CARELLI, Raffaele
Quintogenito del pittore Gabriele Settimio Carella, nacque a Monopoli il 24 sett. 1795, e fu il primo, della famiglia ad avere veramente notevole statura artistica. Avviato inizialmente alla professione medica, si risolse però presto a seguire la tradizione familiare e pare che già all'età di diciassette anni si fosse procurato una corta nomea, a Bari, quale autore di ritratti (Napier). Nell'agosto del 1815 si trasferì a Napoli, ospite d'uno zio canonico, e trovò lavoro nella bottega d'un restauratore, certo Ciappa, tramite il quale divenne amico del poeta Gioacchino Ponte, genovese: da questo fu presentato al banchiere Meuricoffre, che divenne il suo primo protettore e committente. Fu però la moglie del banchiere, Celeste Coltellini - a sua volta pittrice di ritratti in miniatura oltre che celebrata cantante - a favorire la presentazione del pittore alle persone più in vista negli ambienti artistici della città; poco dopo il C. si imparentò con lei, sposandone la nipote Rosa Coltellini (dei loro figli saranno pittori Gonsalvo, Gabriele ed Achille).
Intorno al 1809 entrò nello studio di W. Huber (noto per essere stato il primo a introdurre a Napoli la pittura ad acquarello), dapprima come allievo, ma quasi subito come collaboratore, in quanto si dedicò a dipingere le figurine che animano i paesaggi del tedesco. Egli ebbe così modo di partecipare alle esperienze del paesaggismo che a Napoli erano nel momento cruciale di elaborazione della tradizione, già ispirata alla scrupolosa ottica descrittiva degli Hackert e dei Kniep, ed ora rinnovantesi grazie alla immaginazione lirica del Pitloo e poi di G. Gigante.
Già da questo momento, probabilmente, si delinea la posizione del C., in bilico tra vecchie e nuove esperienze, che neppure il sodalizio personale col Pitloo (di cui diverrà collaboratore dopo il 1820) né l'amicizia con A. Vianelli e con il Gigante risolveranno del tutto a favore d'una integrale adesione ai moduli e, soprattutto, alla poetica romantica di quella che fu chiamata la scuola di Posillipo. Spesso, ma soprattutto nei quadri di figure (ritratti, scene di genere, illustrazioni di feste popolaresche) permane un deciso gusto per la resa puntuale del "vero" rifinita con sedulità accademica.
Eppure talvolta - e proprio nelle pitture di paesaggio vere e proprie - anche la visione del C. seppe accedere a genuina effusione romantica, perfino con una qualche precocità rispetto al Gigante e al Vianelli, come attestano, tra l'altro, le due telette con i porti di Pozzuoli e di Castellammare della Pinacoteca comunale Bindi a Giulianova, le vedutine di Mergellina del Museo Correale di Sorrento, l'ariosa veduta della Terrazza dei cappuccini a Sorrento (Caserta, palazzo reale), che gli valse la medaglia d'oro all'esposizione di Napoli del 1833, e, più di tutti, i freschi e luminosi disegni in cui si ravviva financo l'annotazione di sapore aneddotico (si veda, per tutti, il foglio rappresentante il Curricolo del Museo di San Martino a Napoli, n. 18.780). Qui la macchia cromatica, pur non giungendo alla sintesi luministica di Pitloo o Gigante, ha però forza evocatrice d'immagine.
Furono dunque proprio le pitture di paesaggio quelle che miglior successo procurarono al C., il quale fin dal 1830 era stato nominato professore onorario di "pittura di paesi" all'istituto di Belle Arti di Napoli. Nel 1834 egli fu scelto dal duca di Devonshire quale accompagnatore - incaricato di eseguire disegni acquerellati (conservati a Chatsworth), a ricordo del viaggio - per una lunga tournée in Sicilia; nell'anno 1835 ottenne di nuovo la medaglia d'oro alla Esposizione napoletana con il quadro di figure - vera conversation piece nel senso tradizionale - raffigurante il Caffè degli Antiquari (Napoli, coll. eredi Meuricoffre).
