DE FORNARI, Raffaele
Figlio di Nicolò e fratello di Gabriele, nacque a Genova nella seconda metà del secolo XV. Dal padre ereditò sia una solida e sviluppata attività commerciale in tutto il bacino del Mediterraneo, sia il ruolo di assoluta preminenza nel gruppo dei "populares".
Sull'attività economica del D. sappiamo che frequenti furono i suoi rapporti con Chio, controllata da una società privata, la Maona. Nel 1488 doveva trovarsi nell'isola, forse in qualità di appaltatore della gabella del sapone; infatti, a lui e ad altri genovesi i commissari inviati nell'isola dalla Repubblica, Antonio Rivarola e Lodisio Fieschi, affidarono il compito di affiancare il podestà di Chio, Leonardo Maruffo, nell'opera di controllo sulla riscossione delle imposte che erano state cedute dalla Maona, in gravi difficoltà economiche, al governo metropolitano. Della situazione dell'isola il D. si occupò anche a Genova, quando fu, nel 1492 e nel 1501, membro dell'ufficio incaricato di seguirne le vicende e venendo proposto a diventarne podestà nel 1494 e nel 1496. Attivi furono altresì i suoi rapporti col mercato francese, in particolare con Lione, sede di importanti fiere commerciali. Gli affari del D. si concentrarono soprattutto sul traffico di drappi di seta; sappiamo anche che la ditta da lui formata con Andrea Cesaro e Stefano Giustiniani aveva una filiale a Milano. La posizione di particolare rilievo rivestita dal D. nella vita economica cittadina, oltreché in quella politica, è testimoniata dal fatto che egli fu chiamato numerose volte a partecipare al Consiglio della Casa di S. Giorgio (1491, 1495, 1497, 1501, 1509, 1513, 1515, 1523). Anche nel governo della Repubblica rivestì cariche di notevole importanza: nel 1484 fu elettore, nel 1493 anziano, due anni dopo membro dell'ufficio di S. Giorgio, nel 1497 ufficiale di Sicurtà, nel 1500 ancora elettore, ufficiale di Balia e membro dell'officium Monete, nel 1506 nuovamente membro dell'ufficio di S. Giorgio e dell'ufficio di Balia.
Contemporaneamente gli furono affidate missioni diplomatiche: nel 1496 secondo il Federici fu incaricato di incontrare l'imperatore Massimiliano; tre anni dopo, fece parte della solenne ambasceria formata da 24 tra i più autorevoli cittadini, inviati al re di Francia Luigi XII per chiedere la sua protezione su Genova.
La partecipazione del D. all'ambasceria non è del tutto certa: nell'edizione muratoriana dei Commentaria di Bartolomeo Senarega manca il nome dell'ultimo ambasciatore; in alcuni codici appare il nome di Lazzaro Fattinanti, mentre in altre due liste di oratori, utilizzate dal Belgrano e dal Pélissier, compare il De Fornari. La delegazione genovese, eletta il 20 settembre, giunse una settimana dopo a Pavia e, il 5 ottobre, partì per Milano, dove assistette al solenne ingresso del re di Francia, avvenuto il giorno dopo. Le trattative furono assai delicate, perché il Consiglio regio non intese accettare tutte le richieste avanzate dal governo genovese (conferma dei privilegi già concessi dal duca di Milano alla città; pressioni per un intervento francese affinché Pietrasanta fosse restituita dal governo fiorentino al Banco di S. Giorgio ecc.). Sempre in questo anno, come rappresentante degli Anziani della città, fu chiamato a partecipare ad una magistratura straordinaria incaricata di punire con multe pecuniarie gli artigiani dell'arte della seta allontanatisi dalla città in violazione degli statuti.
Di grande peso fu il ruolo giocato dal D. negli avvenimenti tumultuosi del 1506-1507. Decisi a vedere attuate le richieste di una nuova distribuzione delle cariche pubbliche, i "populares" non esitarono a far sollevare la città, tranquillizzando nel contempo il governatore francese sulla natura prettamente interna della sommossa; in questa prima fase, essi videro ben presto accolte le loro richieste. Il 7 sett. 1506, nel Gran Consiglio convocato in via straordinaria nella chiesa di S. Maria di Castello, il D. prese per primo la parola e avanzò la proposta che venissero confermate in blocco le decisioni prese dal vecchio ufficio di Balia e che venisse sancita l'elezione del nuovo ufficio secondo le norme accettate dal governatore francese e sostanzialmente favorevoli ai "populares".
I ricchi mercanti non avevano esitato a usare come massa di pressione il popolo minuto (le cosiddette "cappette") contro i nobili, costringendo il loro più autorevole rappresentante, Gian Luigi Fieschi, ad allontanarsi dalla città; tuttavia, il popolo minuto finì per sfuggire di mano ai "populares", imponendo un corso sempre più radicale alla sommossa, tanto da impensierire le stesse autorità francesi.
Cominciò così il progressivo allontanamento dei ricchi mercanti dal nuovo governo; ancora nel gennaio 1507 il D. venne chiamato a far parte di un comitato composto da quattro cittadini con pieni poteri e incaricati, tra l'altro, di reperire i fondi necessari per la guerra in corso contro Monaco; tuttavia, un mese dopo, tale commissione fu abrogata. Il 17 febbraio, di fronte agli eccessi della plebe, artigiani e mercanti tentarono di riprendere il controllo della situazione, nominando alcuni loro rappresentanti (il D. fu scelto dai mercanti) per trattare col popolo minuto. Anche questo intervento fallì, tanto che il 28 marzo si giunse alla dichiarazione di guerra alla Francia. Negli avvenimenti successivi, il D. preferì restare in disparte e cercò, come altri mercanti, di dissociare le proprie responsabilità di fronte alla reazione di Luigi XII, che non esitò a dichiarare ribelli i Genovesi.
