CANTARELLA, Raffaele
Nato a Mistretta (Messina) il 25 apr. 1898 da Francesco e da Eva Rebeck, trascorse la giovinezza a Salerno, ove il padre fu a lungo insegnante di lettere classiche nelle scuole superiori. Se dal padre, autore fra l'altro di un'intelligente e apprezzata antologia catulliana, il C. trasse il primo, e forse il maggiore, impulso alla sua vita di maestro e di filologo, dalla città di Salerno derivò il senso dell'appartenenza al mondo ellenico e magno-greco. Allievo all'università di Napoli dei "vitellianos A. Olivieri e ivi laureatosi nel 1920, Si perfezionò in filologia classica all'Istituto superiore di Firenze; quindi, tra l'insegnamento medio a Salerno e la libera docenza napoletana (1927), rimase in Canipania fino al termine degli anni Trenta, dal 1929 al 1937 direttore dell'Officina dei papiri ercolanensi e, dal 1935 al 1938. incaricato di filologia classica presso la facoltà di lettere napoletana.
Pose allora le premesse del suo futuro lavoro esegetico e scientifico, scegliendo di preferenza i campi dell'omerologia (L'edizione polistica di Omero, Salerno 1929) e della tragedia (I primordi della tragedia, ibid. 1936), commentata e tradotta variamente, ora in verso ora in prosa, e curata criticamente nel testo (Sophoclis Trachinias…, Napoli 1926). Frattanto il C. intrapendeva rivoluzionari studi di bizantinistica, intesa non come un'arida landa d'imitatori o di grammatici, ma come il terreno ancor fertile in cui era caduto, e fruttava tuttavia' il seme della classicità. Nell'ambito della letteratura bizantina il C. fece opera pionieristica, sia con la fondazione d'una valida scuola milanese (anche per merito del suo discepolo A. Pertusi) sia con i due volumi di Poeti bizantini (Milano 1948): questa ignorata poesia entrava così nel cerchio vivo della cultura non specialistica e non tecnica.
Vincitore di concorso e chiamato nel 1938 alla cattedra di letteratura greca, in successione di C. Cessi, presso l'università cattolica del Sacro Cuore di Milano (donde sarebbe passato nel 1951 alla statale sulla medesima cattedra), il C. trovò, o si creò, un ambiente umanistico e non conformista (i classicisti e antifascisti M. Untersteiner e V. E. Alfieri, lo scrittore C. Linati, ecc.). Donde una "politicità", o nuova dimensione, dell'opera dei C., che difettava agli scritti precedenti, ed è già manifesta nella prolusione esiodea del 1940.
Il C. vi esalta, attraverso un attento e commosso esame della poesia e della ideologia "contadina" di Esiodo, i valori che il poeta di Ascra celebrava e trasmetteva in perpetuo alla civiltà greca, il dovere della giustizia, il dovere dei lavoro, la condanna della violenza oppressiva, la rivendicazione dei piccolo e del povero contro i grandi e il grande; onde non si peritava di asserire, in antitesi al clima bellico allora imperante: "Se l'umanità, nelle sue ore decisive, ha bisogno dell'eroismo, ha bisogno ancora di una fede umile e salda, che la sorregga nella dura fatica quotidiana, non meno eroica se pur meno brillante della grandezza guerriera" (Scritti vari, Salerno 1969, p. 24), concludendo: "Quando l'uomo ha nel cuore la giustizia e la certezza del proprio diritto con una salda libera coscienza morale e civile, affronta e supera ogni violenza: come i Greci a Maratona, i Comuni italici a Legnano, i Finlandesi contro il colosso bolscevico" (ibid., p. 39).
Pur non dubitando mai, durante la guerra, della vittoria delle democrazie occidentali, tuttavia, e non solo perché antimarxista e antisovietico, non si era mai illuso sulle negative conseguenze di essa. La battaglia che fin dal primo dopoguerra il C. impegnò, da classicista, da letterato e da insegnante (massime dopo la contestazione del 1968), è all'insegna dell'antimoderne (giusta la formula e nel senso che ha in J. Maritain): nella certezza che civiltà e grecità s'identificano, in quanto non esiste altra matrice, origine o fonte di civiltà se non in quella che sorse nella penisola ellenica, massime in età periclea; e nell'indifferenza allarmata e ostile alla scienza atomico-nucleare, che favorisce unicamente l'hybris, o "dismisura", dell'uomo, e ai mass media, che vorrebbero arrogarsi una funzione o finalità di cultura (e il C. polemicamente vi contrappone l'assoluta verità dei primo stasimo dell'Antigone). Ma egli si rivela "moderno", cioè perfettamente adeguato ai metodi e ai valori (ma consapevole altresì dei non-valori) della cultura, o incultura, novecentesca, nella sua opera di studioso. La sua stessa critica testuale non è tecnica e fine, ma, anzi, mezzo all'intelligenza storico-critica dell'opera di cui il C. si è fatto editore. Né la sua filologia si disgiunge dalla critica letteraria, costruita su un saldo fondamento storico, nella stessa distinzione dialettica fra creatività e tradizione.
