SONZOGNO, Raffaele
– Nacque a Milano il 23 giugno 1829 da Lorenzo e da Teresa Crespi.
Secondogenito di quattro figli maschi, oltre a lui Giulio Cesare, Edoardo e Alberto, apparteneva alla celebre dinastia di editori, da un lato, e, per parte di madre, a una delle più importanti famiglie industriali tessili lombarde.
Diciassettenne ai tempi delle Cinque giornate di Milano, cresciuto tra i libri nella bottega del padre, di lui si disse che si schierò subito «dalla parte giusta», che fu un «buon figlio, educato a spartana virtù» (Mazzoleni, 1875, p. 224), ricco di estro e amante delle lettere. In gioventù imparò a conversare e scrivere in più lingue, si occupò della messa in scena di numerose pièces teatrali (alcune delle quali per la celebre compagnia francese Meynadier) e si dedicò alla prima stesura di due romanzi storici, Alberto da Giussano e Beno de’ Gozzadini, podestà di Milano. Storia del III secolo, poi dati alle stampe in sette volumi dalla casa editrice di famiglia (1865-1867).
Poco meno che trentenne fu chiamato da Giovanni Battista Menini a far parte della redazione della I. R. Gazzetta Ufficiale di Milano come collaboratore letterario. Arrestato dalla polizia austriaca due anni dopo, il 29 maggio 1859 fu incarcerato nel castello di Milano. Da lì fu portato a Verona, spostato a Mantova e infine nelle carceri boeme di Josephstadt, dove trascorse i restanti mesi di prigionia. Il racconto di quei giorni si tradusse un anno dopo nel suo I prigionieri di Josefstadt. Memorie storiche del 1859 (Milano 1860).
A Milano fece ritorno il 27 agosto 1859. Dopo Villafranca l’organo ufficiale del governo austriaco aveva cessato le pubblicazioni. Perché potesse nuovamente uscire un foglio milanese si era reso necessario un finanziamento privato (sostenuto in prima battuta da Giuseppe Rovani, Vittorio Pezzini e Antonio Caccianiga) cui Raffaele subito aderì, codirigendo di fatto la nuova Gazzetta di Milano dal 1859 al 1870 (nel 1875 il quotidiano venne fatto confluire dal fratello Edoardo nel Secolo).
Il 14 aprile 1863 Sonzogno sposò Emilia Comolli, figlia di Giovanna Abbiati e di Vincenzo, possidente e stimato avvocato comasco. Il matrimonio era stato combinato dalle due famiglie. Per quanto fosse attratta dalla fama di poeta che allora lo accompagnava, e da quella sua singolare irrequietezza ribelle e scapigliata, Emilia, non ancora diciassettenne, educata dalle suore e cresciuta in una villa di Erba immersa tra prati e giardini, si era detta riluttante. Raffaele non poteva certo dirsi bello come invece era lei: già stempiato, baffi e pizzetto a mosca, originale perfino nel vestire, giudicava la promessa sposa troppo giovane, poco matura e per nulla adatta. La volontà della ferrea signora Sonzogno vinse tuttavia ogni obiezione. A nozze avvenute, i due si trasferirono a vivere a Milano, andando a occupare un piano della casa dei suoceri, in corso Vittorio Emanuele 38, dove il 30 dicembre 1865 nacque Ottorino.
Dalle colonne della Gazzetta di Milano Raffaele acquisì subito fama di polemista dell’opposizione radicale; un uomo da tenere sotto costante osservazione, come scriveva al prefetto il ministro dell’Interno Giovanni Lanza. Nel 1867, in vista delle elezioni comunali, pubblicò una serie di articoli pungenti contro la giunta municipale e il sindaco Antonio Beretta, accusati di speculazioni, corruzione e sperpero di denaro pubblico, in special modo nel corso dei lavori di risistemazione di piazza del Duomo e della Galleria della Scala. Sonzogno aveva da poco dato vita a un’associazione politica con sede a porta Ticinese, nell’antica contrada delle Cornacchie. Contro di lui e la «sua società di cornacchie» (come la definirono i suoi detrattori), si mosse in quei giorni gran parte della stampa, innanzitutto La Perseveranza in rappresentanza del partito moderato, cui Sonzogno non risparmiò mai critiche e accuse. In un clima infuocato la giunta decise di muovere querela alla Gazzetta di Milano per diffamazione. Fu solo la prima di una lunga serie di querele e di sequestri. Sonzogno raccolse documenti, testimonianze e prove schiaccianti contro la consorteria, che riunì in un’imponente memoria difensiva e presentò alla corte. Ai primi di luglio del 1867, ormai a ridosso delle elezioni, al tribunale civile e correzionale di Milano non restò che assolvere da ogni accusa la Gazzetta di Milano con una sentenza poi confermata nei successivi gradi di giudizio. La giunta si dimise.
