NATTA, Raffaele Francesco
NATTA, Raffaele Francesco (in religione Enrichetto Virginio). – Nacque a Casale Monferrato il 10 gennaio 1701, dodicesimo figlio di Girolamo III, marchese di Cerro e conte di Baldesco e Fubine e di Luciana Matilde Ignazia Pelletta Mesturelli di Soglio.
Esponente di uno dei più antichi e prestigiosi casati del Monferrato, crebbe in un ambiente particolarmente propenso alle vocazioni religiose. Dei 14 figli di Girolamo III (4 dei quali morti in tenera età) ben 6 vestirono infatti l’abito ecclesiastico; lo stesso conte, dopo la morte della moglie, decise di abbandonare il secolo entrando nel convento di S. Domenico di Casale, dove prese il nome di padre Giacinto.
Abbracciata la vita religiosa nell’Ordine dei predicatori, Raffaele assunse il nome di Enrichetto Virginio. Dopo aver espletato il suo noviziato a Faenza, risiedette per qualche tempo a Bologna e a Bosco Marengo, il cui convento domenicano di S. Croce – dove insegnò per qualche tempo filosofia – era noto come «palladio della scienza per i celebri maestri che vi impartivano gli insegnamenti della filosofia e della teologia» (Bianchi, 1916, p. 125). Il 15 giugno 1726 ricevette l’ordinazione sacerdotale. Qualche anno dopo fu a Modena come consultore dell’Inquisizione e come docente di filosofia (dal 1732 al 1734) e di teologia scolastica (fra il 1738 e il 1739) nell’università, che avrebbe poi ricordato la sua elevazione cardinalizia con una solenne funzione pubblica, alla cui memoria venne apposta una lapide.
Nel 1739 il marchese Carlo Francesco d’Ormea, potente ministro del re di Sardegna Carlo Emanuele III, lo chiamò per ricoprire la cattedra di teologia dogmatica nell’Università di Torino, dove andò a sostituire il padre alsaziano Tommaso Crust, congedato in seguito alle polemiche suscitate dalla circolazione di tesi in materia di infallibilità pontificia, di superiorità del concilio sul papa e di poteri dei principi (attribuitegli – si sarebbe scoperto in seguito – ingiustamente) ritenute erronee e pericolose.
Nell’ateneo torinese, in quegli anni scosso dalla polemica antigesuitica e segnato dall’impronta giurisdizionalista imposta dal governo sabaudo, Natta – di cui erano noti gli orientamenti probabilioristi e antimolinisti e l’attenzione verso la Chiesa di Utrecht – rimase per un decennio, alimentando quella presenza domenicana che avrebbe contribuito a sostenere fortemente anche dopo la sua promozione alla dignità vescovile e cardinalizia. Nel 1751 fece infatti pressioni sulla corte per giungere alla nomina alla cattedra di teologia del padre Giacinto Sala da Bergamo; nel 1756 e nel 1759 non ebbe difficoltà a far chiamare i suoi due fratelli domenicani Tomaso Ignazio Maria (1710-1766) e Vincenzo Girolamo (1720-1770) rispettivamente alle cattedre di teologia morale e di logica e metafisica; infine nel 1760 si prodigò per l’attribuzione della cattedra di teologia dogmatica al padre Carlo Pio Trevisan.
Gli era da poco stata affidata la guida della provincia domenicana di Lombardia (1749) quando papa Benedetto XIV, su segnalazione del re di Sardegna, decise di chiamarlo a reggere una diocesi subalpina. Dopo aver sostenuto il relativo esame alla presenza del pontefice, il quale avrebbe definito Natta «un vescovo veramente dotto» (cit. in Bottieri, 1762, p. 6), il 22 luglio 1750 venne nominato vescovo di Alba e tre giorni dopo ricevette la consacrazione dal cardinale Carlo Alberto Guidobono Cavalchini. La diocesi albese, una delle più antiche e ampie del Piemonte, era composta da 101 comunità con 107 parrocchie; il numero dei religiosi ascendeva a circa 750 unità (un quarto dei quali risiedeva in Alba) e i gesuiti erano pressoché assenti. Natta iniziò nel 1753 la visita pastorale, che quattro anni dopo non risultava ancora completata (solo alla metà del 1757 risale infatti la visita di Ceva).
Nella sua azione episcopale grande spazio venne riservato alla formazione dei fedeli (per la quale mostrò particolare zelo nel potenziamento dell’uso del catechismo) e dei chierici (alla cui preparazione chiamò in diocesi diversi confratelli domenicani). In questa prospettiva si inseriscono anche gli interventi edilizi e strutturali di cui fu artefice nella cattedrale (dove volle realizzare l’aula capitolare e abbellire la cappella del Ss. Sacramento), nel seminario (dove fece costruire un ampio salone) e in ambienti esterni al palazzo vescovile, come la casa estiva di Altavilla, dove si recava in villeggiatura e per trovare giovamento alla debolezza fisica che, con gli anni, si andava aggravando sempre più.
