GIOLLI, Raffaello
Nacque ad Alessandria il 3 apr. 1889 da Gaetano e da Emilia Viotti.
Di formazione cattolica frequentò il ginnasio a Milano e il liceo a Novara. Appassionato sin da ragazzo di storia dell'arte si iscrisse all'Università di Pisa, conseguendo poi la laurea a Bologna. A Milano iniziò a collaborare, dal 1908, alla rivista Rassegna d'arte, divenendone ben presto redattore fisso. Dal 1914 suoi scritti furono pubblicati sulle riviste del gruppo Alfieri e Lacroix, Pagine d'arte e Vita d'arte.
La sua attenzione si rivolse soprattutto alla pittura lombarda e, più in generale, italiana, dell'Ottocento e del Novecento, a suo parere ingiustamente sottovalutata rispetto alle esperienze impressioniste e postimpressioniste dell'arte francese. Inoltre, su Vita d'arte, pubblicò, nel giugno del 1914, un saggio sull'architettura di L. Conconi dove, illustrando il progetto presentato nel 1881 al concorso per il monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, mise in evidenza la volontà dell'architetto di realizzare non un oggetto esclusivamente celebrativo, ma un elemento architettonico risolutivo di un problema urbano (L'architettura di Conconi, ora nell'antologia - che raccoglie tutti gli scritti del G. sull'arte - L'architettura razionale, a cura di C. De Seta, Bari 1972, pp. 3-10).
Fervente interventista, non riuscì a partire per il fronte nonostante ripetuti tentativi, ma seguì nei suoi articoli su Pagine d'arte gli eventi bellici attraverso un'accurata cronaca dell'arte di guerra che comprendeva le opere degli artisti impegnati al fronte.
Il suo interventismo fu legato soprattutto alla speranza che, attraverso la guerra, l'Italia potesse inserirsi nella visione internazionale del fare artistico, unita alla certezza romantica che le sofferenze subite nei combattimenti fossero in grado di ispirare negli artisti la difficile ricerca del bello universale che coincide con la ricerca del vero. Dal 1916 al 1919 si dedicò principalmente a raccogliere e diffondere l'arte di guerra, senza mai aderire in pieno alle esaltazioni etiche dei futuristi dei quali pure seguiva con attenzione i lavori. Il suo iniziale entusiasmo svanì proprio conoscendo le opere degli artisti impegnati al fronte, nelle quali la realtà del conflitto non lasciava spazio alle speranze ideali. Le sue riserve nei confronti del gruppo di F.T. Marinetti, colpevole ai suoi occhi di allontanare con il chiasso e la spettacolarità degli interventi il pubblico dall'arte contemporanea, non gli impedirono di riconoscere il valore di alcune personalità appartenenti a quella corrente. Vide in U. Boccioni un vero artista, pur non condividendone i manifesti in cui veniva dissacrato e rifiutato il passato che per il G. rappresentava, invece, l'elemento attraverso il quale conoscere il presente e il futuro, lontano però dallo storicismo dell'accademia.
Nel 1919 partecipò alla fondazione a Milano del Circolo d'alta cultura che, grazie al suo entusiasmo e alla sua attività, assunse un importante ruolo nelle vicende culturali di quegli anni. Il 25 febbr. 1920 sposò Rosa Menni, pittrice e disegnatrice di tessuti appartenente alla borghesia milanese, dalla quale ebbe tre figli: Paolo, Federico e Ferdinando. Nello stesso anno iniziò a curare una rubrica d'arte sul quotidiano milanese La Sera pubblicando, tra l'altro, una serie di articoli sulla I Biennale internazionale delle arti decorative allestita nel 1923 nella villa reale di Monza. Con grande lucidità il G. attribuiva la mancanza di modernità nell'arte italiana all'arretratezza della società, in quella corrispondenza tra arte, vita e storia che animò sempre il suo pensiero. Nella sua ricerca critica si proponeva di individuare elementi di qualità nelle diverse correnti, rivolgendo la sua crociana attenzione più verso le singole personalità degli artisti che verso l'evoluzione degli stili.
Nel 1926 scrisse un saggio, mai completato, Architettura alla garçonne (una parte del quale andò probabilmente dispersa durante la perquisizione che precedette il suo arresto nel settembre del 1944), in cui abbandonò il nazionalismo architettonico di radice risorgimentale, schierandosi apertamente al fianco delle più aggiornate ricerche europee e contro l'accademismo coltivato dal regime fascista (L'architettura razionale, pp. 47-84). Dal 1927 curò la rubrica Cronache milanesi per la rivista Emporium dove illustrò, tra gli altri, i lavori degli architetti G. Muzio e G. De Finetti ai quali riconobbe la capacità di realizzare edifici di valore che abbandonavano il decorativismo e il diffuso riferimento alle forme passate. Nello stesso anno fondò quella che può considerarsi la prima rivista italiana di arte contemporanea, di cui fu direttore ed editore, nata come un bollettino dal nome 1927. Problemi d'arte attuale, trasformatasi poi in 1928, 1929, e divenuta, dal novembre del 1929, Poligono.
