MAFFEI, Raffaele
Nacque, secondo di quattro fratelli, il 17 febbr. 1451 da Gherardo di Giovanni e da Lucia Seghieri a Roma, dove il padre era segretario pontificio sotto Callisto III e Pio II. Una presunta nascita a Volterra, sostenuta nella biografia settecentesca del Falconcini (spesso inattendibile dato il taglio apologetico), è contraddetta dallo stesso M., che in una lettera al cardinale Adriano Castellesi richiamava "Romam meam in qua et natus et educatus sum" (Paschini, 1953, p. 344), e da una biografia anonima risalente alla metà del secolo XVI (cfr. Rapezzi, p. 13 e n. 32).
A Roma il M. intraprese assai presto la carriera curiale sotto papa Paolo II che, dopo la morte del padre (1466), lo nominò scriptor apostolicus il 21 marzo 1468, con speciale dispensa in quanto ancora diciassettenne, e con la facoltà di conservare tale ufficio anche nel caso di matrimonio. Il M. si sarebbe sposato nel corso degli anni Ottanta, con la volterrana Minuccia, detta Tita, di Bartolomeo Minucci, dalla quale avrebbe avuto due figli: Gerardo, destinato a morte prematura, e Lucilla, che nel novembre 1508 sposò il volterrano Paolo Riccobaldi Del Bava, anch'egli curiale, in seguito adottato dal fratello minore del M., Mario, e definitivamente assunto nella casata dei Maffei nel 1525.
Ben poco sappiamo circa la formazione del M., che certo dovette dedicarsi intensamente allo studio delle discipline filosofiche e teologiche, e forse anche iniziare lo studio del greco, benché non più che un ricordo sia quello relativo a Giorgio da Trebisonda (Trapezunzio), ascoltato dal giovane M. "in extrema senectute", come scrisse nei Commentarii Urbani, Romae 1506, l. XXI, c. 298v (cenno ripreso poi nei Retractata: Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 753, c. 301v).
Il 3 giugno 1478 il M. divenne membro della Confraternita di S. Spirito in Sassia e l'anno seguente fu incaricato da Sisto IV di accompagnare il cardinale Giovanni d'Aragona, figlio del re di Napoli, nella legazione in Ungheria presso Mattia Corvino. Nel settembre 1479 il M., dopo aver affidato i suoi beni e la tutela del fratello Mario allo zio materno Giovanni Seghieri, partì per raggiungere l'Aragonese in un'avventura di cui danno conto alcuni cenni dei Commentarii, tra l'altro ricordando il passaggio a Ferrara, dove egli vide G. Pico della Mirandola (l. XXI, c. 299v), oppure rievocando il soggiorno a Buda, con le minacce subite dai Turchi (l. VIII, c. 107r). Nella lettera inviata a Nicolò Lisci di Volterra, da Roma il 24 marzo 1480, appena rientrato dalla missione ungherese, sono narrati i preparativi bellici contro di essi in Dalmazia (Falconcini, pp. 71 s.).
Durante gli anni Ottanta il M. risiedette prevalentemente a Roma, consolidando la sua posizione curiale, anche grazie ai rapporti con il volterrano Iacopo Gherardi, che all'ausilio del M. ricorse quando fu nunzio a Milano per la redazione di atti (come attestano una lettera del Gherardi a Sinolfo Montorio dell'11 marzo 1488, e un'altra, del 10 luglio 1498, a Benedetto Rizzoni, cfr. Paschini, 1953, p. 347). L'attività di Curia collocò il M. al centro di una vasta socialità intellettuale, dove spiccano legami privilegiati con Tommaso Inghirami, detto Fedra, con i due Cortesi, Alessandro e soprattutto Paolo, con il quale la carriera del M., come il Cortesi ritiratosi in Toscana nei primi anni del Cinquecento, ha numerosi punti di contatto. Importante fu pure l'amicizia con Adriano Castellesi, di cui l'Inghirami, in una lettera al Gherardi del 25 ott. 1494, sottolineava l'assiduità in casa Maffei (Vat. lat., 3912, c. 79v, con minime varianti in Ottob. lat., 2413, cc. 38v-39r; il primo codice reca anche tre epistole del M. al Gherardi, cc. 116v-117r: lettere tra il M. e il cardinale Adriano sono nel ms. Ottob. lat., 2377, cc. 204v-209r). Sempre dalla corrispondenza del Gherardi, peraltro, apprendiamo della reputazione che il M. godeva presso Ermolao Barbaro, allora ambasciatore veneziano a Roma, che lo definiva "homo non solum scholasticus, sed apprime doctus, multiplici et varia eruditione praeditus", nonché "studiosus et officiosus" nei propri riguardi (lettera del 23 luglio 1490).
