FORNARI, Raffaele
Nacque a Roma il 23 genn. 1787 da Francesco e da Teresa Galli.
Lo Stato delle anime del 1788 conservato nell'Archivio storico del Vicariato di Roma qualificava il padre come "curiale" di origine pontremolese, il che dimostra che la famiglia non era né modesta, come afferma il Piscitelli (p. 84), né tantomeno collocata nei "derniers rangs de la société", come vorrebbe la fonte citata dal Weber (II, p. 465), ma apparteneva probabilmente alla media borghesia.
Al termine degli studi nel seminario e poi nel Collegio Romano (all'epoca diretto dal clero regolare) il F. si laureò in teologia, disciplina che avrebbe presto avuto in lui uno dei maggiori esperti. Ottenne le cattedre di teologia e metafisica nel seminario romano e nel collegio di Propaganda Fide nonché in quello di Monte Porzio Catone. Autore, secondo qualche studioso, di un'ampia trattatistica rimasta inedita, il F. era comunque consulente in materia di teologia di molti cardinali e di alcuni uffici romani (ad esempio, la Sacra Penitenzieria), sicché col tempo cresceva il suo prestigio di studioso e fioccavano gli incarichi, ultimo, nel 1837, quello di consultore della congregazione di Propaganda Fide.
Il F. aveva allora cinquant'anni e sarebbe rimasto per sempre un onesto docente se non si fosse ricordato di lui monsignor F. Capaccini, abilissimo diplomatico pontificio, che era stato suo compagno di corso al seminario e che lo conosceva come severo custode dell'ortodossia: fu lui a segnalarlo a Gregorio XVI e al segretario di Stato L. Lambruschini come possibile titolare della rappresentanza pontificia in Belgio, un paese di recente formazione in cui il cattolicesimo, assai diffuso nelle masse, si era aperto, soprattutto nel basso clero, ai fermenti di rinnovamento che, accesi dal pensiero di F. Lamennais, dopo le encicliche Mirari vos e Singulari vos avevano preso il carattere di contestazione della gerarchia. Al Capaccini era parso che il F. fosse l'uomo giusto per correggere queste tendenze.
Nominato incaricato d'affari all'inizio del 1838, il F. giunse a Bruxelles a metà aprile: non aveva con sé istruzioni ma solo consigli, in particolare quello, datogli dal Capaccini, di consultarsi sempre con il più autorevole dei vescovi belgi, il cardinale E. Sterckx, ma era risoluto, pur sapendo di operare in un paese a regime costituzionale, nell'impedire che lo spirito di libertà s'infiltrasse nelle istituzioni ecclesiastiche, minando alla base il principio d'autorità su cui si reggevano. Che sul Belgio regnasse un protestante come Leopoldo I era per lui poco più di un dettaglio, dal momento che i propositi normalizzatori del F. potevano ben conciliarsi con le intenzioni di un sovrano che aveva detto di aspettarsi da Roma un inviato che lo aiutasse a governare e che proprio per questo era rimasto deluso nell'apprendere che a Bruxelles non sarebbe stato destinato, come in passato, un internunzio ma un semplice incaricato d'affari. Nonostante le poco incoraggianti premesse, la missione del F. fu coronata da una serie di successi e rivelò in lui un diplomatico nato, un uomo capace di accattivarsi le simpatie generali con la propria cordiale bonomia ma anche tenace nell'affermare l'idea di una Chiesa inserita a pieno titolo nel gioco delle potenze, disposta anche a sacrificare - in nome dell'alleanza tra trono e altare ma avendo sempre di mira il bene del cattolicesimo universale - quelle porzioni di fedeli la cui stessa esistenza potesse risultare pregiudizievole per il perseguimento di un simile obiettivo. Era l'ideologia ultramontana di Gregorio XVI e della tarda Restaurazione, attenta a soffocare tutti quei movimenti che, contrapponendosi allo Stato e alla Chiesa, favorissero anche involontariamente la ripresa delle spinte rivoluzionarie e costituissero un pericolo per gli equilibri fissati dal congresso di Vienna.