Da allora, il giornalismo radicale di Sonzogno, così capace di scaldare e mobilitare l’opinione pubblica, decretò il suo successo e, secondo alcuni, le sue disgrazie. A distanza di qualche anno la sua Gazzetta di Milano fu impegnata accanto al Gazzettino Rosa, diretto da Attilio Bolzoni e da Felice Cavallotti (uniti da una grande amicizia con Raffaele e il fratello Edoardo, tra i finanziatori della testata), in un’altra feroce battaglia, legata questa volta allo scandalo della Règia Tabacchi e alla confusa vicenda del processo intentato nell’autunno del 1869 contro il deputato Cristiano Lobbia.
L’attenzione di Sonzogno cadde in quei mesi anche sulla morte sospetta di un giovane di origini cremonesi coinvolto nel caso. Attraverso le colonne della testata sostenne che fosse stato avvelenato, tesi che il 4 novembre difese innanzi alla corte. A conclusione del processo, resosi vagante il seggio di Pizzighettone (in provincia di Cremona), gli elettori di quel collegio scelsero che fosse lui a rappresentarli in Parlamento, quasi a vendicare la morte del loro concittadino. La candidatura di Sonzogno fu contemporaneamente presentata anche a Guastalla e a Verolanuova. A pochi giorni dalle elezioni, il 17 dicembre 1869, La Perseveranza gli sferrò un durissimo attacco. Riportando un articolo della Gazzetta d’Italia lo giudicò indegno di sedere in Parlamento: non solo un tempo era stato un giornalista sul libro paga dell’odiato governo austriaco, ma le sue mansioni non si erano limitate a semplici collaborazioni letterarie. Sotto il tribuno della plebe si sarebbe nascosto ben altro personaggio.
Nonostante le feroci accuse il 19 dicembre Raffaele si aggiudicò il collegio cremonese. Lasciò Milano e la famiglia per Firenze, sistemandosi all’hotel Columbia-Parlamento, dove abitualmente erano ospitati deputati e senatori durante gli impegni nella capitale. A difesa del suo onore e della sua reputazione il 22 di quello stesso mese presentò al procuratore del re una querela per diffamazione contro Pietro Viganò, in rappresentanza della Perseveranza. Si dovette attendere il 9 settembre dell’anno successivo perché il tribunale gli desse ragione. Il verdetto lasciò tuttavia molte ombre sul suo patriottismo, e Raffaele decise di ricorrere in appello.
L’impegno di Sonzogno alla Camera non si discostò di molto nei toni e nel carattere da quello giornalistico. Nel corso del suo primo mandato si oppose con passione ai progetti di riforma finanziaria presentati dalla commissione di Bilancio. Con la stessa tenacia e carica polemica presentò un progetto di riforma elettorale (chiedendo l’estensione del voto anche ai non contribuenti, escludendo soltanto gli analfabeti) e chiese al Parlamento la convocazione di una Costituente che stabilisse le basi per un nuovo Statuto. Polemico nei confronti degli accordi con la Francia, e grande sostenitore del compimento dell’unità nazionale, nel settembre del 1870 attraversò con le truppe italiane la breccia di porta Pia.
Ottenuto un piccolo prestito dal fratello Edoardo, comprò alcuni torchi a mano usati, affittò dei locali in via de’ Cesarini, arruolò un drappello di tipografi volonterosi e il 21 dello stesso mese dette alle stampe il primo numero del giornale La Capitale, con il sottotitolo Gazzetta di Roma, perché fosse chiaro il suo legame con la testata milanese.
Emilia e il piccolo Ottorino restarono a Milano, dove intanto erano cominciate le udienze relative alla causa d’appello tra Raffaele e la testata di Viganò. Allo scadere della X Legislatura, nel novembre del 1870 Sonzogno fu rieletto a Pizzighettone.
