DORIA, Raffaele
Nacque a Genova alla fine del sec. XIII da Corrado; dal padre, che era stato capitano del Popolo, ereditò il titolo di ammiraglio del Regno di Sicilia (1323) e la signoria su Sanremo e Ceriana.
La sua giovinezza fu attraversata dalle crescenti difficoltà che la famiglia incontrò a Genova, dopo la clamorosa scelta di campo compiuta da Corrado a favore di Federico d'Aragona. Saliti al potere i guelfi, appoggiati da Roberto d'Angiò, il D. dovette conoscere l'esilio, trovando ospitalità non disinteressata, come molti altri membri della famiglia, a Savona, da tempo animata da sentimenti ostili al dominio genovese sulla Riviera. Gli "extrinseci" ghibellini godettero anche dell'aiuto, non soltanto politico, di Federico, re di Trinacria; quando si profilò la possibilità di un accordo tra l'Aragona e re Roberto, nel 1323, il D., diventato proprio in quest'anno ammiraglio di Sicilia, accompagnò il maresciallo Gerardo Spinola nell'isola, per chiedere aiuti. Notevoli erano, infatti, i timori che una intesa tra le parti in lotta abbandonasse al loro destino i ghibellini genovesi, alle prese con gravi difficoltà economiche.
Federico non poté, tuttavia, promettere il denaro ed i rifornimenti che i due ambasciatori gli chiesero. Nel giugno scrisse al fratello Giacomo II d'Aragona, per invitarlo a collaborare con gli "extrinseci" genovesi, disposti a consegnargli la città, se li avesse aiutati; Giacomo era comunque sollecitato a trattare una tregua con l'Angiò, per permettere agli esuli ghibellini di riprendersi. La richiesta, tuttavia, cadde nel vuoto, perché il re aragonese, impegnato nella conquista della Sardegna, non intese farsi coinvolgere in altre azioni. 1 ghibellini furono costretti a rivolgersi al papa Giovanni XXII, perché si adoperasse a favore di un accordo con i guelfi al potere a Genova; le trattative si svolsero ad Avignone, ma vennero interrotte quando fu chiaro che Roberto d'Angiò intendeva approfittarne per staccare gli Spinola dai Doria. L'anno seguente (1324), forte del prestigio derivatogli dalla sua carica di ammiraglio, insieme con altri membri della famiglia il D. intervenne presso Giacomo II a favore di Brancaleone e Vinciguerra Doria, dichiarati ribelli in Sardegna e condannati a morte dal governatore aragonese.
Sceso in Italia Ludovico il Bavaro, il D. salpò da Savona con le sue navi, per unirsi alla flotta siciliana comandata da Pietro, figlio di re Federico, che aveva il compito di appoggiare le truppe imperiali per un attacco comune al Regno napoletano. Verso la metà di luglio del 1328 le navi ghibelline giunsero a Milazzo; tuttavia, i preparativi per la campagna militare andarono per le lunghe, tanto che solo il 6 agosto la flotta parti per le acque napoletane. L'imperatore, però, ormai sfiduciato, aveva abbandonato Roma due giorni prima, rinunciando all'idea di un attacco al territorio nemico. La flotta siciliana si limitò a compiere azioni di saccheggio lungo le coste, colpendo Ischia e compiendo raids a Montecircello e Nettuno; qui Pietro fu informato che Ludovico aveva abbandonato il progetto e stava risalendo verso il Nord. Il D. dovette accompagnare Pietro anche nelle tappe successive della sua rotta, che lo portò a Corneto (dove avvenne un colloquio burrascoso con l'imperatore), ad Orbetello (occupata dalla flotta ghibellina) e a Pisa, dove il 21 settembre ci fu un ultimo incontro tra Pietro e l'imperatore. Quando Pietro decise il ritorno in patria, probabilmente il D. lasciò la flotta siciliana per Savona.
