DE COSA, Raffaele
Nacque a Napoli il 24 maggio 1778, da Leopoldo e Carlotta Cozzolino in una famiglia baronale d'origine boema stabilita nel viceregno nel 1707 e naturalizzata nel periodo austriaco. Imbarcatosi giovanissimo come volontario, nel 1791 entrava nella Accademia di marina, e due anni dopo, con l'assedio di Tolone, iniziava a partecipare, prima come alfiere e poi come tenente di vascello, a molte di quelle azioni o di guerra contro la Francia o di sostegno alla flotta inglese che la marina napoletana portò avanti quasi ininterrottamente fino al 1806: oltre un decennio di utile apprendistato, che tra l'altro consenti al D. di conoscere le qualità tattiche e manovriere della marina britannica. Già distintosi in molte occasioni, per il valore dimostrato nel 1800 nell'assedio di Genova gli venne conferita la medaglia d'oro. Durante il decennio francese partecipò, dopo essere stato fermo un anno all'avvento di Giuseppe Bonaparte, alle azioni che la sparuta flotta napoletana compì contro gli Anglo-Siciliani, specialmente a quelle in difesa delle coste e delle isole del golfo di Napoli. Nel 1810 la nave da lui comandata, il brigantino "Sparviero", ebbe la peggio e il D. fu fatto prigioniero e condotto in Sicilia; dopo cinque mesi rientrava nel Regno, grazie ad uno scambio di prigionieri. Nel 1814 fu promosso capitano di fregata, e l'anno successivo appoggiò sull'Adriatico la campagna del Murat contro l'Austria.
Con il ritorno dei Borboni, per il D. (che aveva conservato il suo grado), come per tutta la marina del Regno, iniziava un lungo periodo quasi del tutto pacifico. Per tale motivo negli anni Venti egli ebbe molti incarichi non bellici e stette a lungo a terra: fu aiutante del ministro della Marina nel periodo costituzionale, e giudice della Corte marziale marittima per alcuni anni dal 1823. Tuttavia il D. partecipò anche alle due uniche azioni belliche della marina napoletana: la campagna siciliana del 1820, nella quale moriva senza discendenti il fratello maggiore Giuseppe, anch'egli ufficiale di marina, che lo lasciava erede del titolo di barone; l'azione condotta nel 1828 contro il bey di Tripoli che aveva denunciato il trattato di pace del 1816.
Il D., che l'anno precedente era stato promosso capitano di vascello, venne prima inviato a Tripoli per sondare la forza del nemico, e poi fece parte della flotta che nell'agosto 1828 cannoneggiò quel porto. Fu un'azione di nessuna incidenza, al punto che si parlò di "un frastuono di artiglieria senza effetti", nella quale però si distinse il D., respingendo due sortite dei Tripolini. Nel viaggio di ritorno dall'Africa si scontrò con le navi barbaresche nel mare di Sicilia e ne catturò una: era una severa lezione per il bey, che di Il a poco accettava di stipulare un nuovo trattato.
Nel ventennio successivo, continuando il periodo di pace, al D. furono affidati importanti incarichi diplomatici ed esplorativi, ed accompagnamenti del re o di membri della sua famiglia. In particolare nel 1834 operò una perlustrazione delle coste del Marocco, per conoscerne il potenziale bellico. Questo viaggio sarà alla base del trattato di pace stipulato con quel paese, per la cui piena realizzazione il D. negli anni successivi navigò più volte verso l'Africa. Nel 1843 gli fu affidato l'accompagnamento della principessa Maria Teresa, sorella del re, in Brasile, dove andava in sposa all'imperatore Pedro II: una missione di rilievo e uno dei viaggi più lunghi ed impegnativi compiuti dalla flotta napoletana di quel periodo e con esclusivamente navi a vapore.
