DELLA TORRE, Raffaele
Nacque a Genova da Vincenzo figlio dell'uomo politico, giurista e storico Raffaele, nel 1646. Educato alla corte di Firenze dove era stato mandato in qualità di paggio, ritornò a Genova intorno ai vent'anni. Viaggiò per qualche tempo in Italia conducendo una vita sregolata e dispendiosa, anche dopo il matrimonio, intorno ai venticinque anni, con una ricca gentildonna genovese. Ridotto in miseria, compì alcune rapine, in una delle quali uccise un uomo. Per questi reati rimase impunito avvalendosi del buon nome della famiglia e degli intrighi di alcuni avvocati. Nell'estate del 1671 assalì con alcuni compagni una feluca che trasportava oro da Genova a Livorno. Immediatamente sospettato, abbandonò soci e bottino rifugiandosi in Provenza e in Linguadoca. Riconosciuto colpevole, fu condannato a morte in contumacia e alla confisca dei beni.
Ricevuta la notizia della condanna, si diresse a Finale e poi ad Oneglia, avamposto piemontese in Liguria. Qui il D. prese i primi contatti con le autorità sabaude, culminati in un incontro a Torino con lo stesso Carlo Emanuele II, al quale il 22 febbr. 1672 sottopose un suo progetto per provocare una rivolta e un cambiamento di regime in Genova.
La proposta del D. coglieva la corte sabauda, decisa a darsi uno sbocco al mare, ormai sul piede di guerra contro Genova. Di qui l'interesse del duca per il D., accolto a Torino come un esule politico e premiato con il grado di capitano di uno squadrone di corazzieri. Gli incontri del D. con i ministri sabaudi per definire gli aspetti politici e militari dell'impresa durarono da febbraio a giugno. Per evitare complicazioni internazionali il governo sabaudo si impegnava a finanziare segretamente il complotto, riservandosi di intervenire militarmente a Genova solo quando gli insorti capeggiati dal D. si fossero impadroniti della città e avessero richiesto tale intervento. In cambio il D. prometteva la cessione di Savona al Ducato. Da parte sua il D. contava di sfruttare le tensioni che attraversavano il tessuto sociale della città, soprattutto gli aspri contrasti tra la nobiltà, detentrice del potere politico, e i mercanti ricchi che aspiravano al titolo nobiliare attraverso le ascrizioni annuali che i nobili cercavano di evitare; il D. vedeva nei mercanti gli alleati più sicuri. Il nuovo Consiglio rivoluzionario era pensato come il coacervo di tutti gli insoddisfatti; avrebbe incluso una parte dei nobili (il D. intendeva escludere le famiglie più potenti e quelle che gli erano state avverse ' i mercanti ricchi e i capi delle arti, i rappresentanti delle città più ricche della Riviera, cui sarebbero stati ridotti i tributi. -Inoltre, per accattivarsi il popolo, sarebbero state abolite le tasse sul pane, sul vino e sull'olio. Di fatto il D. dimostrava di non avere il concreto appoggio di questi strati sociali. La rivolta infatti sarebbe stata introdotta dall'esterno con l'aiuto di truppe mercenarie reclutate nel Parmigiano e nel Monferrato. Questo esercito, occupate le porte, entrato nella città, avrebbe dovuto contare sull'insurrezione spontanea del popolo minuto. Si era anche pensato di assalire le carceri per liberare i delinquenti comuni e gli oppositori politici. L'aiuto militare e politico di alcuni mercanti ricchi sembrava garantito dal conte Soardo, luogotenente del D., che però realisticamente osservava che anche col loro intervento non si sarebbe potuto tenere la città per più di trenta ore. La riuscita della congiura era dunque legata più all'intervento straniero che alla forza e alla volontà insurrezionale del popolo genovese.
Si stabilì che il giorno dell'attacco sarebbe stato il 24 giugno 1672. Nel frattempo il D, e il Soardo trasferirono come garanzia le loro mogli a Torino. In aprile il D. prese contatti a Finale con altri congiurati: un tal Prasca, espulso da Genova per reati comuni, commerciante, C. Ghiloni. fuggito da Genova per delitto, G. D'Arrigo, scalpellino, S. Ricciardito, G. Torriglia, G. B. Micone, GA. Calaiano, A. Camerino, una famiglia sua omonima di mercanti di, Chiavari, infine Angelo Maria Vico, mercante alle Mallere, descritto come un uomo spregiudicato e potente che avrebbe avuto il compito di raccogliere l'esercito mercenario.