II F. seguì la logica per la quale gli interessi di Roma coincidevano comunque con quelli del Belgio e dei suoi governi moderati. Trovando inconcepibile che l'impulso a lottare per la democrazia partisse proprio dal clero, la sua azione si indirizzò, e fu molto severa, verso quei settori del mondo ecclesiastico che, specialmente nelle Fiandre, testimoniavano una particolare insofferenza per il vicino ambiente protestante e così facendo si aprivano alla propaganda del sovversivismo francese, col rischio di invadere un campo, quello della politica, che egli considerava riservato al papa e ai suoi diretti rappresentanti. Per il F., che accettava pur con qualche malumore i principî costituzionali, era importante che il Belgio avesse un governo solido a larga partecipazione cattolica, un governo che garantisse la tenuta necessaria per sottrarre la società civile alla duplice minaccia della massoneria e delle organizzazioni radicali. In pieno accordo con lui Leopoldo I accettava di buon grado i suoi ripetuti interventi nelle elezioni e nelle lotte parlamentari: messa alla prova in varie circostanze (ad esempio nel passaggio dal governo liberale a quello unionista che con una coalizione cattolico-moderata resse il paese tra il 1841 e il 1845; o al momento dell'approvazione del cosiddetto "trattato dei ventiquattro articoli" che chiudeva il contenzioso con l'Olanda sancendo definitivarnente l'indipendenza del Belgio pur con la rinunzia ad alcuni territori), la linea del F. si impose sempre anche a costo di determinare un clima di scontro con l'episcopato belga, in particolare con quel cardinale Sterckx che, secondo il Capaccini, avrebbe dovuto rappresentare la sua stella polare e che invece il F. aveva finito per considerare un ambizioso, un personaggio che si atteggiava a primate del Belgio senza esserlo, un sobillatore degli altri vescovi contro il suo ruolo di inviato del pontefice, il degno rappresentante di un episcopato che ignorava volutamente la centralità romana.
Gli effetti di tale antagonismo divennero macroscopici quando nel 1841 alcuni deputati cattolici, d'intesa con i vescovi, chiesero il riconoscimento della personalità giuridica per l'università cattolica di Lovanio. Il F. era molto prevenuto verso questa istituzione che considerava una palestra per la formazione di un clero imbevuto di teorie lamennaisiane e recalcitrante a ogni disciplina, ma la sua diffidenza crebbe a dismisura allorché si accorse che la questione, comportando la possibilità di un ritorno della manomorta ecclesiastica, provocava il risentimento dei liberali e destabilizzava la maggioranza parlamentare che sosteneva il governo. In effetti proprio a questo mirava la richiesta della personalità giuridica per Lovanio. Il F. tentò dapprima di bloccare tale manovra senza coinvolgere Roma; solo più tardi, costretto dalle resistenze del clero belga, dichiarò ufficialmente che quella che esprimeva era la volontà del papa: a tal punto i vescovi, non potendo più giocare sull'equivoco, dovettero ritirare il loro ambiguo sostegno al progetto che quindi venne accantonato. Restava una ferita insanabile nel rapporto tra i presuli e il F., che, oltretutto, aveva compromesso anche l'amicizia col Capaccini, giunto a Bruxelles per spalleggiarlo e improvvisamente passato dalla parte del cardinale Sterckx. Per contrasto, il soggiorno belga del F. si chiudeva in un'atmosfera di grande cordialità con il re, un re che non aveva lesinato la sua protezione ai cattolici nel convincimento, indotto in lui dal rappresentante del papa, che la religione fosse " l'amie sincère et le vrai soutien de l'ordre parce que elle prescrit comme devoir le respect de l'autorité établie par Dieu" (così il F. nel dispaccio dei 13 luglio 1842, in Simon, Correspondance…, p. 191). E questo risultato, insieme con i molti attestati di riconoscenza tributatigli, con il rimpianto che avrebbe lasciato negli ambienti politici, con gli avanzamenti di carriera decisi da Roma, poteva ben compensarlo delle accuse di ministerialismo rivoltegli dall'episcopato belga o del disappunto provato nel ricevere la consacrazione ad arcivescovo di Nicea, decisa da Gregorio XVI il 24 genn. 1842, proprio dalle mani del poco amato cardinale Sterckx (23 apr. 1842).
