BORGHINI, Raffaello
Nacque forse nel 1537 a Firenze, probabilmente da Francesco e da Alessandra Buontempi.
Sul B. si hanno scarse notizie biografiche. La data di nascita del 1541, spesso indicata dai repertori moderni, appare per la prima volta nel Manuale di D'Ancona-Bacci (1904) senza che sia detto da quale fonte sia stata ricavata. E. Avanzini, che ha esaminato i registri delle nascite dell'Opera del duomo di Firenze, non ha reperito alcun Raffaello Borghini; ha però trovato, per il 1537, un Raffaello di Francesco di Raffaello abitante in piazza S. Felicita, e ha inoltre potuto stabilire che in quell'epoca e a quell'indirizzo abitava una famiglia Borghini. Il padre del B. è indicato come Francesco anche in alcuni documenti della Nazionale di Firenze (Rinuccini, filza 23 bis) esaminati da G. Ferroni. Quasi sicuramente si tratta di Francesco Borghini, nipote del noto priore Vincenzio, che fu auditore del granduca e cavaliere di S. Stefano ed è anche ricordato nel Riposo (riproduzione anastatica 1967 dell'edizione del 1584, p. 397).La famiglia del B., già nobile e ricca, sembra che fosse ridotta in cattive condizioni economiche e che oscillasse, come altre famiglie nobili fiorentine, fra l'ostilità ai Medici e l'inserimento nella vita di corte e nell'amministrazione del granducato. Il B., che appare anch'egli, nei primi anni, in rapporto con oppositori dei Medici (tale era reputato l'arcivescovo Antonio Altoviti, al quale egli indirizzò, fra il 1567 e il 1573, una canzone, che si legge in Rime, pp. 37-40), risulta in seguito direttamente legato con i Medici (nel 1574 scrisse una canzone in morte di Cosimo: in Rime, pp. 45-48; nel 1578 una canzone in morte della granduchessa Giovanna d'Austria, pubblicata in opuscolo dal Marescotti; nel Riposo descrive minutamente le camere del granduca, dimostrando di conoscerle bene; lo stesso Riposo è dedicato a don Giovanni de' Medici, figlio naturale di Cosimo I e di Eleonora degli Albizzi). Egli risulta inoltre in stretti rapporti con le famiglie nobili fiorentine (i Pitti, i Capponi, i Valori) passate ormai alla collaborazione con il granduca.
Non si sa se in seguito a oscure vicende cortigiane oppure a causa di difficoltà economiche familiari (a queste ultime allude spesso nelle sue opere) il B. fu costretto ad abbandonare Firenze e a prender dimora, attorno agli anni 1572-75, per un periodo non breve, in Provenza. Egli stesso dichiara (in una canzone al cardinale Giorgio d'Armagnac, che si legge in Rime, pp. 40-42), di aver dovuto allora mutare nome e professione (non è sicura l'interpretazione dei versi della canzone, che sembrano alludere alla professione di maestro di ballo) e di aver dovuto cercare nuovi protettori. Fra questi sono sicuramente da annoverare Jean de Pontèves, conte di Carcès, luogotenente di Provenza ed esponente di una fazione cattolica intransigente, e la sua consorte Margherita di Carcès, alla quale è indirizzata una canzone del B. (in Rime, pp. 42-44). Rientrato a Firenze verso il 1575, il B. riprese contatto con i vecchi amici (come Piero di Gherardo Capponi, Baccio Valori e Bernardo Vecchietti) e ritornò all'attività letteraria, cui aveva rinunciato. Tradusse, su invito del tipografo Marescotti "di lingua Francese... nel nostro idioma toscano" (come dichiara nella dedica a Carlo Pitti, p. 3) un'opera di curiosa erudizione storica, pubblicata in francese nel 1563, di Jean de Marcouville: Trattato di Giovanni di Marco Villa sopra l'Origine de' Tempii de' Giudei,de' Cristiani,e dei Gentili,e la infelice morte di quelli,che gli hanno saccheggiati,spogliati,e ruinati; e insieme il doloroso fine di coloro,che a' tempi nostri hanno distrutto i Tempj spirituali,e l'Immagini di Dio (Firenze 1577). E compose anche la sua prima commedia, La Donna costante (la licenza per la stampa, come risulta dal colophon della edizione del 1582, è del dicembre 1575).