Ma le relazioni di stima che legarono il Volaterranus (come sempre più spesso il M. era antonomasticamente appellato) ai maggiori umanisti dell'epoca sono copiosamente attestate e variamente ricambiate dal M. nel capitolo De his qui reliquis in artibus claruerunt dei Commentarii Urbani (l. XXI, cc. 297r-300r), profilo della res litteraria moderna inaugurato con i nomi di D. Alighieri e F. Petrarca. Oltre alla conoscenza di Pico della Mirandola, che egli ebbe modo di rivedere a Roma nel 1486 in occasione delle sue Conclusiones dinanzi a Innocenzo VIII (ibid., c. 299v), e che in anni seriori avrebbe definito "vir doctrina maiori quam prudentia praeditus" (Stromata, Barb. lat., 753, c. 26), egli dovette essere in rapporti con Alessandro Alessandri, che lo richiama esplicitamente in un capitolo dei suoi Dies geniales (Roma 1522, l. VI, cap. VII). Attestata è anche la corrispondenza con Egidio da Viterbo (lettere nell'Ottob. lat., 2377, cc. 210r-211v), ma soprattutto notevoli furono i contatti con l'ambiente fiorentino, e lo stesso M. riferisce di una missiva inviatagli da Lorenzo de' Medici, cordiale nonostante il coinvolgimento nella congiura dei Pazzi di Antonio, fratello maggiore del M., impiccato nel maggio 1478 tra i congiurati (Commentarii Urbani, l. V, c. 71, per il riferimento a Lorenzo, e c. 70v, circa l'adesione del fratello alla congiura per vendicare i torti subiti da Volterra nel 1472).
Uno scambio di grande rilevanza si instaurò con il Poliziano (A. Ambrogini), di cui rimane la risposta a una commendatizia in greco del M. a favore di un Roberto Minucci; il Poliziano mostrava meraviglia per la perizia acquisita dal M. nell'uso di quella lingua (la lettera, datata Firenze, 8 maggio [s.d.], è da collocarsi tra il 1485 e il 1490; cfr. A. Poliziano, Opera, I, Basileae 1553, pp. 179 s.). D'altra parte lo stesso M. ricordava le lettere inviategli dal Poliziano, in latino e in greco, ma più spesso in volgare (Commentarii Urbani, l. XXI, c. 299v).
La qualità della competenza grecistica del M. doveva essersi andata consolidando su una fitta attività di lettura e studio, suffragata anche, tra il 1494 e il 1510, dai prestiti di libri greci nei registri della Biblioteca apost. Vaticana (Bertola, pp. 106 s.). A partire dagli anni Novanta sarà opportuno situare anche l'avvio del lavoro di traduzione dei poemi di Omero, in particolare di una versione poetica dei canti I, II, IX dell'Iliade, poi non confluita nella versione a stampa del 1510, ma comunque significativa di un interesse mai spentosi, dagli anni giovanili alla maturità (i canti I-II in traduzione metrica sono traditi in Biblioteca apost. Vaticana, Capponi, 169, cc. 289-329, autografo; con l'aggiunta del canto IX, nel Barb. lat., 2517, cc. 24-33, autografo di una seconda redazione; cfr. Iliados libri I, II a Raphaele Volaterrano Latine versi, a cura di R. Fabbri, Padova 1984).
Nell'ultimo decennio del XV secolo il M. fu stabilmente presente in Curia, secondo quanto attestano le liste di scrittori apostolici nel Liber del Burckard del 5 giugno 1493, 23 maggio 1497, 12 giugno 1498 e 30 maggio 1499. Dal 1499 più frequenti dovettero farsi gli spostamenti a Volterra, dove egli si trovava nell'aprile 1500, quando ospitò in casa sua il poeta Michele Marullo che, ripartito il giorno 12 alla volta di Piombino, onde imbarcarsi per Costantinopoli, finì travolto dal fiume Cecina ingrossato per le nevi (Commentarii Urbani, l. XXXVIII, Paralipomena, c. 546r).
