GIROLAMI, Raffaele Cosimo
Nacque a Firenze il 10 sett. 1670 da Pietro, nobile fiorentino, di famiglia molto antica ma fortemente indebolita da confische che l'avevano colpita nella seconda metà del Cinquecento. Grazie a lasciti ereditari il padre era però discretamente abbiente, tanto da poter fondare il baliato di Pienza dell'Ordine di S. Stefano.
Mentre a un fratello, Zanobi, spettò di assicurare la continuità del casato, il G. fu avviato alla carriera ecclesiastica. Già nel 1688 ottenne un canonicato nella cattedrale di Firenze, che rassegnò nel 1699; il 9 luglio 1695 conseguì la laurea in diritto a Pisa e il 24 nov. 1699 quella in teologia a Firenze. Già dal 20 giugno 1690 era stato ammesso nell'Accademia della Crusca.
Intorno al 1695 il G. si trasferì a Roma, dove trovò impiego come uditore del cardinale Giuseppe Renato Imperiali, importante personaggio politico e possessore di una delle maggiori biblioteche romane. Fu forse proprio per ispirazione dell'Imperiali che il G. assunse un'importante iniziativa culturale, fondando l'Accademia teologica che avrebbe dovuto promuovere lo studio dei dogmi e della storia ecclesiastica. L'Accademia, che si riuniva nel palazzo Imperiali, si presentava come una conversazione informale, priva di regolamenti rigidi, e assunse rapidamente un certo rilievo nella cultura romana. Intorno al 1700 essa ricevette però uno statuto più definito, che di fatto la poneva sotto il controllo papale, e negli anni successivi ulteriori interventi pontifici ne accentuarono il carattere ufficiale. Con un breve del 23 apr. 1718 Clemente XI approvò i suoi statuti, la trasferì nel palazzo della Sapienza e assegnò a cinque cardinali il compito di sovrintendere alla sua attività. Il 6 maggio 1726, poi, una bolla di Benedetto XIII le assegnò cospicui fondi e stabilì che i lettori di filosofia e teologia dell'Università e del Collegio di Propaganda Fide, gli esaminatori dei vescovi e i qualificatori del S. Uffizio fossero scelti tra gli accademici. Il ruolo svolto dall'Accademia teologica nella cultura romana è controverso. Molti osservatori coevi, come Celestino Galiani o Francesco Valesio, stigmatizzarono a ragione il basso livello scientifico e la superficialità delle discussioni che vi si tenevano. Tuttavia l'Accademia rappresentò un importante luogo di aggregazione per la burocrazia prelatizia, che partecipava alle sedute soprattutto per mostrare il proprio coinvolgimento nella politica di rilancio della centralità di Roma perseguita dal Papato. In seguito, pur avendone perso il controllo, il G. rimase sempre molto legato a questa istituzione, e per testamento le donò 10.000 scudi.
La fondazione dell'Accademia gli procurò fama di prelato dotto e competente e facilitò l'avvio della sua carriera curiale. Nel dicembre 1710 fu nominato votante di Segnatura, e poco dopo cominciò a partecipare alle congregazioni per le Cause dei santi e delle reliquie. Nel 1713, già funzionario del S. Uffizio, collaborò alla stesura della bolla Unigenitus, alla quale peraltro non diede alcun contributo significativo. In seguito però la sua carriera procedette con difficoltà. Nonostante l'indubbio zelo, il G. si rivelò ben presto privo di grandi capacità; anche il coetaneo e amico Benedetto XIV lo definì "prelato da bene e molto dotto, ma poco dotato di prontezza e di spirito" (Le lettere di Benedetto XIV al card. De Tencin, II, p. 13).
Solo a partire dagli anni Venti egli iniziò ad assumere un ruolo di qualche rilievo nell'amministrazione curiale. Nel 1725 partecipò al concilio romano, per il quale compose un De obligatione servandi sacros ritos votum (Romae 1725), che riproponeva le tradizionali disposizioni in materia liturgica. L'anno seguente collaborò a una congregazione incaricata di valutare la liceità morale del lotto, assumendo un atteggiamento rigoristico nei confronti del gioco. Nella generale mediocrità che caratterizzava i collaboratori di Benedetto XIII questi interventi furono sufficienti al G. per ottenere la nomina a vescovo in partibus infidelium di Damietta (8 marzo 1728) e ad assessore del S. Uffizio (30 apr. 1728). Molti anni dopo, nel 1737, gli fu anche conferita la segreteria della congregazione dei Vescovi e regolari.