Delle intime contraddizioni dell'arte del C., della indecisione di lui nel seguitare sulla via segnata dai primi paesaggi e a svilupparne il nucleo poetico, ebbero comunque capacità di avvedersi i conoscitori e gli artisti del tempo, primo tra tutti il Napier il quale se da una parte - invertendo i termini reali della questione - afferma che "di tutti gli artisti moderni napoletani il C. è il solo che, alla profonda conoscenza della figura umana, accompagna un'adeguata padronanza del paesaggio", tuttavia, quasi di seguito, conclude col dire che "il merito caratteristico" del pittore "consiste in uno studio attento della natura che egli ritraeva con pazienza e abilità ma senza molto scegliere e con poca forza immaginativa" (p. 85).
Le critiche alla pittura del C. si fecero più aspre appunto in occasione della Esposizione del 1835, quando si accese una polemica con Vincenzo Torelli, il quale ne denunciava la stagnazione stilistica e l'esigua varietà d'invenzione.
Amareggiato, il C. si dedicò da allora prevalentemente all'insegnamento e al commercio antiquario e tornò solo occasionalmente alla pittura, in circostanze piuttosto particolari come quando, nel 1839, fu di nuovo al seguito del duca di Devonshire in un lungo viaggio in Asia Minore (i disegni e gli acquerelli documentari sono tuttora conservati a Chatsworth).
Qualche raro dipinto ancora posteriore - ad esempio la Tarantella della coll. Cione a Napoli, del 1850 - ricalca il gusto per il bozzettismo folcloristico e segna vieppiù il distacco dalle più vivaci correnti del momento.
Rispetto alle vicende della scuola di Posillipo la figura del C. rimane, pertanto, in posizione alquanto marginale: alla fervida partecipazione al momento iniziale essendo poi succeduto un atteggiamento quasi divergente.
Il C. morì a Napoli il 25 giugno 1864.
Il secondogenito del C., Gabriele, nato a Napoli nel 1820, dopo la prima istruzione paterna seguì il fratello Gonsalvo, condividendone le iniziali esperienze e recandosi con lui a Roma dal 1837 al 1840. Si dedicò già da allora, di preferenza, alle vedute di tipo architettonico ed a scene di interni, che gli valsero riconoscimenti alle Esposizioni napoletane del 1841 e del 1845. Nel 1847 il duca di Devonshire che, come abbiamo visto, era stato tra i principali committenti del padre, portò con sé in Inghilterra il giovane Gabriele e gli fece decorare una sala del suo palazzo di Kenilworth. Tornato già l'anno successivo in patria, Gabriele seguitò a dipingere nel suo genere preferito: sono del 1853 le tele raffiguranti l'Abside di S. Martino e il Chiostro grande della certosa (Napoli, Museo di S. Martino), che furono acquistate dai Borbone, e del 1855 è l'Interno del duomo di Salerno (Napoli, palazzo di Capodimonte). In queste opere è stato giustamente ravvisato (Doria, 1956, p. 66) l'influsso di F. Vervloet, mentre più esteriore ci sembra quello del Migliara, di cui parla il Napier (p. 102). Dal 1860 Gabriele alternò alla permanenza in patria lunghi e ripetuti soggiorni a Londra, ove fu sempre molto apprezzato, ebbe clienti prestigiosi (alcuni suoi disegni e acquerelli furono acquistati per le collezioni reali e sono nella Royal Library del castello di Windsor oltre che nella coll. del Royal Inst. of British Architects); fu eletto membro, nel 1874, della Royal Acad. dove espose anche nel 1875, 1877 e 1880. A questo periodo risale anche una certa evoluzione del gusto del pittore, che non restò insensibile all'insegnamento del genuino e accorato naturalismo, d'ascendenza courbettiana, di Giuseppe Palizzi, e ne trasmise qualche incentivo, anche al fratello Gonsalvo. Tuttavia il richiamo alla naturale non ebbe gli esiti che ci si poteva attendere e restò circoscritto, nella sua pittura, solo alle opere di vero paesaggio - come la Fontana di Sorrento e la Veduta di Capri, datate 1867, della coll. B. Lemmerman di Roma - e soprattutto ai disegni (si vedano quelli conservati nel Museo di S. Martino a Napoli).