Ancora a Roma il M. si trovava il 1 ott. 1502, quando insieme con il fratello Mario sottoscrisse una lettera a Francesco Soderini, vescovo di Volterra (Barb. lat., 2517, c. 36), complimentandosi per il gonfalonierato al fratello Piero; e da Pier Soderini il M. venne ringraziato, il 23 luglio 1506, probabilmente per l'invio di una copia dei Commentarii appena pubblicati a stampa. Allo stesso gonfaloniere, inoltre, il 7 giugno 1509, il M. avrebbe rinnovato gli omaggi offrendo la sua versione di Procopio, uscita l'anno prima (lettera da Volterra, in Barb. lat., 2517, cc. 8-9; dove sono anche altre missive scambiate con il Soderini, cc. 7r-11r).
Sul finire del 1502 il M. dovette allontanarsi, probabilmente in via definitiva, da Roma, dal momento che tutte le testimonianze successive provengono da Volterra, dove egli, in una lettera non datata a un Agnello da Lucca dichiara di trovarsi come in esilio, ripromettendosi di rientrare presto nell'Urbe ("Volaterris ago iam annos aliquot, exilium mihi profecto, dum mea careo Roma; animus brevi tempore redenti aliquantulum lenire videtur", Barb. lat., 2517, c. 12v). E scrivendo a Sigismondo de' Conti, suo amico e compare, sottolinea i disagi di questa lontananza da Roma, allorché necessitava di consultare due codici vaticani delle opere di Basilio di Cesarea il Grande che egli andava traducendo (ibid., c. 12). E proprio nella dedica della versione dei sermoni basiliani, indirizzata al fratello Mario il 15 sett. 1515, lo stesso M. mette in chiaro le ragioni di una scelta, legata all'avanzare dell'età, di deliberato allontanamento dal teatro della Roma curiale.
All'abbandono di Roma si riferisce anche una lettera del monaco cistercense Severo Varini al M. (Barb. lat., 2517, cc. 11v-12r, e Roma, Biblioteca nazionale, Autografi, A.97.41), databile intorno al 1510, che associa il ritiro del M. a quello di Paolo Cortesi, del quale si auspica il rientro nell'Urbe una volta compiuto il De cardinalatu. A questa opera dell'amicissimus Cortesi, incompiuta per la morte sopraggiunta, il M. contribuì redigendo, su incarico del fratello Lattanzio Cortesi, l'epistola dedicatoria al pontefice Giulio II, datata novembre 1510; quindi, all'indomani dell'elezione di Leone X (11 marzo 1513), reindirizzandola al nuovo pontefice e diffondendo una nuova emissione della stampa (il testo della prefatoria, dall'esemplare di dedica conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze, Banco rari, 116, con varianti testuali evidenziate in Bausi, pp. 648-650).
Nel De cardinalatu, il Cortesi aveva elogiato il M., informandoci della sua vita austera negli anni volterrani. Anche il fratello Mario, smentendo nel 1518 la voce della morte del M., menzionava le sue pratiche di astinenza e la sua totale dedizione ai testi sacri e "ad opere sante" (Falconcini, p. 169). Incline a opere pie, del resto, il M. si era dimostrato sin dagli anni romani, per esempio già nel 1480, facendo edificare il piccolo oratorio delle suore di S. Francesco, poi eretto a chiesa e monastero sotto il patrocinio di S. Lino (il successore di Pietro, di cui il M. rivendica le origini volterrane in Commentarii Urbani, l. XXII, c. 322r); oppure cooperando con il vescovo Soderini per istituire a Volterra il Monte di pietà nel 1494.
Ma una vera e propria vocazione religiosa di orientamento ascetico dovette manifestarsi solo dopo il trasferimento a Volterra, dove il M., libero dagli uffici curiali, poté dedicarsi alla sua vasta e profonda attività di ricerca erudita e di traduzione dal greco, nella quiete di una vita ritirata e morigeratissima. È in questa stagione che le opere del M., la cui elaborazione potrà in molti casi farsi partire già dai decenni precedenti, videro la loro edizione a stampa, tutte affidate a tipografi dell'Urbe: J. Besicken, E. Silber, ma soprattutto G. Mazzocchi.
Al 1506, con dedica a Giulio II, risale la stampa dei Commentariorum Urbanorum octo et triginta libri (J. Besicken), autentico monumento dell'enciclopedismo umanistico, destinato a un'immediata fortuna europea (con le edizioni capostipiti, spesso ristampate: Parigi, J. Petit - J. Bade, 1511; Basilea, H. Froben, 1530; Lione, S. Gryphe, 1552) e a rimanere in auge come massimo repertorio enciclopedico fino al XVII secolo.