Durante il primo anno pubblicò una rassegna di progetti relativi ad alcuni nuovi negozi di Milano; mentre nel secondo ne propose una serie relativa a istituti bancari, rammaricandosi che, pur essendone stati costruiti in gran numero, pochi erano degni di interesse. Fu questa una linea editoriale nuova rispetto agli esempi esistenti, sia per la precisa volontà di inserire l'architettura all'interno di una rivista non tecnica, sia per la scelta di pubblicare edifici fino ad allora considerati non particolarmente rappresentativi, capaci però di esprimere una volontà di rinnovamento in cui modernità e tradizione trovavano una sintesi nel rigore e nella semplicità della forma. L'arte per il G. apparteneva anche agli oggetti di uso quotidiano; la rivista era espressamente rivolta "a chi ignora che l'arte è in una sveglia economica e in un apparecchio telefonico oltre che nel quadro" (Dedica, in L'architettura razionale, p. 13). Pubblicò anche saggi sulla scenografia teatrale, opere e scritti di C. Carrà, M. Sironi, G. De Finetti, G. Zanini, G. Ponti, G. Minnucci, A. Libera, L. Baldessari, fornendo uno strumento di conoscenza delle più moderne espressioni dell'arte contemporanea. Non fu una rivista di tendenza: il G. non apparteneva a una corrente specifica; e ciò gli permise di pubblicare opere tra loro eterogenee. 1928 fu la prima rivista, in quell'anno, a dar credito agli architetti del Gruppo 7, fino ad allora quasi ignorati o contestati dalla pubblicistica nazionale.
Come ha notato De Seta (1989), se il suo essere moderato e lontano da protagonismi permise al G. di riconoscere elementi di qualità all'interno dei diversi schieramenti senza adagiarsi su posizioni di principio, la sua visione assolutistica dell'arte lo portò a considerare le scelte politiche, operate e imposte in Italia in quegli anni, come secondarie rispetto alle posizioni sostenute dal regime in campo artistico. La sua onestà intellettuale gli consentì di dedicarsi completamente alle iniziative editoriali senza cercare di ottenere vantaggi personali; di contro, questa sua passione totalizzante lo portò a sottovalutare quelle restrizioni operate dal fascismo alle quali, solo dopo diversi anni, riservò una attiva contestazione.
Dal 1925 insegnò per quindici anni, sempre a Milano, all'Accademia libera di cultura e arte diretta da V. Cento, iniziativa derivata dal Circolo d'alta cultura, dove le mostre e le conferenze iniziali già si erano trasformate in corsi regolari di lezioni. Nello stesso tempo, con l'istituzione della cattedra di storia dell'arte introdotta dalla riforma Gentile, fu chiamato a insegnare nei licei statali milanesi Berchet, Parini, Beccaria, fino a quando non ne fu allontanato perché rifiutò il giuramento fascista. Dal 1929 iniziò a occuparsi, in alcuni articoli comparsi su 1929, anche di cinematografia, inserendola, per la prima volta in Italia, a pieno diritto tra le arti. Contemporaneamente, dal gennaio 1927 al marzo del 1930, pubblicò numerosi scritti su Emporium; mentre dal 1933 al 1935 fu direttore della rivista mensile Colosseo, poi diventata Colosseo-Colonna, che, insieme con Vetrina, uscita negli stessi anni, ebbe vita piuttosto breve. Collaborò al quotidiano milanese L'Ambrosiano, da dove continuò ad appoggiare apertamente gli artisti del Novecento, apprezzandone l'eterogeneità e l'eclettismo come segno di indipendenza delle singole personalità.
A partire dalla metà degli anni Trenta la sua attenzione si rivolse sempre più verso l'architettura. Dal 1935 all'aprile del 1940 suoi articoli furono pubblicati sulle riviste edite da G. Mazzocchi, Domus e Casabella; in quest'ultima nel 1936 successe a Edoardo Persico nella cura della rubrica Architettura mondiale. Al 1934-35 risale uno tra i più lunghi scritti inediti del G., L'arte all'ordine del giorno, premessa al volume mai concluso Il riscatto dell'arte, per la cui pubblicazione fu in trattativa con la casa editrice Laterza.
