SACCO, Raffaele
– Nacque a Feroleto Piano, in Calabria, il 14 agosto 1792. Per i biografi nacque a Napoli, lo stesso giorno, nel 1787 (P. Martorana, Notizie biografiche..., 1874), da Carlo e da Angela De Novella.
Nei primi anni dell’Ottocento la sua famiglia si trasferì a Napoli, dove il padre aprì una bottega di ottico nel borgo Loreto, nella popolare zona del Mercato. Della sua prima formazione si sa solo che ebbe come maestri i religiosi Giacinto Castagnuolo e Marcello Eusebio Scotti. Quest’ultimo, giansenista e giacobino, fu giustiziato il 4 gennaio 1800 per la sua partecipazione alla Rivoluzione napoletana del 1799.
Il giovane Sacco apprese le prime cognizioni di ottica e dell’arte di fabbricare strumenti ottici nella bottega paterna, acquisendo ben presto una certa fama. L’8 gennaio 1816, infatti, il Giornale delle Due Sicilie lo faceva oggetto di un lusinghiero elogio, rilevando che, a differenza degli altri ottici napoletani molto carenti sotto l’aspetto scientifico, egli univa alle capacità «di costruire qualunque specie di lenti e di cannocchiali [...], estese cognizioni sull’ottica e sulla natura dei cristalli da adoperarsi».
All’inizio degli anni Venti Sacco s’iscrisse all’Università di Napoli e seguì le lezioni del fisico Antonio Barba; questi, al pari del suo maestro Giovanni Maria Della Torre, si era dedicato alla costruzione di microscopi, uno dei quali capace di ingrandire fino a 1800 volte. Negli anni dell’università Sacco strinse amicizia con Gennaro De Conciliis, docente di fisica e direttore del Gabinetto di macchine fisiche, e con il professore di strumenti ottici Giuseppe Benchi, che soggiornò a lungo a Parigi per perfezionarsi nella sua attività. Nel 1822 Sacco conseguì la licenza in ottica e nel 1824 quella in medicina, per ottenere la quale il candidato, secondo il regolamento dell’Università di Napoli, doveva già possedere il grado in lettere e filosofia. Gli studi universitari permisero pertanto al giovane Sacco di acquisire non solo un’ottima preparazione tecnico-scientifica, ma anche una buona preparazione letteraria.
Ottenute le due licenze, Sacco continuò a lavorare nel locale sottostante alla sua abitazione, in via Quercia (oggi via Domenico Capitelli), dove ancora si trova la sede della Ditta ottica Sacco. In questa casa abitò fino alla morte, insieme con la moglie, Francesca de Viento, dalla quale non ebbe figli.
Il 1830 fu l’anno della sua definitiva consacrazione come grande ottico a livello nazionale e internazionale. In quell’anno, per la costruzione di uno strumento di alta precisione, l’aletoscopio, il Real Istituto d’incoraggiamento di Napoli gli conferì una medaglia d’oro in occasione dell’Esposizione delle manifatture del Regno.
L’aletoscopio serviva a vari usi, ma soprattutto, scriveva Sacco nella presentazione dello strumento, «allo scovrimento di tutte le falsità, che potrebbero aver luogo sopra bolli, suggelli, firme, caratteri, ed altro» (Mendia, 2007, p. 33). Era uno strumento utilissimo soprattutto a periti e magistrati che potevano pronunciarsi «sulla falsità in questione senza rimorso alcuno» (ibid.). Oltre all’aletoscopio, per il quale ricevette da Francesco I una privativa per dieci anni, Sacco aveva costruito molti altri strumenti, tra i quali un telescopio, un cannocchiale a due tubi, vari tipi di binocoli e diverse lenti d’ingrandimento. Nel 1834 gli fu conferita un’altra medaglia d’oro, sempre dall’Istituto d’incoraggiamento, per il perfezionamento del telemetro, uno strumento per la misurazione a distanza degli oggetti.
Accanto all’attività di ottico, Sacco coltivò fin dalla giovinezza la letteratura scrivendo poesie e canzoni sia in italiano sia in dialetto napoletano. I suoi biografi hanno sottolineato la sua felice vena di improvvisatore. Scrisse, per esempio, Pietro Martorana: «Se si potessero raccoglie tutte le sue poesie improvvisate, se ne farebbe un bel grosso volume» (Notizie biografiche..., cit., p. 362). Tale capacità lo fece diventare ben presto «il beniamino dei salotti napoletani nei quali poetava brillantemente in ricorrenze di onomastici, battesimi, nozze e serate» (De Mura, 1989, p. 125).