Giudizi assai severi sulla missione belga del F. sono stati pronunziati da alcuni storici cattolici, in primo luogo dal Simon, che ha fatto sua la tesi dello Sterckx di un F. troppo governativo e lo ha criticato come se avesse posto lui le basi della politica della Chiesa negli anni Quaranta, come se fosse stato lui a decidere sia gli orientamenti internazionali della S. Sede sia la sua politica ecclesiastica. In verità, per quanta personalità avesse, il F. era essenzialmente l'esecutore di indirizzi stabiliti da altri, indirizzi che non erano nemmeno l'espressione di una volontà autonoma del papa e della segreteria di Stato dal momento che tra il 1830 ed il 1848 anche la Chiesa era stata costretta ad allinearsi al gioco delle grandi potenze che aveva avuto nel Metternich il suo incontrastato dominatore. Indicare nella mancanza di tatto o nel narcisismo del F. la chiave di lettura delle sue scelte significherebbe rovesciare sulle sue spalle il peso di responsabilità che stavano in gran parte altrove, mentre è senz'altro vero che senza la sua azione non sarebbe migliorata la condizione della Chiesa in Belgio: la legge sull'insegnamento primario che introduceva ampie garanzie per la religione non era opera sua ma difficilmente sarebbe passata (luglio 1841) senza la collaborazione tra cattolici e liberali da lui voluta. D'altronde che il suo lavoro fosse apprezzato in Belgio come a Roma lo dimostra l'elevazione della sede di Bruxelles a nunziatura (Leopoldo I aveva molto premuto perché ciò avvenisse) e la conseguente promozione del F. a nunzio (21 marzo 1842), indispensabile premessa per l'invio a Parigi come titolare della prestigiosa nunziatura apostolica di Francia (14 genn. 1843).
Era una promozione importante perché apriva la via al cardinalato, ma era anche l'inizio di una missione complessa in un paese che dal 1831 non ospitava più la nunziatura e che molto aveva rimpianto il richiamo a Roma dell'internunzio A. Garibaldi, tranquillo e piuttosto conciliante. La tradizione gallicana della Francia, indebolitasi nel tempo ma non del tutto superata, rendeva difficile la condizione della Chiesa di Roma sia nei rapporti con lo Stato sia nel governo del clero, talora riottoso anche ai vertici e tutt'altro che prono verso l'autorità del papa in materia di organizzazione interna e di liturgia. Nella società, poi, era diffuso l'anticlericalismo, una tendenza che toccava livelli molto alti nelle università, dove avevano facile presa le polemiche contro l'oscurantismo cattolico. In un certo senso era la situazione ideale per il temperamento autoritario del F., che ora, però, non poteva contare, come già in Belgio, sulla collaborazione del sovrano: Luigi Filippo era, infatti, un re di molte forme ma nella sostanza gelosissimo custode della pienezza della sua sovranità e quasi mai disponibile a sostenere il nunzio nelle sue contese con l'episcopato o nelle sue istanze ultramontane.
Costretto a operare in condizioni sfavorevoli, il F. si conquistò presto fama di uomo poco accomodante, e anche in Francia i suoi interventi parvero più aspri quando avevano come destinatari non le autorità dello Stato ma il clero, sì da accreditarlo come "le champion des idées romaines en face des derniers assauts du gallicanisme agonisante" (Martin, p. 275). Anche qui ci fu da parte del F. un eccesso di personalizzazione nel dissidio che lo divise dall'arcivescovo di Parigi, D.A. Affre, in merito al problema dell'esenzione degli ordini religiosi dalla giurisdizione episcopale: il F. se ne dovette occupare sin dall'arrivo a Parigi (maggio 1843), schierandosi subito a favore della conservazione di un privilegio che svincolava religiosi come i gesuiti e i benedettini dal controllo dei vescovi per farli dipendere direttamente da Roma.