Nel 1334 il D. è segnalato nella Riviera di Ponente, dove assistette, insieme con Accellino e Cassano Doria, altri consignori di Sanremo e Ceriana, al giuramento di fedeltà prestato dai suoi sudditi. Nel frattempo la situazione politica e militare maturò a favore degli esuli ghibellini che, alla fine di febbraio del 1335, si impadronirono di Genova con un colpo di mano. Il 9 marzo, in assemblea pubblica, il D. e Galeotto Spinola di Luccoli furono proclamati per due anni capitani della città; veniva cosi resuscitata quell'alleanza tra le due famiglie, che aveva improntato di sé l'apogeo genovese alla fine del secolo tredicesimo. In realtà, le condizioni erano ormai assai diverse: il nuovo governo era indebolito dalle gravi difficoltà finanziarie in cui si dibattevano le casse della Repubblica, dalla delicata congiuntura internazionale e dalla forte opposizione esterna dei guelfi, guidati dai Fieschi.
All'inizio, tuttavia, la situazione fu favorevole ai due capitani che, nell'aprile, riuscirono ad occupare i castelli di Moneglia e di Portovenere; inoltre fu armata una flotta, affidata al figlio di Odoardo.Doria, per dare la caccia alle navi catalane. L'anno seguente vennero portate a termine le trattative con Pietro d'Aragona per concordare una tregua, che fu poi trasformata in pace nel settembre, grazie alla mediazione di Benedetto XII. Scaduto il mandato dei capitani, il 25 marzo 1337 in pubblico Parlamento fu deciso di prorogarne la carica fino alla festa dei Ss. Simone e Giuda (28 ottobre; data del colpo di Stato che aveva portato al potere nel 1270 la diarchia Doria-Spinola) e poi per altri tre anni. Tuttavia il regime non arrivò alla fine del mandato: l'endemica lotta nell'oligarchia al potere ed il maldestro tentativo di dar vita ad una politica interna forte (i capitani avocarono a sé il diritto di nominare l'abate del Popolo, elezione tradizionalmente riservata alla borghesia organizzata nel populus; provvidero poi ad eliminare la carica di podestà e decisero una imposta sul sale destinata a suscitare il malcontento nella cittadinanza) provocarono un grave stato di tensione. La miccia della rivolta fu innescata nel 1339 da un ennesimo episodio di cattivo governo oligarchico, di cui fu responsabile il più celebre corsaro genovese, Aitone Doria.
Egli si trovava con la sua flotta nelle acque fiamminghe al soldo del re di Francia; l'ammutinamento, scoppiato tra le sue ciurme per la mancata corresponsione della paga pattuita, fu represso dalla monarchia francese; tuttavia alcuni marinai, fuggiti dalla flotta, giunsero nella Riviera ligure con la notizia dell'episodio, La reazione popolare fu immediata: a Savona e nel suburbio occidentale genovese i rappresentanti dei rivoltosi decisero di organizzare una prova di forza contro i capitani. Il governo genovese reagi, inviando Odoardo Doria a sconsigliare questa iniziativa. Tuttavia a Savona i marinai non accettarono intese di sorta e, aiutati dagli artigiani, costrinsero il Doria a rifugiarsi nella torre del palazzo comunale, dove egli fu catturato. Il moto insurrezionale continuò inarrestabile: venne occupata Quiliano (territorio della famiglia Doria), mentre a Savona fu proclamato il governo democratico.
Questi avvenimenti ebbero decisive ripercussioni anche a Genova: qui il populus si sollevò, ottenendo immediatamente che gli venisse restituita la elezione del suo rappresentante ufficiale, l'abate; tale concessione, tuttavia, non fermò la rivolta, che portò il 23 sett. 1339 alla proclamazione a doge perpetuo di Simone Boccanegra. Il D., come il suo collega Spinola, fu costretto alla fuga e trovò rifugio a Loano.
Non abbiamo altre notizie sul D. che mori prima del 1341: in un documento del 27 marzo di tale anno, Ginevra, vedova di Dorino, fratello del D., stabili un lascito a favore della Compagnia dei disciplinati di Genova, anche a nome degli eredi dei Doria. Nel 1351 Argentina, figlia di Francesco, marchese di Clavesana, e vedova del D., vendette la parte a lei spettante (tolto ciò che competeva ad Ottobono e Corrado, suoi figli) su Sanremo al doge di Genova Giovanni Da Valente. Secondo il Battilana, il D. ebbe cinque figli: Ottobono, Corrado, Francesca, Gianella e Bianca.
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