Quanto all’udienza milanese, tra il 14 e il 15 dicembre la difesa di Viganò produsse una serie di nuovi documenti, tra cui quattro lettere scritte da Raffaele, che oltre a impressionare profondamente l’opinione pubblica lo costrinsero all’angolo: se alcuni testimoni confermarono (come del resto risultò evidente dalla corrispondenza con l’agenzia di stampa francese Havas) che la sua passata collaborazione con l’Austria era stata dettata dalla volontà di raccogliere informazioni sui movimenti delle truppe nemiche da trasmettere a francesi e piemontesi, altri sostennero che il suo arresto nel 1859 era dipeso non tanto dall’aver scoperto l’Austria quanto i suoi sentimenti fossero patriottici, bensì dall’aver voluto infliggergli una lezione per aver tenuto il piede in due scarpe, corrispondendo con i giornali di Francia e Piemonte mentre riceveva assegni segreti dai fondi della polizia per difendere il governo austriaco nei fogli cittadini.
La sentenza giunse il 16 dicembre 1870 e ribaltò totalmente quella di primo grado, assolvendo La Perseveranza. Nonostante Raffaele continuasse a professarsi innocente, e fossero in molti a dirsi pronti a giurare sul suo patriottismo e sulla sua onestà, il 25 gennaio 1871 si dimise da deputato. Non per questo cessò la sua fiera e instancabile opposizione al partito moderato. La Capitale continuò a essere letta avidamente e Sonzogno a godere dei favori del pubblico.
Il 12 maggio 1873, insieme a uno dei suoi più stretti collaboratori, oltre che intimo amico, l’ex garibaldino Giuseppe Luciani, venne arrestato e portato alle Carceri nuove con l’accusa di aver promosso una manifestazione non autorizzata dal governo mentre in Parlamento si discuteva la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose. L’anno successivo, dalle colonne del giornale, uscirono pesanti critiche contro i promotori romani delle Cucine economiche. Tra questi vi era il principe Baldassarre Odescalchi, che ritenendosi offeso sfidò Sonzogno a duello. Lo scontro avvenne a Chiasso il 6 aprile 1874, e si concluse senza spargimenti di sangue. Luciani, non ancora trentenne, fidato amico di Sonzogno, fu uno dei padrini scelti da Raffaele. Ma quando, nel novembre del 1874, Luciani si candidò alle elezioni politiche nel IV collegio romano per il partito democratico, e poi ancora nel gennaio del 1875 quando si presentò nel V (lasciato vacante da Giuseppe Garibaldi), La Capitale gli mosse una ferocissima opposizione. In pochi mesi i rapporti tra i due erano profondamente cambiati, come del resto la vita di Sonzogno.
Il 17 luglio 1874 Raffaele ed Emilia si erano separati consensualmente con sentenza del tribunale di Como. Raffaele imputava alla moglie l’impossibilità di una riconciliazione, per l’intima relazione che da almeno un anno aveva stretto con Luciani, su cui in molti avevano cominciato a mormorare. Sulle prime Emilia aveva negato ogni addebito. Chi avrebbe avuto modo di provare la sua infedeltà, come Alberto Sonzogno, inizialmente aveva taciuto per rispetto. Da poco era morta Teresa Crespi, e la famiglia era in lutto. In quello stesso aprile del 1874 Raffaele fu convinto a portare con sé a Roma Emilia e Ottorino, dietro le promesse di lei che il tradimento non fosse stato consumato. La scoperta di alcune lettere rese evidente che la relazione tra Emilia e Luciani non si era interrotta e il 18 maggio Emilia se ne andò con lui. Fu una fuga breve, ma rese inevitabile la separazione. Raffaele e Ottorino rientrarono il giorno seguente a Milano, mentre Emilia fu mandata ad abitare dal padre.
Secondo i patti stabiliti consensualmente, Emilia avrebbe beneficiato di una pensione di 1200 lire annue purché continuasse a convivere con i propri genitori, ma sarebbe stata privata della patria potestà: dell’educazione, del mantenimento, della vigilanza e della cura del piccolo Ottorino si sarebbe occupato da quel momento esclusivamente Sonzogno.