In questo scritto (L'architettura razionale, pp. 85-168) il G. esprime le proprie considerazioni critiche sulla società moderna che relega l'arte nella sfera del superfluo. Secondo il G. si è creata una situazione in cui da una parte gli artisti vivono isolati, dall'altra la stessa società non riesce a comprenderne il linguaggio. Le società nuove, nate da spiriti rivoluzionari, cercano di cooptare l'arte all'interno della propaganda politica: "Lo sa la Germania che ha creduto di poter porre all'arte il dilemma dell'esser nazista o d'essere esiliata: e, tenendo duro nel controllo, ha finito col conservare il nazismo e perdere l'arte" o la Russia comunista dove "la mistica del piano quinquennale condusse anche la letteratura a diventar materia di dittatura" (pp. 114 s.). È inutile, quindi, secondo il critico, affidarsi all'idea di uno Stato mecenate; è la comunità civile che deve opporsi a questa situazione riconoscendo all'artista una dignità pari a quella che si tributa alle professioni liberali, cercando poi di sviluppare una sensibilità che permetta di comprendere, per poi apprezzare, le opere degli artisti, cosa che l'educazione scolastica non si preoccupa di insegnare. All'interno di questo stesso testo, il G. compie anche un'analisi critica del volume di A.M. Fraenkel Il problema spirituale del presente e la situazione dell'anima (Bari 1936), dove attribuisce la responsabilità di una "sconnessione di idee" tra pubblico e artista alla consuetudine, da parte della società, di leggere l'opera d'arte come oggetto estetico, tralasciando il processo creativo analitico che ne è alla base.
Nel luglio del 1940 il G. venne arrestato dall'OVRA (Opera vigilanza repressione antifascista) e internato con il figlio Paolo a Istonio Marittimo in Abruzzo; qui rimase fino al febbraio del 1941, quando gli fu imposto il domicilio obbligato a Senago. Poco dopo tornò nella casa di famiglia a Vaciago (Varese) dove si dedicò alla stesura di un libro, La disfatta dell'Ottocento, di cui alcuni capitoli, distrutti durante la perquisizione del 1944, furono ricostruiti in seguito dalla moglie che ne curò anche l'edizione postuma, nel 1961, presso Einaudi (Torino).
Nella stesura di questo testo il G. trasse spunto da un altro suo scritto mai pubblicato, La figlia della rivoluzione, nato dall'incontro, poco dopo il 1930, con Erminia Cimino Folliero figlia di un esule napoletano del Risorgimento. Il G. legge il Risorgimento come storia di una rivoluzione, non importa se incompiuta: la sua grandezza sta "nell'essersi posto come esigenza la libertà dell'uomo per l'uomo" (p. 74).
In questi anni riprese a collaborare con le riviste Casabella e Domus; mentre i suoi articoli furono rifiutati dal Corriere della sera. Continuò nella sua attività antifascista, e fu vicino al movimento partigiano della Val d'Ossola, particolarmente al gruppo di Omegna, guidato da un suo allievo del liceo. Tornato a Milano, cercò di formare un gruppo di lotta costituito per la maggior parte da artisti e intellettuali. Con il nome di "Giusto" collaborò regolarmente a giornali clandestini di propaganda politica, tra i quali l'Avanti!. Il 14 sett. 1944 fu arrestato con la moglie e il figlio Federico dalla legione Muti, venne torturato e trasferito nei primi giorni di ottobre nel carcere milanese di S. Vittore.
Fu deportato a Mauthausen, in Austria, dove morì al campo Gusen 2 nella notte tra il 5 e il 6 genn. 1945.
La moglie e il figlio Federico furono infine liberati; Paolo, dopo essere stato nuovamente deportato, prima in Grecia e poi in Cecoslovacchia, fu anch'egli liberato; Ferdinando, giovane poeta e critico che si era già distinto per avere pubblicato un saggio su G. Ungaretti, fu arrestato e fucilato il 16 ott. 1944 a Villeneuve in Val d'Aosta.
Fonti e Bibl.: E. Somarè, Storia dei pittori italiani dell'Ottocento, Milano 1928, ad indicem; C. Maltese, Storia dell'arte in Italia 1785-1943,Torino 1960, pp. 234, 406; C. De Seta, Il destino dell'architettura. Persico, G., Pagano, Bari 1985, pp. 101-155; P. Pallottino, Storia dell'illustrazione italiana, Bologna 1988, p. 336; C. De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Bari 1989, ad indicem; La pittura in Italia. Il Novecento/1 1900-1945, II, Milano 1992, ad indicem; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", S. Lodovici, Storici, teorici e critici della arti figurative (1800-1940), pp. 176 s.; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, II, pp. 477 s.