deve attuare ancora una volta gli eterni valori del Vangelo nelle forme della nostra cultura», e non «nell’adesione a una catechesi dottrinale che è l’espressione di una cultura superata almeno da sei secoli!» (lettera a Luigi Pedrazzi del 30 luglio 1956).
Per un elenco completo degli scritti di Raffaello Morghen, si veda: Bibliografia degli scritti di Raffaello Morghen, a cura di G. Braga, A. Forni, P. Vian, in Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento, Atti del Convegno, Roma 2003, a cura di L. Gatto, E. Plebani, Roma 2005, pp. 407-500.
Tra gli scritti più significativi si vedano:
Il tramonto della potenza sveva in Italia. 1250-1266, Milano-Roma 1936 (nuova ed. con il titolo L’età degli Svevi in Italia, Palermo 1974).
Gregorio VII, Torino 1942, 19472 (nuova ed. con il titolo Gregorio VII e la riforma della Chiesa nel secolo XI, Palermo 1974).
Medioevo cristiano, Bari 1951, 19582.
Civiltà medioevale al tramonto. Saggi e studi sulla crisi di un’età, Bari 1971, 19732.
L’Accademia nazionale dei Lincei nel CCCLXVIII anno dalla sua fondazione, nella vita e nella cultura dell’Italia unita (1871-1971), Roma 1972.
Tradizione religiosa nella civiltà dell’Occidente cristiano. Saggi di storia e di storiografia, Roma 1979.
Dante profeta. Tra la storia e l’eterno, Milano 1983.
Per un senso della storia. Storici e storiografia, a cura di G. Braga, P. Vian, Brescia 1983 (ma gennaio 1984).
Cronache dell’Italia provinciale, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano», 1985-1986, 92, pp. 23-52.
Lettere a Raffaello Morghen, 1917-1983, a cura di G. Braga, A. Forni, P. Vian, Roma 1994.
O. Capitani, Medioevo passato prossimo. Appunti storiografici: tra due guerre e molte crisi, Bologna 1979.
O. Capitani, Una medievistica romana, Bologna 1986.
G. Tabacco, Raffaello Morghen (1896-1983), in Angli e Sassoni al di qua e al di là del mare, Spoleto 1986, pp. 15-27.
O. Capitani, Introduzione, in Lettere a Raffaello Morghen, 1917-1983, a cura di G. Braga, A. Forni, P. Vian, Roma 1994, pp. V-LVII.
Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento, Atti del Convegno, Roma 2003, a cura di L. Gatto, E. Plebani, Roma 2005 (in partic. G. Arnaldi, Raffaello Morghen e l’Istituto storico italiano per il Medio Evo, pp. 9-22; S. Boesch, Raffaello Morghen e la storiografia del XX secolo, pp. 109-28; G. Paoloni, Raffaello Morghen cancelliere dell’Accademia dei Lincei, pp. 159-92; A. Forni, L’impegno politico di Raffaello Morghen nella collaborazione a «Il Mondo», pp. 231-52; P. Vian, Raffaello Morghen, Ernesto Buonaiuti e la Chiesa cattolica: dalle “Lettere di un prete modernista” al concilio ecumenico Vaticano II, pp. 253-308; P. Delogu, Falco, Morghen e la ricerca del vero Medioevo, pp. 309-26).
M. Miglio, Morghen Raffaello, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 76° vol., Roma 2012, ad vocem.
Su Paolo Lamma:
Bibliografia degli scritti di Paolo Lamma, a cura di G. Cracco, in P. Lamma, Oriente e Occidente nell’Alto Medioevo. Studi storici sulle due civiltà, Padova 1968, pp. XXVI-XXIX.
Su Arsenio Frugoni:
Bibliografia degli scritti di Arsenio Frugoni, a cura di C. Gennaro, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», s. III, 1973, 3, pp. 487-514.
G. Sofri, Frugoni Arsenio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 50° vol., Roma 1998, ad vocem.
Su Raoul Manselli:
Bibliografia di Raoul Manselli, a cura di E. Pásztor, Spoleto 1994.
D. Quaglioni, Manselli Raoul, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 69° vol., Roma 2007, ad vocem.
Su Ovidio Capitani:
Bibliografia degli scritti di Ovidio Capitani, a cura di M. Iuffrida, Bologna 2008.