Il M. supera l'impostazione ancora scolastica e aridamente scientifico-naturalistica del De expetendis et fugiendis rebus di Giorgio Valla, per costruire un edificio enciclopedico fondato sulle discipline storico-geografiche. Egli assimila da un lato la prospettiva corografica e antiquaria di Biondo Flavio, dall'altro la grande lezione filologica di Valla e D. Calderini, filtrata attraverso l'apporto decisivo del patrimonio erudito e linguistico ellenico, al centro della formazione umanistica del Maffei. Dopo l'indice sistematico del primo libro, l'opera si articola in tre grandi sezioni: Geographia (libri II-XII), Anthropologia (XIII-XXIII), Philologia (XXIV-XXXVIII). La prima è "una geografia storica irta di riferimenti precisi a uomini e cose" (Dionisotti, p. 43); la sezione romana (l. VI, cc. 73r ss.) ebbe pure una tradizione distinta, per esempio nella silloge De Urbe Roma scribentes (Bologna, G. Benedetti, 1520) e nel De Roma prisca et nova (Roma, G. Mazzocchi, 1523), dove anche figura attribuito al M. un carme De origine Urbis, in 243 esametri sulle origini mitiche di Roma. L'Anthropologia "è prima un dizionario storico onomastico in ordine alfabetico dell'evo antico, poi una rassegna per categorie e professioni di uomini illustri dell'età moderna" (Dionisotti, p. 43). La Philologia va intesa nell'accezione di terminologia sistematica concernente i "variarum artium rudimenta": animali, piante, metalli, minerali, grammatica e retorica, scienze naturali. Il capitolo De nominibus del XXX libro tratta le etimologie volgari dal greco e latino (edito in Dionisotti, pp. 45 s.); gli ultimi tre libri sono dedicati a compendiare l'opera filosofica di Aristotele. In appendice segue la versione dell'Oeconomicus di Senofonte, con dedica alla moglie Minuccia (pure testimoniato dall'Ottob. lat., 1649, cc. 1-60).
Al 7 marzo 1509 risale la stampa della versione del De bello Persico e De bello Vandalico di Procopio (E. Silber), con dedica al fratello Mario. L'anno dopo, in data 12 settembre, uscì l'Odissea Homeri [(] in Latinum conversa (G. Mazzocchi).
Nella dedicatoria il M. sottolinea la scelta di traduzione prosastica (ove peraltro egli intercala numerosi versi), e insieme giustifica l'interesse per il testo omerico in chiave morale e retorica. In realtà, non era estraneo al M. il gusto della versione poetica, da lui perseguito in modo autonomo e diretto sull'originale omerico, con la tendenza, tipica della prassi quattrocentesca, ad attenuare la formularità del testo attraverso la variatio lessicale e stilistica. Se ne trae un giudizio assai meno severo di quello dei contemporanei, che con Erasmo e F. Florido criticarono il M. traduttore "in Graecis vertendis pueriliter lapsus" (F. Florido, M. Actii Plauti [(] apologia, Basileae 1540, p. 111). Erasmo, in una lettera a Iacopo Sadoleto del 22 febbr. 1532, colpiva invece i fraintendimenti nella versione di Basilio il Grande. Paolo Giovio, infine, critico con lo stile "sine ornamento" del M. enciclopedista, sottolineava come egli traducesse Procopio "sincere potius quam splendide" (Elogia, c. 70r).
Altra importante impresa versoria del M. si ebbe con la stampa degli Opera di Basilio il Grande (G. Mazzocchi, 15 sett. 1515; anche nell'autografo Ottob. lat., 2377, cc. 1-202), preceduti dalla Monodia Gregorii Nazianzeni in Magnum Basilium, con dedica al fratello Mario in omaggio al suo giovanile interesse per la filosofia aristotelica. L'iniziativa segna l'ormai esclusivo concentrarsi del M. sulle fonti patristiche e teologiche. Seguirono l'altra grande opera trattatistico-erudita, il De institutione Christiana ad Leonem X (G. Mazzocchi, 8 ott. 1518; la stampa include anche l'opuscolo De prima philosophia, compendio di metafisica "ex officina Scottica magna ex parte", dedicato a Mario) e la traduzione delle omelie di Giovanni Damasceno e di Andrea Gerosolimitano De dormitione beatae Mariae Virginis. Il De institutione affronta in otto libri questioni di teologia dogmatica e morale secondo un impianto tomista; l'opera è trasmessa anche dai manoscritti Vat. lat., 1126, esemplare pergamenaceo di dedica al pontefice, e Ottob. lat., 992, autografo, contenente pressoché tutta la silloge stampata nel 1518, compreso il De prima philosophia.