Fallita disastrosamente l'impresa contro Monaco, fu facile per le truppe francesi riprendere il controllo della città. Il 27 aprile il D. fece parte della ambasceria incaricata di ottenere un colloquio col re; gli oratori genovesi, tuttavia, non vennero ricevuti ed ebbero soltanto udienza a Campi, presso Genova, dal cardinale Giorgio d'Amboise e dal signore di Chaumont: la città fu costretta ad arrendersi a discrezione.
Una volta ristabilito l'ordine ai danni della plebe, si preferì non aprire altre ferite nel tessuto sociale della città; pertanto, benché il D. fosse implicato nella sommossa, egli fu chiamato a rivestire altre importanti cariche, in un momento in cui si faceva sentire la vendetta francese, concretizzatasi soprattutto in una esorbitante richiesta di danaro. Il 1°maggio egli ebbe con altri il compito di trovare i 30.000 scudi richiesti dal re per licenziare gli Svizzeri da lui arruolati; per racimolarli, fu necessario imporre ai cittadini più facoltosi una tassa straordinaria. Come ex membro dell'ufficio di S. Giorgio egli fu altresì incaricato di partecipare alle trattative per la stesura di un contratto tra le Compere di S. Giorgio e l'ufficio di Balia, concernente il prestito alla Repubblica di 200.000 scudi, da versare come ammenda al re di Francia; in garanzia, il governo genovese cedette alla Casa di S. Giorgio l'imposta sul grano. Il D. venne anche chiamato a far parte del nuovo ufficio di Balia, benché esso fosse controllato dai "nobiles".
Alla fine di giugno, insieme con Antonio Grimaldi venne inviato a Savona presso Luigi XII per ottenere una diminuzione del pesante tributo imposto a Genova e per chiedere il permesso di battere scudi; inoltre, l'intervento dei due rappresentanti genovesi poté risultare utile per impedire che Savona strappasse al re di Francia sostanziali concessioni. L'anno seguente, egli divenne ufficiale dei Banchi e fu proposto nuovamente come podestà di Chio; nel 1509 venne eletto membro dell'officium Monete; tre anni dopo, trovandosi la Repubblica in gravi difficoltà finanziarie, egli fu incaricato di studiare le iniziative più adatte per reperire nuove entrate; nel 1514 fu procuratore del Comune; nel 1517 divenne ufficiale delle Monache ed è ricordato anche come collettore delle imposte sui cambi; nel 1520 divenne anziano della Repubblica. Nel 1525 fu elettore e prese parte ai colloqui che avrebbero dovuto portare una riconciliazione tra i due gruppi sociali dei "populares" e dei "nobiles"; sempre in quell'anno, fu membro dell'ufficio incaricato di seguire le vicende di Savona, incarico da lui rivestito anche nel 1526. L'anno seguente, fu ufficiale di Balia: notevole dovette essere il suo apporto a quel progetto di nuovo assetto istituzionale che maturò nel 1528 col passaggio di Genova dal campo francese a quello spagnolo.
L'"unione" sancì il ruolo di preminenza raggiunto dalla sua famiglia nella società cittadina, dato che ad essa venne riconosciuto il diritto a dar vita ad uno dei 28 "alberghi" in cui fu diviso lo strato sociale chiamato a dirigere la Repubblica. Sempre nel 1528 egli divenne anziano; non abbiamo altre sue notizie dopo questo anno. Morì prima del 1532. Il D. ebbe quattro figli: Giovanni Battista, Tommaso, Domenico e Agostino.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. storico del Comune, ms. n. 223: G. Pallavicino, Consigli della Casa di San Giorgio, cc. 186, 186v;Archivio di Stato di Genova, Collezione Longhi, ms. n. 480: Famiglie nobili, c. 129; Genova, Bibl. Franzoniana, F. Federici, Alberi genealogici delle famiglie di Genova (ms. sec. XVII), II, c. 87rv; A. Giustiniani, Castigatissimi Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, c. CCLXIIv; L.-G. Pélissier, Documents pour l'histoire de l'établissement de la domination française à Gênes (1498-1500), in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXIV (1894), pp. 460, 478, 542; B. Senaregae De rebus Genuensibus commentaria, in Rerum Italicarum Script., 2 ed., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, ad Indicem; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, I, Roma 1951, pp. 29, 33; L. T. Belgrano, Della dedizione dei Genovesi a Luigi XII… in Miscell. di storia italiana, I (1862), p. 594; E. Pandiani, Un anno di storia genovese (giugno 1506-1507), in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVII (1905), pp. 41, 267, 273, 366, 385, 398, 401 s., 531, 534, 551; I. Scovazzi-F. Noberasco, Storia di Savona, III, Savona 1928, p. 44; P. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their admin. ..., Cambridge 1958, I, pp. 257 s.; II, pp. 360 s.; D. Gioffrè, Gênes et les foires de change. De Lyon à Besançon, Paris 1960, ad Indicem; G. Guelli Camajani, Il "Liber Nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 213; P. Massa, L'arte genovese della seta nella normativa del XV e XVI sec., in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., X (1970), p. 190.