DE FERRARI, Raffaele
Nacque a Genova il 20 luglio 1732 da Gerolamo e da Isabella Adorno di Baldassare.
Ebbe due fratelli: Bianca, di lui maggiore, e Baldassare, nato il 6 marzo 1734. Il padre del D., nato nel 1700, fu più volte senatore (nel 1743, 1748, 1753) e, per un fidecommisso di Gerolamo Rodino, senatore di Diano nel 1743, assunse anche il cognome Rodino, che trasmise ai discendenti. Lo zio paterno del D., Gio. Batta, fu nel 1745 commissario di guerra, con l'incarico di intendente generale per le paghe, nell'armata dì 10.000 fanti che Genova fornì agli alleati franco-ispani contro gli Austro-sardi in Lombardia.Della formazione politica e culturale del D. non si hanno notizie. Secondo la prassi abituale per i giovani nobili, venne ascritto al Libro d'oro col fratello Baldassare il 6 dic. 1754. Per vent'anni non sembra aver assunto cariche nella vita politica; poi, dal 1774, anno in cui viene eletto senatore, ha inizio un periodo di costante partecipazione, che culminerà nel dogato. Eletto tra i Padri del Comune dal 1776 al 1780, addetto alla giunta di Marina e ai Confini nel 1780, sindacatore della Ruota civile nel 1783 (carica da cui dovette dimettersi l'anno dopo per una causa che lo riguardava e che doveva essere discussa in quel tribunale); tra i Protettori delle compere di S. Giorgio nel 1786. La sua elezione a doge, il 4 luglio 1787, riuscì inaspettata, anche se ottenuta, nello scrutinio decisivo, con larga maggioranza (227 voti su 321).
Gli altri candidati erano Giacomo Filippo Carega, Gio. Lanfranco De Franchi, Gio. Francesco Scaglia, Giuseppe De Franchi e Ippolito Invrea. Una interpretazione malevola (Gaggiero, p. 48) attribuisce l'elezione del D. non tanto ai meriti politici o ad un patrimonio particolarmente consistente, quanto alla renitenza, da parte di candidati più meritevoli ed influenti, ad assumere una tale responsabilità in quella particolare congiuntura storica. I festeggiamenti forse più convinti si tennero a Voltaggio, dove il D. aveva vasti possedimenti, e a Genova presso l'oratorio di S. Maria del Gonfalone, di cui il D. era protettore. L'incoronazione dogale avvenne in Palazzo il 24 nov. 1787; il giorno dopo in S. Lorenzo, nella cerimonia pontificata dall'arcivescovo, tenne l'orazione don Paolo Maggiolo (poi vescovo d'Albenga): anche tra le righe del suo discorso, nella assoluta genericità delle lodi, si legge un giudizio di inconsistenza politica del De Ferrari. Tra le raccolte poetiche celebrative della sua elezione, Carlo Raffaele Molinari lo cantò nella ligustica Accademia di Arcadia con lo pseudonimo di Filovero. Altre poetiche celebrazioni di maniera il suo dogato conobbe grazie ad un celebratissimo episodio della guerra corsara avvenuto l'11 ag. 1788: la cattura di uno sciabecco algerino e dei suo equipaggio da parte delle galee "S. Giorgio" e "Raggia" nelle acque di Bordighera.
Scaduto il mandato, il 4 luglio 1789 il D. fu il primo doge ad osservare le nuove norme del cerimoniale dell'uscita di carica, che i Collegi avevano emanato il 31 ag. 1787. Il 13 luglio il D. si presentò ai Supremi Sindacatori per il giudizio previsto dalla costituzione della Repubblica; dopo l'esito favorevole, come ex doge entrò di diritto tra i Procuratori a vita. Fino alla caduta della Repubblica aristocratica, alternò cariche di membro della giunta della Marina e diquella dei Confini, che acquistavano crescente importanza nell'approssimarsi della bufera rivoluzionaria. E quando essa esplose anche a Genova, tra il maggio-giugno 1797, portando alla caduta del governo aristocratico e alla formazione del governo provvisorio, il D. subì multe, arresto e carcere.
Già il decreto del 25 ag. 1797 del governo provvisorio indicava il D. tra il centinaio di nobili del Minor Consiglio tra i quali, secondo una procedura giuridicamente assai discutibile, veniva suddiviso il rimborso di un "prestito" di 4 milioni di lire che nel 1794 Vincenzo Spinola, inviato a Parigi, aveva dovuto sottoscrivere coi governo rivoluzionario francese per ottenere il riconoscimento della sovranità della Repubblica sui territori di Oneglia e Loano. Poiché tale "prestito" era avvenuto dietro autorizzazione del Minor Consiglio, il governo provvisorio si rifaceva su di esso; anzi, evidentemente sulla metà (il Minor Consiglio era composto da circa 200 membri) più ostile ai Francesi e al nuovo corso politico. Le quote andavano da un massimo di 190.000 lire ad un minimo di 5.000, con una consistente fascia media di 40-50.000 lire: di quest'ultima cifra fu tassato il De Ferrari.
Qualche giorno dopo fu oggetto di un decreto ben più grave. Dopo la sommossa controrivoluzionaria del 4-5 settembre in Val Bisagno e in Valpolcevera, il governo provvisorio provvide all'arresto anche di una quarantina di nobili che vennero rinchiusi nell'antica sala del Consiglietto e strettamente sorvegliati: il D. fu tra loro. E mentre un successivo decreto di amnistia generale consentiva anche il rilascio della maggior parte di essi, il D. venne mantenuto agli arresti insieme ad altri undici (tra cui Nicolò De Mari, Cesare Doria, Giacomo, Filippo e Ippolito Durazzo), coll'imputazione di essere "creduti sempre nemici dell'attuale sistema e affezionati al suo antico governo". Morì il 17 genn. 1801 probabilmente a Genova.
Dal matrimonio con Settimia Spinola, celebrato in S. Sisto il 15 giugno 1763, ebbe tre figli: Andrea Gerolamo, nato il 9 luglio 1765; Agostino, il 16 ag. 1766, e Alessandro il 13 apr. 1772. Solo il primogenito si sposò e dal matrimonio con Lilla Pallavicini nacque il famoso omonimo del D., duca di Galliera. Il D. fu sepolto nella tomba gentilizia a S. Maria di Coronata, dove possedeva grandì poderi. Lasciò un vasto patrimonio, ereditato dal padre e dal fratello Baldassare.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Man. 496, c. 83; Genova, Civ. Bibl. Berio, Mss. mr. I, 5, 15: Series nobilium Serenissimae Rei Publicae, 1710, c. 55; Ibid., Mss. mr. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 154; Ibid., Lista dei Signori dei Grande e del Minore Consiglio dell'anno 1797, [Genova] s.d. [1797?]; G. Gaggiero, Compendio delle storie di Genova dall'anno 1777 al 1797, Genova 1851, p. 48; A. Clavarino, Annali della Repubblica ligure dal 1797 al 1805, Genova 1852, I, pp. 150, 170; L. Levati, I dogi di Genova dal 1771 al 1797, Genova 1913, pp. 46-49 (con bibliografla); L. Volpicella, I libri cerimoniali della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, XLIX (1921), pp. 411 s.