Questa presa di posizione, trovando un riscontro nelle divisioni interne della gerarchia francese dove l'ultramontanismo aveva parecchi sostenitori, provocava lacerazioni tali tra i credenti da preoccupare la segreteria di Stato che, per parte sua, era molto incerta sulla via da seguire e, nella speranza di calmare gli animi, non sempre approvava i passi del nunzio. Così, dopo essersi tanto battuto per i gesuiti, il F. si avvide che a Roma si era deciso di mettere la sordina a tutta la vicenda e di accettare che alcune case della Compagnia fossero chiuse e che i religiosi si disperdessero nelle parrocchie di provincia: certo il nunzio aveva vinto la sua battaglia per il mantenimento del privilegio dell'esenzione, ma si era trovato alla fine su posizioni troppo caratterizzate politicamente: a tal punto che V. Gioberti, se, un tempo esule in Belgio aveva goduto della sua protezione, ora prendeva le distanze da lui.
Il problema dei gesuiti rientrava nella questione, assai dibattuta allora in Francia, della libertà dell'insegnamento e dell'attacco dei cattolici al carattere laico assunto dall'istruzione nelle università statali. In proposito l'atteggiamento del F. assumeva tratti che ricordavano la missione belga: se, come diplomatico, non poteva non accettare le istituzioni della Francia, la sua paura della libertà come capace d'infettare il sistema di governo della Chiesa lo rendeva insofferente verso la tendenza ad organizzarsi in movimento che nell'occasione avevano dimostrato i settori più combattivi dell'opinione cattolica, con alla testa Ch. Forbes conte di Montalembert e il giornale l'Univers. Il F. sapeva bene che nello scorcio finale del papato di Gregorio XVI, quando si avvertiva il peso di un logorante quindicennio, ciò che più stava a cuore a Roma era mantenere un atteggiamento molto cauto per uscire da una congiuntura poco propizia; e, nonostante tutto, ebbe il merito di tenere insieme le effervescenze dei cattolici francesi con le prudenze della Chiesa senza che questa avesse troppo a risentirne nella considerazione dell'opinione pubblica.
Con l'avvento di Pio IX lo scenario mutò di colpo secondo schemi riformistici che il F. era costretto a sostenere pur senza riconoscervisi. Non tardarono a trapelare indiscrezioni sul suo dissenso da un papa che - a poco più di un anno dall'elezione - definiva, secondo una fonte ostile alla nunziatura, "pazzo e men buono di Gregorio" (Protocollo della Giovine Italia, VI, p. 57). Le vicende vissute dalla Chiesa nei due anni precedenti l'allocuzione papale del 29 apr. 1848 e la successiva crisi che portò all'instaurazione della Repubblica Romana confermarono il F. nelle sue prevenzioni verso il liberalismo e soprattutto verso un'applicazione di quei principî allo Stato pontificio; perciò, mentre a Parigi si impegnava nella difesa delle prerogative della Chiesa in Francia, profittava dei suoi buoni rapporti con il primo ministro F. Guizot per parlare, già all'inizio del 1848, dell'eventualità di un intervento militare francese in difesa del potere temporale. Riemerso dopo la breve crisi della rivoluzione di febbraio (il F. riprendeva ufficialmente le funzioni di nunzio solo ai primi di agosto, dopo il riconoscimento della Repubblica francese da parte di Roma), un'ipotesi del genere acquistava carattere d'urgenza man mano che nello Stato pontificio esplodevano le contraddizioni della politica nazionale di Pio IX, e diveniva praticabile con la svolta moderata compiuta dalla Francia eleggendo alla presidenza Luigi Napoleone. Da allora tutte le energie e la perspicacia del F. si concentrarono nello sforzo di spingere una Parigi molto esitante ad assumere un ruolo primario nel ristabilimento del potere temporale e, successivamente, nella vanificazione di ogni pretesa di condizionare in maniera blandamente riformatrice la politica di Pio IX.