I buoni rapporti intrattenuti a corte e con Carlo Emanuele III, di cui era «accettissimo» al punto che il sovrano «lo voleva sempre vicino per approfittare de’ suoi saggi consigli» (Bianchi, 1916, p. 29), favorirono i progressi della sua carriera ecclesiastica e di quella dei suoi familiari. Nel concistoro del 23 novembre 1761 Clemente XIII lo creò infatti cardinale prete, due anni dopo la nomina del fratello Tomaso Ignazio Maria ad arcivescovo di Cagliari (e quindi primate di Sardegna).
La porpora di Natta doveva contribuire a rafforzare la presenza sabauda in seno al Sacro Collegio, che in quegli anni era affidata a Guidobono Cavalchini (creato cardinale nel 1743), all’abate di Fruttuaria Vittorio Amedeo delle Lanze (1747) e all’arcivescovo di Torino Giovanni Battista Roero di Pralormo (1756). Ma l’obiettivo di accrescere, con la promozione di Natta, il peso della monarchia sarda nella curia romana non fu pienamente raggiunto. Il berretto, portato dall’ablegato apostolico (il marchese Ortensio Ceva Buzi), venne imposto al cardinale dallo stesso Carlo Emanuele III il 20 gennaio 1762 nella cappella della Sindone. Le condizioni di salute, divenute col tempo sempre più precarie, impedirono tuttavia al presule di recarsi nell’Urbe per ricevere dal papa il cappello e il titolo cardinalizio e per giocare quel ruolo che, nelle speranze della politica sabauda, avrebbe potuto condurre nella corte di Roma. Natta (al quale, nel 1768, si era pensato anche come possibile arcivescovo di Torino) continuò così a risiedere ad Alba, guidando la sua diocesi (nella quale non sporadici furono gli interventi disciplinari nei confronti di ecclesiastici e di laici) e reggendo anche le abbazie dei Ss. Vittore e Costanzo di Villar San Costanzo e dei Ss. Pietro e Cristina di Grassano che gli erano state affidate in commenda. Nel suo testamento, redatto il 22 giugno 1768, fu particolarmente munifico verso i conventi domenicani di Casale, Torino, Garessio, Bagnasco e Bra.
Morì il 29 giugno 1768 e venne sepolto nella cattedrale di Alba, della cui diocesi fu il primo e unico vescovo ad assurgere alla dignità cardinalizia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie ecclesiastiche, Lettere vescovi, Alba, mz. 7: 1751-1768, Lettere scritte al re e al ministro da F. E. V. N. dell’Ordine de’ predicatori vescovo d’Alba creato cardinale il 28 novembre 1761 da papa Clemente XIII; Torino, Bibl. naz., ms. K3.III.20, E.V. Natta, Tractatus de peccatis; D.A. Bottieri, Le otto beatitudini spiegate secondo la dottrina dell’angelico dottor della Chiesa S. Tommaso d’Aquino riscontrate nella vita d’esso ... con una massima per ogni giorno dell’anno cavata dalle opere del Santo... dedicate a sua eminenza il signor cardinale Fr. E. V. N. dei marchesi del Cerro, dell’Ordine dei predicatori, Torino 1762; Per l’esaltazione alla sacra porpora dell’eminentissimo e reverendissimo monsignore E. V. N. Applausi poetici del capitolo della cattedrale d’Alba, Torino 1762; Poetici componimenti all’eminemtiss.mo, e reverendiss.mo monsignore E. V. N. dell’Ordine de’ predicatori, cardinale di S. Chiesa, vescovo d’Alba Pompea, e Conte, ... dalla predetta illustrissima città umiliati, Torino 1762; R. Bianchi, La provincia di S. Pietro Martire e i suoi conventi, Torino 1916, pp. 29, 125; S. Vallaro, I professori domenicani nell’Università di Torino, in Archivum fratrum praedicatorum, VII (1937), pp. 165 s.; A. Walz, I cardinali domenicani. Note bio-bibliografiche, Firenze-Roma 1940, p. 47; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all’Università di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958, p. 55; Il giansenismo in Italia: collezione di documenti, I,1, a cura di P. Stella, Zurich 1966, p. 352; Dal convento alla città. La vita torinese attraverso il registro dell’archivio del convento di S. Domenico redatto dal padre G.A. Torre (1780), a cura di P. Valerio Ferrua, Torino 1995, p. 903; A. Stella, Alba. Storia di una diocesi dal 350 ai nostri giorni, Alba 1996, pp. 94 s., 102;M.T. Silvestrini, La politica della religione. Il governo ecclesiastico nello Stato sabaudo del XVIII secolo, Firenze 1997, pp. 336 s.; G. Tuninetti, Il cardinal Domenico della Rovere, costruttore della cattedrale e gli arcivescovi di Torino dal 1515 al 2000. Stemmi, alberi genealogici e profili biografici, Cantalupa 2000, p. 132; P. Stella, Il giansenismo in Italia, II, Roma 2006, p. 131; P. Cozzo, In seconda fila: la presenza sabauda nella Roma pontificia della prima età moderna, in Il Piemonte come eccezione? Riflessioni sulla ‘piedmontese exception’. Atti del seminario internaz ... Reggia di Venaria… 2007, a cura di P. Bianchi, Torino 2008, pp 143 s.