Non si conoscono le ragioni che indussero il B. a un nuovo viaggio in Francia, compiuto negli anni 1579-80, e del quale dà notizia egli stesso nella dedica a Piero di Gherardo Capponi della sua seconda commedia, l'Amante furioso (1583). Le brighe economiche continuarono a tormentarlo anche negli anni seguenti: vi accenna nella dedica a Baldassarre Suares, nel settembre 1586, della Diana pietosa;e alcune carte conservate alla Nazionale di Firenze (Rinuccini, filza 23 bis) si riferiscono a una vertenza economica, nella quale il B. ebbe l'appoggio di Baccio Valori. Negli ultimi anni, tuttavia, la sua situazione economica dovette farsi un poco più solida, la sua vita più tranquilla, e i legami con le famiglie nobili fiorentine più saldi. Per i nobili fiorentini amatori d'arte e collezionisti fu scritta, nel 1584, l'opera più nota del B., il Riposo. Non controllata è la notizia (fornita dall'Avanzini) secondo cui il B. si sarebbe fatto, nel 1584, benedettino. Egli morì il 26 dic. 1588 ed è sepolto in S. Croce. Un suo ritratto, di mano di Ridolfo Sirigatti (uno degli interlocutori del Riposo), un tempo a Berlino, è ora irreperibile.
Tipico rappresentante degli ambienti letterari e cortigiani della Firenze del secondo Cinquecento, ormai dominata da una soffocante atmosfera di accademismo e religiosità bigotta, il B. ha lasciato, oltre al Riposo, opere poetiche, traduzioni e commedie. In alcune di queste opere egli si cela sotto lo pseudonimo (indicativo del gusto moraleggiante del tempo) di Filarete.
Il Riposo èun trattato in forma dialogica, composto nel 1584 e diviso in quattro libri, dei quali i primi due hanno impianto prevalentemente teorico e gli altri due storico. La prima edizione, Il Riposo di R. B. in cui della pittura e della scultura si favella,de' più illustri pittori e scultori e delle più famose opere loro si fa mentione,e le cose principali appartenenti a dette arti s'insegnano, dedicata a Giovanni de' Medici, è datata Firenze 1584. Altre ristampe si ebbero a Firenze nel 1730 con introduzione e note di G. Bottari; a Siena nel 1787; a Milano nel 1807 nell'edizione dei "Classici italiani"; a Reggio Emilia nel 1826; una riproduzione anastatica dell'edizione 1584, accompagnata da un volume contenente un saggio biobibliografico e un indice analitico a cura di M. Rosci, è stata pubblicata a Milano nel 1967. Una copia manoscritta, con correzioni e note dell'abate Rinaldo Maria Bracci, era in possesso nel 1768 di Giovanni Gualberto Bracci, vallombrosano, a Firenze, come risulta dal Mazzuchelli. Il dialogo prende il nome della villa in cui si immagina che sia stato tenuto: "Il Riposo" di Bernardo Vecchietti (oggi Signorini, sul monte Fattucchia presso Ponte a Ema). Gli interlocutori, oltre al Vecchietti, "amatore d'arte" e collezionista, sono lo scultore Ridolfo Sirigatti e i nobili fiorentini Baccio Valori (che fu tra l'altro luogotenente del duca presso l'Accademia del disegno) e Girolamo Michelozzi. Il libro, scritto in una prosa eloquentemente atteggiata e accademicamente impreziosita da fiori di lingua, spesso derivato passivamente (come hanno dimostrato la Barocchi e il Rosci) da Varchi, Gilio, Vasari, ecc., risulta alla lettura noioso e pedantesco, nonostante l'abile "sceneggiatura" del dialogo. Esso non ha mai goduto di grande fortuna; tuttavia gli studiosi moderni (dallo Schlosser Magnino, al Blunt, alla Barocchi, al Rosci) lo hanno preso in nuova considerazione, soprattutto come