Solo quattro mesi dopo aver sottoscritto quei patti Raffaele mosse alla moglie una causa per adulterio: ai tempi della separazione il quadro non era ancora completo. Il 24 ottobre, insieme a un biglietto di auguri di felice onomastico, Emilia gli comunicò l’imminente nascita di un figlio: quel figlio, sostenne Sonzogno, non poteva che essere il frutto dell’adulterio. Sua moglie era ben conscia del suo stato, era incinta almeno da due mesi quando si erano separati, eppure in quell’occasione non ne aveva fatto parola. Non gli restava altra scelta, per difendere il suo onore e i legittimi interessi di Ottorino, che intentarle causa. Avrebbe rinunciato alla querela solo se Emilia si fosse detta disposta a rinunciare alla pensione e a dichiarare illegittimo il nascituro, ma lei si rifiutò.
Non si arrivò mai a discuterne davanti alla corte. La sera del 6 febbraio 1875 Raffaele fu ucciso con tredici coltellate mentre si trovava in redazione, a Roma.
L’assassino fu subito identificato come Pio Frezza, detto lo Spaghetto per la sua magrezza, un piccolo delinquente trasteverino, innamorato di Garibaldi al punto da aver chiamato una figlia Italia e l’altra Anita.
La notizia della morte di Sonzogno lasciò sgomenta tutta Roma. I funerali si celebrarono la mattina dell’11 febbraio tra una gran folla di popolo. Il feretro percorse le vie della città accompagnato da musica e bandiere, preceduto da un plotone della guardia nazionale e dalle rappresentanze delle società operaie e di tutta la stampa di Roma. Quella sera stessa partì alla volta di Milano e il 12 febbraio Raffaele venne sepolto nella cappella di famiglia al cimitero Monumentale. Il giorno dopo, mentre ancora i giornali pubblicavano la cronaca delle sue esequie, a casa di Vincenzo Comolli, Emilia partorì come vedova Sonzogno un figlio maschio, Guido Lorenzo Vincenzo Raffaele, che fu subito affidato a una nutrice. Il bambino morì il 18 marzo 1875, a casa della balia, per lo stato civile come figlio di Raffaele Sonzogno.
Come prescritto negli accordi di separazione, subito dopo la morte di Raffaele era stato eletto un consiglio di famiglia. Il 27 febbraio Ottorino passò alla tutela dello zio Giulio Cesare. A Edoardo spettò invece il compito di occuparsi del destino della testata diretta dal fratello, dalle cui colonne si era fatto molti nemici potenti. Come emerse subito dalle indagini, Frezza, che affermava di aver ucciso Sonzogno non per soldi, ma per punire un nemico del popolo, giurando che lo avevano imbrogliato dicendogli che Garibaldi stesso aveva ordinato la sua morte, non aveva fatto tutto da solo. Di lì a qualche mese furono rinviati a giudizio insieme a lui Michele Armati, ex ufficiale delle guardie municipali, Luigi Morelli, detto il Caporaletto, piccolo commerciante, il tessitore Cornelio Farina, Salvatore Scarpetti, di professione becchino, e il 25 febbraio Giuseppe Luciani, tra gli ultimi a essere arrestato, indicato quale mandante dell’omicidio.
Il dibattimento si aprì il 19 ottobre alla corte d’assise di Roma. Con il passare dei giorni ogni verità processuale finì per apparire come l’ennesima bugia pronta ad aprire il campo a nuove sconvolgenti rivelazioni e a nuove smentite. Seguitissimo dalla stampa italiana ed estera, il ‘processo Sonzogno’ divenne una delle cause celebri per eccellenza, anche per la presenza delle molte personalità coinvolte, da Garibaldi a Cavallotti. La sentenza giunse il 13 novembre 1875 e, tranne che per Scarpetti, fu di condanna all’ergastolo per tutti gli altri imputati: il mandante, l’assassino di Raffaele e gli intermediari che si erano incaricati di trovarlo e di fornirgli l’arma del delitto. La morte di Sonzogno venne risolta in una vicenda di odio personale, di amore e gelosia, che offrì a molti la scappatoia ideale per uscire da un complicato intreccio in cui la politica, il denaro e il malaffare giocarono un ruolo che non fu mai chiarito. Due giorni prima che la sentenza fosse emessa morì anche il piccolo Ottorino. Di Emilia, invece, si persero le tracce. Ci fu chi scrisse che si sposò una seconda volta, restò presto vedova, e che in seguito si dedicò alla preghiera e alla beneficenza.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano le Memorie politiche, Milano 1875.