La sua abilità (e quella del prosegretario di Stato G. Antonelli) consistette principalmente nell'ottenere che la spedizione francese avesse luogo senza che si stabilissero ipoteche di sorta per un Papato che si voleva riportare precipitosamente al passato; alla fine l'Antonelli e il F. riuscirono anche a ottenere che le truppe francesi restassero a Roma a protezione del papa re: un capolavoro di sagacia diplomatica ma anche di miopia politica, il cui effetto era quello di costringere lo Stato pontificio alla pura sopravvivenza. Molto comoda nella prospettiva del presente immediato, la soluzione di una "restaurazione reazionaria ed imperita" appariva asfittica se proiettata nel futuro in quanto non si approfittava della tutela delle potenze per compiere quel processo di modernizzazione che il turbine del 1848 aveva interrotto e ci si accontentava di avere attirato la Francia repubblicana nella trappola della difesa del Papato: di qui le frequenti arrabbiature del ministro degli Esteri Ch.-A. de Tocqueville negli incontri con il F. e le repliche quasi arroganti di questo navigatissimo nunzio che riversava nei due dispacci del 30 agosto e del 9 sett. 1849 la summa della sua dottrina diplomatica e il senso d'una battaglia vinta sfiancando l'alleato di Parigi con il sistematico rigetto di ogni richiesta di concessione per la popolazione romana o per i protagonisti della rivoluzione. Coerentemente con la parte assunta, il F. si acconciava ad una politica dai risvolti anche polizieschi, di denuncia e sorveglianza di elementi pericolosi e di ostracismo ai presunti sostenitori e fiancheggiatori del "partito nemico dell'ordine".
Quasi simbolicamente la nunziatura del F. terminò dopo il ritorno del papa da Gaeta a Roma (12 apr. 1850). Pio IX, che l'aveva riservato in pectore nel concistoro del 21 dic. 1846, lo dichiarò cardinale in quello del 30 sett. 1850, premiando il peso da lui avuto quale "promotore instancabile della politica centralizzatrice della Curia" (Martina, Pio IX, I, p. 519). Da molti anni malato ai reni, il F. spese le ultime energie come prefetto della congregazione degli Studi (dal 7 genn. 1851), occupandosi in particolare dell'università di Roma, per la quale dispose l'ingrandimento dell'osservatorio astronomico e il miglioramento delle sue dotazioni.
La sua esperienza di canonista e teologo si rivelò ancora preziosa nella presidenza della congregazione di studiosi incaricata di seguire i lavori preparatori del testo del dogma dell'Immacolata Concezione. Era intenzione di Pio IX che a questo documento se ne accompagnasse un altro di condanna degli errori moderni: fu così che il F. avviò anche le consultazioni per la compilazione di quello che sarebbe stato il Sillabo, interpellando con un questionario vari personaggi e, tra essi, alcuni degli esponenti del più rigido conservatorismo cattolico (come lo spagnolo J. Donoso Cortés e il francese L. Veuillot), dai quali ebbe risposte molto pessimistiche sul nesso tra il diffondersi delle moderne eresie sociali e il processo di secolarizzazione dell'Europa occidentale.
La morte lo colse a Roma il 15 giugno 1854, mentre stava tirando le prime fila di questo lavoro e pochi mesi prima della proclamazione del dogma dell'Immacolata. La salma, dopo essere stata esposta nella chiesa di S. Maria in Vallicella, fu tumulata il 19 giugno nella basilica di S. Maria sopra Minerva, di cui il F. era titolare dal 10 apr. 1851.