miniera non trascurabile di notizie. In esso sono minutamente descritte le opere d'arte raccolte nelle ville, nelle case e nelle chiese fiorentine; sono rappresentati dal vivo i costumi della società nobiliare fiorentina che, deposte le passioni civili si diede, dilettantescamente, a coltivare le arti, mettendo insieme collezioni, allestendo in palazzo o in villa piccole "officine" per il disegno e la scultura; sono inoltre documentati, e anche teorizzati, i gusti artistici prevalenti nello "studiolo" di Francesco I e nella Firenze del Giambologna, tra dignitoso e maturo classicismo e manierismo; sono fornite, infine, nella parte storica (là dove è abbandonata la fonte, sino a quel momento pedissequamente seguita ed epitomizzata, del Vasari, e sono riferite notizie di prima mano), informazioni preziose sugli artisti fiorentini, e non solo fiorentini, del secondo Cinquecento.
Fra le opere poetiche del B. si deve ricordare, come prima sua prova, il poemetto in ottave tuttora inedito La Veglia amorosa, indirizzato nel 1565 a Filippo Spina (il manoscritto originale si trova alla Biblioteca Vaticana, nel fondo Patetta, con il n. 361). L'opera rientra nel genere dei poemi allegorico-pastorali che si richiamavano agli esempi del Boccaccio, di Lorenzo e del Poliziano; numerosi sono in essa i ricordi mitologici e classici; incerta ne è la struttura. L'opera ha per argomento gli amori di Alceo per la bella Luclitia, che il giovane incontra in una festa, corteggia lungamente e infine conquista. Il poemetto si conclude con la dolorosa decisione di Luclitia di tornare a vivere fra le ninfe e con la morte per disperazione di Alceo. L'opera contiene, tra l'altro, una limga disputa erudita sull'amore platonico e l'amore carnale e una descrizione minuziosa e "lasciva" delle bellezze di Luclitia.
Le altre opere poetiche del B., a parte qualche sonetto isolato e la Canzone in morte della Serenissima Reina d'Austria Granduchessa di Toscana (Firenze 1578), sono riunite nel volume manoscritto autografo, con correzioni dell'autore, Rime di R. B. detto Filarete (il manoscritto passò nel 1824 alla Magliabechiana e ora si trova alla Nazionale di Firenze con la segnatura II.IX.18). Le Rime comprendono numerosi sonetti d'amore, di tema religioso o morale e di corrispondenza con amici, cinque canzoni, alcuni poemetti in ottave fra cui le Stanze alla Ninfa Tabelista e le Stanze alla Ninfa Trialuce, e infine una corona di sonetti incatenati per la morte di Piero di Gherardo Capponi (1586). Nel volume manoscritto il B. ha distinto le rime "rifiutate" (dalla c. 1 alla c. 51) da quelle (cc. 52-56) "da me scelte per le migliori ch'io habbia fatte o sia per fare". Sulla base di questo manoscritto Domenico Moreni ha pubblicato, unendole con quelle del Bronzino, le Rime inedite di R. B. e di Angiolo Allori detto il Bronzino (Firenze 1822), facendole precedere da una prefazione con notizie sul B. e, senza obbedire all'indicazione sulle rime "rifiutate", stampando sia le une sia le altre, semplicemente in ordine inverso rispetto a quello del manoscritto. Uno dei sonetti compresi fra le Rime, indirizzato a Baccio Valori, si legge anche in una lettera autografa del B. al Valori, allora commissario a Pisa, in data forse del 1582, nella quale il B. ricorda (e ciò ricorderà anche nella dedica della Diana pietosa) come l'amico l'abbia convinto a ritornare alla poesia (la lettera è alla Nazionale di Firenze, fra le carte Rinuccini, filza 27).