Il "miracolo" greco (né il C. rifugge talvolta dal ripetere il vocabolo caro al Renan) consiste appunto nell'equilibrio fra originalità e tradizione; e questo spiega, altresi, il fenomeno, storico e non meramente pratico-grammaticale, dei generi letterari, per il proposito, proprio ad ogni poeta greco, d'inserirsi in una tradizione, accettandone, come ovvii e naturali mezzi espressivi, le regole, i connotati, il dialetto e lo stile. Il C. perciò è, in fatto di critica e di storia letterafia, decisamente antievoluzionista così come nega l'"oralità", cioè la trasmissione meramente orale, dei poemi omerici. Ricerca in ambito tecnico-culturale "i primordi della tragedia", ma nega vi sia un rapporto, se non esterno e formale, fra tragedia preeschilea ed Eschilo, in virtù del suo genio poetico vero creatore della tragedia. Né vede alcuna continuità fra commedia "anticas, o aristofanesca, e la commedia "nuova" di Menandro, appunto perché da Aristofane a Menandro si è consumata la tragedia storica della polis greca e all'uomo "animale politico" è seguita la depoliticizzazione dell'individuo.
Per la difesa e la divulgazione di queste idee il C. si fece traduttore ed editore di classici, mentre illustrava le varie scoperte, soprattutto papirologiche, nell'ambito del teatro greco, dal Dyscolos di Menandro al frammento di Gige. Quindi l'operosa presidenza dell'Istituto del dramma antico (1946-53) e la direzione alla rivista di questo, Dionisio; quindi il ponderoso ed elegante volume dei Poeti greci (Milano 1961), tradotti. Quindi i cinque volumi delle Commedie di Aristofane (ibid. 1949-64), che offrono, oltre il primo testo italiano, la traduzione in prosa (ristampata a Torino nel 1972), introduzioni e commenti esegetico-critici. A parte il merito letterario della versione (elogiata da R. Bacchelli in Corriere della sera, 30 ag. 1972), il merito storico-critico sta nella svalutazione della "politica" dei commediografo, a torto definito per solito un conservatore; nella limitazione del carattere puramente "lirico", anfistoricamente asserito dal Romagnoli; nella rivendicazione, perciò, del carattere di fiaba, sogno e utopia che la commedia ebbe e per il suo autore e per i suoi spettatori (sebbene il C. accentui forse troppo le colpe della democrazia postpericlea e scorga la fine di Atene segnata fin dalla morte dello statista, contro la probabile realtà dei fatti e contro, comunque, il giudizio difficilmente trascurabile di Tucidide).
L'antimoderne del C., riaffermato con eloquenza commossa, in occasione dei conferimento della laurea honoris causa (1967) all'università di Atene, trionfa infine nel dotto e ricco libro Civiltà e letteratura della Grecia antica (Roma 1972), estremo messaggio di uno studioso e maestro, che, dopo il declino della scuola classica, offriva ai giovani di ogni tempo una sorta di manuale o vademecum; la sistematica demolizione dei pregiudizi contro una supposta Grecia "elitaria" o schiavista, e l'altrettanto sistematica rivendicazione della Grecia come civiltà, come humanitas, come essere e dover essere per l'uomo di oggi e di domani. Né a queste premesse riesce difforme, nonostante le strumentalizzazioni della cosidetta critica militante, la scoperta e pubblicazione dei Neoplatonici di L. Settembrini (Milano 1977), come benissimo rilevò M. Gigante (Settembrini e l'Antico, Napoli 1977, pp. 11ss.).
Il C. morì a Milano il 6 maggio 1977.
Fonti e Bibl.: Una incompleta bibliografia degli scritti del C. è in appendice agli Scritti vari, pp. 281-284. Gli Scritti minori sul teatro greco furono raccolti in volume in occasione del suo settantesimo compleanno (Brescia 1970). Sul C. vedi: M. Gigante, premessa a Scritti vari, pp. VII-XVIII; La Rassegna pugliese, VII (1972), n. 10-11, pp. 401-504 (Fascicolo speciale in onore di R. C.); Biografie e bibliografie degli accademici lincei, Roma 1976, pp. 815-817; V. E. Alfieri, Maestri e testimoni di libertà, Milazzo 1976, pp. 264-267. Necrologi: D. Del Corno, in Rend. dell'Istituto lombardo, CXI (1977), parte generale, pp. 137-144; Dionisio, XI-VIII (1977), pp. 161-166.