L'impresa fallì per il tradimento del Vico che il 23 giugno svelò il piano al governatore di Mallere, G. B. Cattaneo. Il Senato reagì prontamente mandando rinforzi a Savona e arrestando i complici del D. a Genova. L'esercito sabaudo, che aveva iniziato l'offensiva su Savona, dovette rinunziarvi, proseguendo peraltro la guerra, che si concluse soltanto nel 1673, con la mediazione di Luigi XIV. Il D. era riuscito a fuggire da Genova. Fu messa una grossa taglia sulla sua testa, gli furono confiscati i beni, demoliti gli stabili di sua proprietà e al loro posto fu innalzata una colonna infame. I parenti furono esclusi dal Senato, i figli proscritti, la madre addoloratissima entrò in convento. Il D. tornò a Torino attraverso il Monferrato; durante il viaggio bruciò i documenti che teneva con sé. Il duca inizialmente lo accolse con benevolenza, gli attribuì una rendita vitalizia e lo tenne a corte. Ma non gradì una nuova proposta del D., il quale chiedeva che si armassero due vascelli per assaltare alcune navi della marina mercantile genovese. Il duca gli negò l'aiuto e da allora gli interdisse l'accesso alla corte.
Il D. cominciò a dedicarsi alla magia nera, all'astrologia e all'occultismo, diventando seguace di un mago ungherese da cui fu truffato e derubato. Si ritirò quindi in Val d'Aosta, dove conobbe un fabbro inglese che gli insegnò l'uso degli esplosivi. Costruì una cassetta che esplodeva automaticamente una volta aperta e la spedì al traditore Vico che nello scoppio perse un braccio. Il D. rivendicò pubblicamente l'attentato e ritentò lo stratagemma con una cassa più grossa che spedì al Senato; i doganieri insospettiti la esaminarono e la disinnescarono. Alla morte del duca nel 1675, gli fu anticipato il vitalizio e fu cacciato dal Piemonte. Andò in Francia, dove si offrì come spia a Luigi XIV, ma non fu accettato. Qualche tempo dopo era in Alsazia con le truppe del maresciallo Créquy. Successivamente si trasferì ad Amsterdam, dove frequentò gli ambienti più ricchi e riuscì ad ottenere la cittadinanza: organizzava spettacoli di musica italiana e grandi banchetti con cibi esotici, ma ben presto rimase senza denaro, perdendo anche le alte protezioni di cui godeva. Tentò di tornare in Francia ma durante il viaggio gli morì la moglie; si recò allora a Venezia. Qui nella primavera del 1681 fu ucciso da uno sconosciuto durante il carnevale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova Archivio segreto 2992-2997 (atti del processo); G. P. Marana, La congiura di R. D. con le mosse della Savoia contro la Repubblica di Genova, Lione 1682; A. Olivieri, Carte e cronache manoscritte per la storia genovese, Genova 1855, repertori nn. 35 s., 75, 94, 106 ss.; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, VI, Genova 1799, pp. 140-153; G. B. Spotorno, Storia letter. della Liguria, III, Genova 1825, pp. 66 s.; C. Botta, Storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1789, VI, Parigi 1832, pp. 137 s s.; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova dalle sue origini al 1814, VII, Genova 1837, pp. 10-26, 103-109; E. Vincens, Histoire de la Rèpublique de Gênes, III, Paris 1842, pp. 191 ss.; G. Claretta, Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, duca di Savoia, I, Genova 1877, pp. 623-699; III, ibid. 1879, pp. 209-256; G. De Maria, Carlo Emanuele II e la congiura di R. D., Novara 1892; C. Salvi, Carlo Emanuele II e la guerra contro Genova dell'anno 1672, Roma 1933, passim; V. Vitale, Congiure del Rinascimento e congiure genovesi, in Bollettino ligustico per la storia e la cultura regionale, III (1955), pp. 99-103; Id., Breviario della storia di Genova, Genova 1955, 1, pp. 278-290; II, pp. 111-117, 135 s.; M. Nicora, La nobiltà genovese, in Miscell. di storia ligure, II (1961), pp. 219 ss.