Per il teatro il B. scrisse due commedie a intreccio, la Donna costante (1578) e l'Amante furioso (1583) nonché la commedia pastorale Diana pietosa (1586). La Donna costante, composta forse già nel 1575, fu pubblicata a Firenze nel 1578, con una dedica a Carlo Pitti, e più volte ristampata (Firenze 1582; Venezia 1589 e 1606). Dalla "dedica" della commedia successiva si ha notizia di una messa in scena della Donna costante ad opera degli accademici Disuniti di Fabriano. L'intreccio principale, che ha per protagonisti Aristide ed Elfenice, rielabora la storia di Giulietta e Romeo (non si sa da quale delle numerose versioni novellistiche), trasformandone la fine da tragica in lieta. A questa patetica storia di amanti ne è intrecciata, per complicarne e accrescerne le possibilità spettacolari e le risonanze patetiche, un'altra, che ha per protagonisti Milziade e Teodolinda e che deriva da una novella quattrocentesca di tradizione fiorentina, quella di Leonora de' Bardi e di Ippolito Buondelmonti. L'elemento patetico si arricchisce a tratti di tonalità eroico-tragiche, ma resta nel complesso esteriore e freddo, particolarmente nei lunghi monologhi di contenuto moralistico e sentenzioso. Notevole rilievo è dato ai personaggi femminili, probabilmente in seguito all'introduzione sulle scena di attrici, ma anche in consonanza con l'intonazione patetica e languida della commedia. L'Amante furioso fu composta nel 1579-80 durante il viaggio in Francia, rappresentata dagli accademici Disuniti di Fabriano nel carnevale dell'80, pubblicata a Firenze nel 1583 con una dedica a Piero di Gherardo Capponi (di una stampa scorretta e non autorizzata, fatta a Macerata, a cui allude l'autore nella dedica, non si ha più notizia; una successiva ristampa fu fatta a Venezia nel 1597). La commedia, più dispersiva e frammentaria della precedente, deriva anch'essa l'intreccio da modelli novellistici, e in particolare sviluppa l'abusato tema dei vecchi innamorati (Mideo, innamorato di Rosmunda, e Nastagio di Aretafila), i quali si trovano a contrastare con due giovani, Filarete, che ama corrisposto Aretafila, e Filadro, che ama non corrisposto Rosmunda, la quale invece ama Filarete. Dopo varie complicazioni (fra cui l'impazzimento del vecchio Nastagio) si arriva al lieto fine, con i soliti riconoscimenti e matrimoni. Non mancano nella commedia elementi spettacolari e di buona riuscita scenica, ma ci sono i soliti lunghi monologhi patetico-moralistici e, assai più che nella commedia precedente, momenti comici, caratterizzati dalle malizie e dai giochi di parole dei servi. La Diana pietosa, stampata con una dedica a Baldassar Suares a Firenze nel 1586, dimostra anch'essa, con il suo intreccio patetico e avventuroso, una pronta adesione, pure nel genere pastorale, alla moda del tempo.
Al B. è attribuito da Giovambattista di Lorenzo Ubaldini un Dialogo in lode dell'ignoranza, del quale si è perduta ogni traccia. Egli è inoltre, forse, da identificare con un "Filareto" autore del Breve raccolto di bellissimi secreti,trovati in servizio et ornamento delle donne,nuovamente riprovati e posti in luce, Firenze 1573. Non è lui, invece, certamente il"Philareto" autore di tre ecloghe polimetriche collegate da prose pastorali e intitolate L'Aurea Sua Catena (Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, N.A. 387, e, in redazione parziale, Magl. VI, 64) che gli sono state attribuite da E. Avanzini.
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