Nel 1848 l'ormai vecchio D., che nel 1844 era stato promosso al grado di brigadiere, ebbe il comando della squadra napoletana inviata alla fine di aprile nell'Adriatico. Suo primo compito era il trasporto delle truppe del gen. G. Pepe, che furono prima sbarcate a Pescara e poi, dopo le proteste dei liberali, reimbarcate e portate fino ad Ancona. Da qui, secondo gli ordini del re, il D. doveva ritornare in patria. Egli però non obbedì e rimase in quel posto in attesa di ulteriori ordini; quindi, dopo che l'11 maggio era stato promosso retroammiraglio, interpretando favorevolmente alcuni dispacci giuntigli da Napoli ed accogliendo le richieste di aiuto dei Veneziani, il 16 successivo entrava a Venezia. L'arrivo della forte squadra napoletana - due fregate a vela, un brigantino, cinque corvette a vapore - valse a far cessare di fatto il blocco austriaco alla città. Qualche giorno dopo, con l'arrivo di otto navi sarde e l'aggiunta di quattro navi venete, veniva formata una forte flotta italiana, il cui punto di forza era appunto costituito dal moderno naviglio napoletano, di gran lunga superiore a quella nemica. La flotta austriaca però, dopo alcune irrilevanti avvisaglie, si rifugiava nel porto di Trieste, senza che nell'inseguimento le navi napoletane si impegnassero a fondo per fermarla. Deciso il blocco di quel porto da parte del retroammiraglio sardo Giuseppe Albini, il D. non vi partecipò attivamente, perché aveva ricevuto l'ordine tassativo di non attaccare il litorale austriaco. Il 13 giugno anzi, dopo l'arrivo di nuovi perentori ordini di tornare, il D. abbandonava le acque di Trieste, nonostante le pressioni degli alleati.
Giunto a Reggio Calabria gli pervenivano altri ordini, che ancor più contrastavano con i suoi sentimenti liberal-moderati e allo stesso tempo mettevano a dura prova la sua fedeltà al giuramento prestato al re: attaccare la Sicilia insorta. Preferiva allora dimettersi e ritirarsi a vita privata.
Morì a Napoli il 29 febbr. 1856.
Bibl.: Una lunga biografia del D.: G. Parrilli, Vita del barone R. D., Napoli 1856, pubbl. subito dopo la sua morte e compilata da un suo genero, risulta assai informata e dettagliata anche nei minimi particolari dei suoi viaggi, dei suoi comandi e della sua partecip. a scontri navali; è però retorica ed apologetica, e menziona appena la tormentata partecipazione del D. alla spediz. napoletana del 1848. Più complete, sotto questo aspetto, le biografie di E. Simion, Figure della Marina delle Due Sicilie, estr. da Riv. maritt., giugno 1926, completamente dedicata al D. (pp. 3-40) e a suo fratello Giuseppe; quella del Diz. del Ris. naz., II, pp. 864 s. e quella di W. Ghetti, R. D. e la marina napol., in Riv. maritt., C (1967), 7-8, pp. 85-106. Molto più sommaria la biografia in Il Risorg. ital., III,Roma 1941, p. 19. Notizie sui primi anni della sua carriera sono in U. Broccoli, Cronache militari e marittime del golfo di Napoli e delle isole Pontine durante il decennio francese (1806-15), Roma 1953, ad Indicem. Sul D. si soffermano molte opere sulla marina napoletana o italiana, che dedicano ampio spazio in particolare agli avvenimenti del 1848: C. Randaccio, Storia delle mar. mil. italiane dal 1750 al 1860 e della mar. mil. italiana dal 1860 al 1870, I, Roma 386, pp. 94, 104 s., 109, 111 ss., 118, 120 s., 124 s., 126-31; D. Guerrini, Come ci avviammo a Lissa, I, Torino 1907, pp. 121, 159-63; S. Romiti, Le marine milit. ital. nel Risorgimento (1748-1861), Roma 1950, pp. 82, 87 s., 134, 136 s., 166-9, 171 ss., 177 s.; L. Radogna, Storia della marina milit. delle Due Sicilie, Milano 1978, ad Indicem. Sulla missione del D. a Tripoli si soffermano: L. Busu, Quarant'anni contro la pirateria nel Mediterraneo, in Boll. della Società africana d'Italia, XXX (1911), 11-12, pp. 257-64 e XXXI (1912), 1-4, pp. 39-57; G. Paladino, La spediz. della marina nap. a Tripoli nel 1828, in Riv. delle colonie ital., III (1929), pp. 909-24, 1003-14; e da ultimo T. Filesi, Un secolo di rapporti tra Napoli e Tripoli: 1734-1835, Napoli 1983, ad Indicem. Sugli avvenimenti del 1848 e l'atteggiamento del D.: Brevi cenni biografici dei principali autori della diserzione delle truppe nap. mandate a combattere contro i Tedeschi nel Veneto, Venezia 1848, pp. 29 s.; G. Ulloa, Brevi cenni sulla spediz. del corpo di esercito napolitano nell'ultima guerra d'Italia, Torino 1856, pp. 18, 28; C. Fabris, Gliavvenimenti mil. del 1848 e 1849, II, Torino 1898, pp. 81, 379; V. Marchesi, Storia documentata della rivoluzione e della difesa di Venezia negli anni 1848-49 tratta da fonti ital. e austriache, Venezia 1913, ad Indicem; G. M. Monti, La difesa di Venezia nel 1848-49 e Guglielmo Pepe, Roma 1933, pp. 28, 45.