Nel 1742 intervenne in un altro importante dibattito politico-religioso, quello sulla riduzione delle feste di precetto. Di fronte a questa delicata questione, che produsse serie spaccature nel clero italiano, egli assunse ancora una volta un atteggiamento di totale rifiuto di ogni innovazione e respinse la proposta di riduzione delle feste, pur ammettendone in via di principio la legittimità. Nella sua visione, ancora per molti versi legata a schemi controriformistici, la povertà diffusa non era una conseguenza dell'eccessivo numero di festività, ma era semmai da mettere in relazione alla mancanza di lavoro e al lusso eccessivo. Bisognava perciò mantenere le feste esistenti e accentuare la loro sacralità, chiudendo le osterie, vietando il gioco e rafforzando gli strumenti di predicazione.
La nomina a cardinale e a prefetto della congregazione delle Indulgenze e reliquie (9 sett. 1743) rappresentò la tardiva conclusione di una carriera lenta e sbiadita. Il 10 nov. 1744 il G. fu anche eletto prefetto dell'importante congregazione dei Vescovi e regolari, ma era ormai anziano e rimase ai margini della vita politica romana. Nel 1747 venne ancora incluso nella commissione incaricata di approvare i passionisti di S. Paolo della Croce, ma ben presto si ammalò e venne sostituito.
Morì a Roma il 21 febbr. 1748.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Fondo Benedetto XIV, 3, cc. 356-366; Arch. di Stato di Firenze, Fondo Covoni-Girolami, 474 (lettere del G. alla cognata, 1717-21); Bibl. apost. Vaticana, Borg. lat. 234, cc. 176v-179r, 255v-256r; 236, pp. 56 s., 211 s.; 237, pp. 191-193, 343 s.; 238, pp. 51-55, 319-321; 241, pp. 248-253, 431 s.; 731, cc. 156-158; Le lettere di Benedetto XIV al card. De Tencin, II, a cura di E. Morelli, Roma 1965, ad indicem; F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano, IV-VI, Milano 1978-79, ad indices; Acta graduum Academiae Pisanae, II, a cura di G. Volpi, Pisa 1979, p. 438; C. Galiani - G. Grandi, Carteggio (1714-1729), a cura di F. Palladino - L. Simonutti, Firenze 1989, ad indicem; F. Caraffa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus, I, Romae 1751, pp. 264 s.; S. Salvini, Catalogo cronologico de' canonici della chiesa metropolitana fiorentina, Firenze 1782, p. 141; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della S. Romana Chiesa, IX, Roma 1797, pp. 4 s.; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma, IV, Roma 1806, pp. 34-37; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, V, Firenze 1845, pp. 1833-1837; D. Tiribilli Giuliani, Sommario storico delle famiglie toscane, II, Firenze 1862, sub voce; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, V, Bologna-Trieste 1930, pp. 299-302 (piuttosto impreciso); L. Fiorani, Il concilio romano del 1725, Roma 1978, ad indicem; Accademia della Crusca, Catalogo degli Accademici dalla fondazione, a cura di S. Parodi, Firenze 1983, pp. 140 s.; V.E. Giuntella, G., R.C., in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, Paris 1984, coll. 1513 s.; L. Ceyssens - J. Tans, Autour de l'Unigenitus, Leuven 1987, p. 172; Ch. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher. Elenchus congregationum, tribunalium et collegiorum Urbis, 1629-1714, Rom-Freiburg-Wien 1991, p. 118; F. Cancedda, Figure e fatti intorno alla biblioteca del cardinale Imperiali mecenate del '700, Roma 1995, p. 31; R. Ritzler - H. Sefrin, Hierarchia catholica…, V, Patavii 1952, p. 181; VI, ibid. 1958, p. 13.