A questo versante teologico-morale dell'ultima produzione del M. andrà ascritto anche il trattato in dieci libri degli Stromata, nel ms. Barb. lat., 753 (cc. 1-298, autografo, contenente inoltre Quaedam in Commentariis Urbanis retractata, un Excerptum da Dione Cassio e un De psalterio; una copia seriore e lacunosa degli Stromata nell'Ottob. lat., 2368).
A tematiche ecclesiastiche, ma in diversa prospettiva, ora polemistica ora storiografica, si riferiscono le scritture che impegnarono il M. negli ultimi anni di vita, in opere che egli non fece in tempo a far pervenire alle stampe. Attribuibile a un lasso di tempo compreso tra la fine del 1518 e il 1520 (ma sicuramente anteriore al 15 giugno 1520, data della bolla Exurge Domine di condanna di Lutero) è il libello Nasi Romani in Martinum Lutherum Apologeticus, una delle prime apologie antiluterane, nella quale il M., sotto la forma oratoria di una prosopopea del Genio di Roma (Naso Romanus contrapposto al ferreum nasum di Lutero), confuta il metodo esegetico di Lutero e le tesi sulle indulgenze in una prospettiva aristotelico-tomistica, affermando il primato gerarchico-magisteriale del pontefice (l'edizione è in D'Ascia, pp. 126-154, sui testimoni Ottob. lat., 992, cc. 279-286; 2377, cc. 242-251, entrambi autografi con varianti redazionali).
Alle più ampie biografie dei pontefici contemporanei già presenti nei Commentarii Urbani (da Sisto IV a Pio III, l. XXII, cc. 315v-319r: quattro profili acclusi alle Vitae pontificum di B. Sacchi detto il Platina, a partire dall'edizione veneziana, F. Pincio, 1511), dove lo schema prosopografico si dilata in historia pontificalis, si riconnette, infine, la Brevis sub Iulio Leoneque historia (tradita dai mss. Ottob. lat., 992, cc. 268r-278v; 2377, cc. 232r-241r, da cui deriva la pubblicazione di D'Amico, 1980, pp. 191-210, e dal più tardo Vat. lat., 5875). Nel caso di Giulio II il M. evidenzia i limiti e le involuzioni del pontificato, mentre per Leone X si attesta su toni elogiativi, comunque facendo emergere orientamenti di riforma ecclesiastica già prospettati nelle sezioni finali del De institutione Christiana (come nei capitoli De moribus et vitae genere curialium, escluso non per caso dall'esemplare di dedica a Leone X, e Quomodo his malis omnibus occurratur; su tali aspetti cfr. D'Amico, 1980, pp. 181-189).
Il M. morì a Volterra il 25 genn. 1522. Nel 1538 la salma fu trasferita nel pregevole sepolcro della chiesa di S. Lino, opera commissionata dal fratello Mario e dal genero Paolo allo scultore Silvio Cosini da Fiesole, menzionata anche nelle Vite di Giorgio Vasari.
Fonti e Bibl.: In aggiunta ai manoscritti sopra citati, nuclei epistolari del M. si trovano a Volterra, Biblioteca Guarnacciana, Mss., 5377, 6204; Forlì, Biblioteca comunale, Autografi Piancastelli, 1340; P. Cortesi, De cardinalatu, in Castro Cortesio 1510, c. XIIIIv; A. Alessandri, Dies geniales, Romae 1522, c. CCLr; P. Giovio, Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita, Venetiis 1546, cc. 69v-70r; G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, II, Fiorenza 1568, p. 109; J. Burckard, Liber notarum, a cura di E. Celani, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXXII, passim; Dispacci e lettere di Giacomo Gherardi nunzio pontificio a Firenze e a Milano (11 sett. 1487 - 10 ott. 1490), a cura di E. Carusi, Roma 1909, passim; I due primi registri di prestito della Biblioteca apostolica Vaticana, a cura di M. Bertola, Città del Vaticano 1942, pp. 106 s.; E. Barbaro, Epistolae, orationes et carmina, a cura di V. 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