Nella sua posizione di direttore, dal 1947, della Scuola storica nazionale di studi medioevali e, pochi anni dopo, di presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, fino al 1982, Raffaello Morghen ha influito sulla formazione e sugli orientamenti di almeno due generazioni di medievisti italiani. Ne sono una prima evidente testimonianza i due voluminosi tomi pubblicati a Roma nel 1974 sotto il titolo di Studi sul Medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen per il 90° anniversario dell’Istituto storico italiano (1883-1973), che raccolgono i contributi di numerosi studiosi venuti in diretto contatto con il maestro romano. Tuttavia, è indubbio che tre sono stati gli storici a lui maggiormente legati, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta del Novecento.
La terna può aprirsi con Paolo Lamma, nato a Bologna nel 1915 e prematuramente deceduto a Padova nel 1961, che con tutta probabilità fu il più vicino all’universo di valori morgheniani, come appare soprattutto negli studi dedicati a Cluny e al monachesimo cluniacense, che Morghen giudicò espressione «notevole di storiografia cattolica, rigorosamente impegnata nella problematica del pensiero storico moderno, pienamente consapevole nello stesso tempo della funzione preminente che la tradizione religiosa ha esercitato nella formazione della nostra civiltà» (Per un senso della storia, a cura di G. Braga, P. Vian, 1983, p. 166).
Con il secondo, Arsenio Frugoni, nato a Parigi nel 1914 da genitori bresciani emigrati e morto in un tragico incidente nel marzo del 1970, Morghen intrattenne rapporti amichevoli e solidali, benché non si nascondesse gli elementi di distinzione e di differenza nel rispettivo modo di affrontare il ‘mestiere di storico’: distinzione e differenza che però trovavano un fondo comune, al di là dei pur importanti aspetti personali e psicologici, nella tensione morale operante nella loro attività di ricerca, ovvero nel sentire impellente il «compito di dare un significato alla storia». Lo stesso Morghen però era ben consapevole, ad altro livello, che «l’opera di storico di Frugoni si concretava in una revisione critica della storiografia antecedente e in una nuova e puntuale lettura dei testi, alla luce dei nuovi indirizzi storiografici» (Per un senso della storia, cit., p. 159). Perciò non è un caso che sia Arnaldo da Brescia nelle fonti del XII secolo (1954; rist. 1989) l’opera frugoniana che ha suscitato e mantiene maggiore interesse, nella quale sono vivissimi i temi di ermeneutica storica e le questioni di esegesi delle fonti, tra cui l’innovativa critica del metodo ‘filologico-combinatorio’.
Il terzo ‘allievo’ di Morghen è Raoul Manselli, nato a Napoli nel 1917 e morto a Roma nel 1984: dei tre sicuramente il più operoso e dinamico sia nell’attività di ricerca, sia nella direzione di enti culturali, come il Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, la Società internazionale di studi francescani di Assisi e il Centro gioachimitico di San Giovanni in Fiore. Studioso delle eresie, della ‘religione popolare’ medievale e della prima crociata, senza disdegnare temi di storia generale, ha lasciato il segno più rilevante nelle ricerche intorno a san Francesco d’Assisi e al francescanesimo, muovendo dalle iniziali e originali indagini su La “Lectura super Apocalipsim” di Pietro di Giovanni Olivi (1955) e su Spirituali e Beghini in Provenza (1959).
Per completezza di discorso occorrerebbe aggiungere un quarto nome, Ovidio Capitani, nato a Il Cairo nel 1930 e deceduto a Bologna nel 2012, il quale, pur essendo propriamente ‘allievo’ di Morghen sin dagli anni universitari e avendo con lui collaborato precocemente, sottopose a critica serrata e penetrante le convinzioni del maestro, che forse non la gradì o non accettò di tenerne conto: tanto che, tracciando nel 1973 un bilancio de Gli studi sul Medioevo nell’ultimo cinquantennio, Morghen non fece riferimento alcuno all’innovativo saggio di Capitani, meditatissimo e informatissimo, Dove va la storiografia medievale italiana?, comparso in «Studi medievali» ben sei anni prima.