Fece parte di diverse accademie, fra le quali l’Accademia degli Abbozzati di Sezze e Colonia Arcadica, l’Accademia Volsca di Velletri, l’Accademia Cattolico-Teandrofila e l’Accademia di Santa Maria la Nova di Napoli. La sua partecipazione a questi due ultimi consessi fu costante, anche per la sua convinta e sincera adesione alla religione cattolica. L’Accademia Cattolico-Teandrofila, fondata nel 1822 e presieduta dal cardinale Luigi Ruffo di Scilla, arcivescovo di Napoli, aveva come principale finalità quella di combattere l’ateismo nel «nome santissimo di Gesù».
Sacco ebbe un ruolo di rilievo nell’Accademia Cattolico-Teandrofila, composta soprattutto da ecclesiastici e da religiosissimi laici. Nella prima raccolta accademica, uscita a Napoli nel 1823 con il titolo Plauso poetico al nome SS. di Gesù seguito nella ven. chiesa de’ SS Apostoli..., si legge: «Il fervido improvvisante Sig. Sacco, che sostenne le funzioni di secondo Segretario, mostrò l’espertezza, e penetrazione necessaria a disporre l’alternativa dell’estro vario dei componimenti» (p. 14).
I componimenti di Sacco, dispersi in varie raccolte collettanee, sono semplici e modesti, appartengono all’atmosfera di conformismo religioso della sua epoca e s’iscrivono nell’apologetica cattolica della prima metà dell’Ottocento. Non sono privi, comunque, di delicatezza poetica e di sensibilità umana versi come quelli dell’anacreontica dedicata a Maria ai piedi della Croce: «A piè del legno esanime / quella è Maria che geme, / oh come inconsolabile, / fra il popolo che freme. / Ella non sa di lagrime / nemmen bagnare il ciglio, / mira languente e misero / l’agonizzante figlio» (Componimenti poetici..., 1835, p. 97).
Sacco si trovò più a suo agio con il dialetto napoletano, con il quale compose le sue migliori poesie e canzoni. Poesie come La vita de ll’ommo, La palombella d’oro e Ammore e pacienza, canzoni come La busciarda, Lo spantecato sotto lo barcone de Menechella, Lo retuorno de lo cardillo e soprattutto la celeberrima Te voglio bene assaie, appartengono a pieno titolo alla storia della letteratura dialettale napoletana. Sulla data di composizione e sull’autore della musica di quest’ultima canzone le opinioni degli studiosi divergono. Alcuni ritengono che sia stata scritta nel 1835 e musicata da Gaetano Donizetti, altri che sia stata scritta nel 1839 e musicata da Filippo Campanella. Te voglio bene assaie ebbe un successo straordinario e duraturo e fu apprezzata anche da un fine letterato come Luigi Settembrini.
Morì a Napoli il 20 gennaio 1872.
Opere. La Morena. Aria ’mprovvesata. Musica del maestro Luigi Biscardi, Napoli s.d.; Il trionfo di Abramo. Cantata per la solennità della prima messa del novello sacerdote reverendo D. Gennaro Cuomo. La musica è del signor D. Filippo Campanella, maestro di cappella napolitano, Napoli 1826; Menella. Musica di Beniamino Carelli, Napoli, dopo il 1850. Poesie sono apparse in: Plauso poetico al nome SS. di Gesù seguito nella ven. chiesa de’ SS. Apostoli nel dì 1 del corrente anno 1823. Dedicato a S.A.R. Ferdinando Borbone duca di Noto infante di Napoli, Napoli 1823, p. 62; Componimenti poetici su i dolori della Vergine SS. recitati nella reale chiesa di Santa Maria La Nova de’ PP. Osservanti il 9 aprile 1835 dagli Accademici in detta chiesa a tal’uopo congregati, Napoli 1835, pp. 97-101.
Fonti e Bibl.: Catalogo di saggi de’ prodotti dell’industria nazionale presentati nella solenne Esposizione de’ 4 ottobre 1830, Napoli 1830; P. Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Napoli 1874, pp. 362-364; S. Di Giacomo, «Te voglio bene assaie!...» (1892), in Id., Poesie e prose, a cura di E. Croce - L. Orsini, Milano 1977, pp. 929-935; A. Mirabelli - M. de Francesco, Ottica Sacco, dall’Ottocento al terzo millennio, in La nascita dell’oculistica campana. Fonti storiche e documentarie, a cura di A. Armone Caruso - A. Del Prete, Napoli 2005, pp. 243-268.
G. Porcaro, Te voglio bene assaje, Napoli 1976; E. De Mura, Poeti napoletani dal Seicento ad oggi, con un saggio introduttivo di M. Vajro, I, Napoli 1989, pp. 125-131; F. D’Ascoli, Letteratura dialettale napoletana. Storia, I, Napoli 1996, pp. 209-211; U. Mendia, R. S. ottico napoletano dell’Ottocento, prefazione di A. Borrelli, Napoli 2007.