Nell'anno 1871, a Napoli, partecipò alla prima mostra della "Promotrice", e vi fu premiato; poi, nel 1872, viaggiò per la Svizzera e si fermò quindi a Milano, dipingendo l'Interno del duomo (ubicazione sconosciuta). Di nuovo in patria, nel 1875 dipinse la tela raffigurante la Sagrestia di S. Domenico Maggiore, che fu acquistata per il palazzo reale (ove tuttora si trova) e che è giustamente considerata tra le più significative delle sue vedute di interni. Si ricordino ancora, come caratteristici del genere, i due acquerelli con le Vedute del salone di villa Acton a Castellammare, della coll. Lemmerman di Roma; nel 1969 a una vendita all'asta della Cassa di Risparmio di Roma è passato un acquerello con Veduta di lago della Lombardia, firmato (n. 244 del catal.).
Personalità piuttosto esigua, dunque, quella di Gabriele, e interessante tuttavia per la peculiarità dei suoi intenti descrittivi, favoriti in parte anche dalle richieste d'una clientela di viaggiatori stranieri che collezionava avidamente questo specifico tipo di vedute a mo' di souvenirs:il Napier (p. 103) ricorda, a questo proposito, come egli abbia dipinto in gioventù, per [Keppel, Richard o Augustus] Craven, una serie di vedute dei monumenti sepolcrali di Napoli. Morì a Napoli nel 1880.
Di Achille un altro figlio di Raffaele, si ignorano gli estremi biografici. Su uno dei suoi pochi disegni che sono conservati nel Museo di S. Martino e che sono, in pratica, tutto quanto si conosce della sua attività artistica, è apposta la data del 1852.Di queste opere, in cui egli appare sostantalmente una specie di controfigura del fratello maggiore Gonsalvo, si ricorda la Veduta di Napoli esposta nel 1855(F. P. Bozzelli, Sulla pubblica mostra… nella primavera del 1855, Napoli 1856, p. 175).
Fonti e Bibl.: D. S. Oliva, Epigrammi latini volti in verso ital. dal conte G. Perticati ad elegia…, Napoli 1826, pp. n.n.; A. Arcascenza, Delle pitture… esposte nel… Mus. Borbonico…, Napoli 1833, p. 20; D. Ventimiglia, Sopra un quadro ad olio di Gabriele Carelli, in Vittoria Colonna, I (1845), pp. 129 s.; Id., La piazza di S. Carlo di Gabriele Carelli, ibid., p.147; Id., Lo studio dei pittori Carelli, in Poliorama pittoresco, XI(1846-47), pp. 117-119, 267 s.; F. Napier, La pittura napol. dell'Ottocento (London 1855), a cura di S. D'Ambrosio, Napoli 1956, pp. 82-86, 101-104; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littér. contemporaine du Royaume de Naples, Genève 1859, II, pp.235-237; C. T. Dalbono, Storia della pittura in Napoli e Sicilia, dalla fine del 1600 a noi, Napoli 1859, pp. 233 s.; S. Ortolani, La scuola di Posillipo, Bergamo 1934, pp. n.n.; S. Ortolani-F. De Filippis, Ilpaesaggio nella pittura napoletana dell'Ottocento (catal.), Napoli 1936, pp. 17 s.; M. Biancale, in Mostra della pittura napol. dei secc. XVII, XVIII e XIX (catal.), Napoli 1938, pp. 241-246; S.D'Ambrosio, I Carelli, in Atti dell'Accad. Pontan., III (1949-50), pp. 94 s., 98 s., 100-102; R. Causa, Rassegna mensile di disegni delle raccolte del Museo di S. Martino (catalogo), febbraio 1953, pp. n.n.; M. Rotili, Achille Vianelli (catalogo), Benevento-Napoli 1954, pp. 19 s., 65, 71, 92, 97; G. Conte-G. Doria, Retrospettiva dei Carelli, in VIMostra nazionale di pittura contemp. "Maggio di Bari" (catal.), Bari 1956, pp. 59 s., 64, 66, 67, 69-72; G. Doria-O. Ferrari, Vedute napoletane della racc. Lemmerman (catal.), Napoli 1957, pp. 40, 423 44, 52, tavv. XXXIII-XXXV; R. Causa, La scuola di Posillipo, Milano 1967, pp. 23, 89; Id., La scuola di Posillipo, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, pp. 798 ss.; A. Schettini-G. Scuderi, Aspetti dell'Ottocento pittorico ital., Putignano 1972, ad voces;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 591.