Fonti e Bibl.: Una biografia del F., sintetica ma informata e ricca di spunti interpretativi, è quella compilata da G. Martina per il Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XVII, Paris 1971, coll. 1095-1107 (con bibliografia). Fonti documentarie tratte dall'Arch. segr. Vaticano sono pubblicate in A. Simon, Lettres de F. (1838-1842), in Bull. de l'Institut hist. belge à Rome, XXIX (1955), pp. 33-68, e Id., Correspondance du nonce F. 1838-1843, Bruxelles-Rome 1956; Relaz. dipl. tra lo Stato pontif. e la Francia 1848-1860, I-II, a cura di M. Fatica, Roma 1971-72, ad Indicem. Altri documenti che illustrano anche indirettamente l'azione del F. sono quelli di cui si serve A. Simon per i lavori: Documents relatifs à la nonciature de Bruxelles (1834-1838), Bruxelles-Rome 1959, ad Indicem; Lettres de Pecci (1843-1846), ibid. 1959, ad Indicem; Instructions aux nonces de Bruxelles (1835-1889), ibid. 1961, ad Indicem; lo stesso autore ha poi approfondito l'analisi dell'attività diplomatica del F. in Belgio prima nell'ambito di un'opera assai ampia, Lecard. Sterckx et son temps, I-II, Wetteren 1950, ad Indicem, poi in La nonciature F. à Bruxelles, in Revue d'hist. ecclés., XLIX (1954), pp. 462-516, 807-834; in precedenza tale attività era stata vista nel contesto della politica pontificia da Id., Grégoire XVI, la Belgique, la Hollande et le Grand-Duché du Luxembourg, in Gregorio XVI. Misc. commemorativa, Roma 1948, II, pp. 407-413; L.M. Manzini, Ilcard. L. Lambruschini, Città del Vaticano 1960, ad Indicem, e G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, e (1851-1866), ibid. 1986, ad Indices. Sulla missione parigina: J.P. Martin, La nonciature de Paris et les affaires ecclés. de France sous le règne de Louis Philippe (1830-1848), Paris 1949, pp. 271-327, 331-335; E. Piscitelli, Stato e Chiesa sotto la monarchia di luglio, Roma 1950, ad Indicem; P. Droulers, La nonciature de Paris et les troubles sociaux-politiques sous la monarchie de juillet, in Saggi stor. intorno al papato, Roma 1959, pp. 444-463. Notizie e testimonianze di contemporanei in G. Massari, V. Gioberti. Ricordi biogr., Torino 1860-1862, II, pp. 183-200, 215 s., 241 s., 307, 415 s.; G. Moroni, Diz. d'erudiz. stor.-eccl., ad Indicem; A. Manno, L'opinione religiosa e conservatrice in Italia dal 1830 al 1850, Torino 1910, p. 44; Protocollo dellaGiovine Italia. Congrega centr. di Francia, III-VI, Imola 1918-22, ad Indicem; Carteggi di V. Gioberti, I, IV, VI, a cura di V. Cian - A. Colombo - L. Madaro, Roma 1935-1938, ad Indicem; V. Gioberti, Epistolario, a cura di G. Gentile - A. Balsamo Crivelli, III-VII, Firenze 1927-1937, ad Indicem; J.A. von Hübner, Nove anni di ricordi di un ambasciatore austriaco a Parigi…, Milano 1944, ad Indicem; J. Donoso Cortés, Lettres au card. F., Lausanne 1909. Taluni momenti della vita del F. sono esaminati o richiamati da A. Luzio, Mons. F. e V. Gioberti, in Atti della R. Accad. di scienze di Torino, LIX (1924), pp. 465-478; G. Martina, Osservazioni sulle varie redaz. del Sillabo, in Chiesa e Stato nell'Ottocento. Misc. in onore di P. Pirri, Padova 1962, pp. 428-439; Id., Nuovi docc. sulla genesi del Sillabo, in Arch. hist. pontificiae, VI (1968), p. 321; A. Piolanti, L'Accad. di relig. cattolica. Profilo della sua storia…, Città del Vaticano 1977, adIndicem; G. Falconi, Il giovane Mastai…, Milano 1981, ad Indicem. I dati sulla carriera ecclesiastica del F. in R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VII, Patavii 1978, ad Indicem; C. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, I-II, Stuttgart 1978, ad Indicem.