Fonti e Bibl.: Gran parte delle informazioni relative alla vita di Sonzogno sono riconducibili agli incartamenti conservati nell’Archivio di Stato di Roma, Processo per l’omicidio di Raffaele Sonzogno contro Luciani Giuseppe ed altri, f. 9261, I-II. Nei fascicoli, oltre agli atti del procedimento penale, è conservata copia della documentazione relativa alla causa di adulterio contro Emilia Comolli e alla tutela di Ottorino Sonzogno, e una copiosa raccolta di lettere e di articoli tratti dalla stampa del tempo. L’Archivio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano conserva un ricco epistolario di Raffaele Sonzogno nel Fondo Felice Cavallotti, in cui è presente anche una selezione di articoli delle principali testate del tempo contenenti le cronache dell’assassinio (La Bandiera, 8 febbraio 1875, 9 febbraio 1875; Gazzetta d’Italia, 14 febbraio 1875; Gazzetta di Milano, 13 febbraio 1875; La Nazione, 13 febbraio 1875; La Nuova Torino, 4-5 marzo 1875; Il Pungolo, 16 febbraio 1875; Il Secolo, 13-14 febbraio 1875, 27-28 febbraio 1875, 2-3 marzo 1875, 5-6 marzo 1875, 14-15 novembre 1875). Tra i molti resoconti sulla stampa relativi ai funerali: Trasporto funebre, in La Perseveranza, 13 febbraio 1875; La Nazione, 12 febbraio 1875. Notizie sulla vertenza tra Sonzogno e la giunta di Milano in F. Contorbia, Giornalismo italiano, I, Milano 2007, pp. 571-573, e in N. Foà, Beretta Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, IX, Roma 1967, pp. 43 s., cui si rimanda per l’ulteriore bibliografia di riferimento. Riguardo alle vertenze processuali legate ai procedimenti per diffamazione: Nel processo di pretesa diffamazione promosso dal signor R. S. contro il giornale La Perseveranza, Atti, Discussioni e documenti, Milano 1870; A. Mazzoleni, L’XI Legislatura, Memorie di un defunto, Milano 1875, passim; T. Sarti, I rappresentanti di Piemonte e d’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma 1880, ad ind.; Id., Il Parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici di tutti i deputati e senatori eletti, Roma 1896, ad indicem. Sulla partecipazione di Sonzogno al caso Lobbia: A. Arisi Rota, 1869 il Risorgimento alla deriva, Bologna 2015, ad indicem. Si vedano inoltre, di carattere romanzato: G. Fasanella - A. Grippo, Intrighi d’Italia, Milano 2012; G.A. Stella, I misteri di via dell’Amorino, Milano 2012. Sull’omicidio: M. Vestigio, Appunti e note sul processo S., Venezia 1875; Processo, dibattimento e sentenza contro gli assassini di R. S. preceduti da alcuni cenni biografici dei sei accusati, Roma 1875; Processo Luciani e coimputati per l’assassinio di R. S. commesso in Roma il 6 febbraio 1875, dibattutosi il giorno 19 ottobre 1875 e seguenti davanti alle Assise di Roma. Rendiconto stenografico pubblicato per cura della Direzione del giornale La Capitale, Milano 1875; Processo per l’assassinio di R. S., Milano 1875; Processo per l’assassinio di R. S., contro Luciani, Frezza e coimputati, Milano 1875; Processo per l’assassinio di R. S. Corte d’Assise di Roma, Roma 1875; Processo per l’assassinio S. con sette ritratti e una pianta dell’aula, Roma 1875; O. Pio, Processi celebri contemporanei italiani e stranieri, Napoli 1889, pp. 118-330; le tavole pubblicate su L’Illustrazione italiana, 1899, vol. 26, parte prima. La vicenda dell’omicidio Sonzogno ispirò inoltre uno sceneggiato televisivo diretto da Alberto Negrin (Processo per l’uccisione di R. S.), trasmesso in più puntate dalla Rai nel 1975, e un romanzo storico di Roberto Mazzucco (I sicari di Trastevere), pubblicato da Sellerio nel 2013.