CADORNA, Raffaele
Nacque a Milano da Luigi di nobile famiglia di Pallanza e da Virginia Bossi il 9 febbr. 1815. Per il carattere ribelle non poté compiere gli studi regolari presso l'Accademia militare di Torino, dove era stato collocato a 10 anni, e iniziò la carriera militare a 18 anni come "soldato distinto" (specie di cadetto) nel 1º reggimento della brigata Savoia. L'influenza del fratello maggiore Carlo, cui fu sempre legatissimo, e le responsabilità del suo nuovo stato trasformarono allora il giovane ribelle in soldato disciplinatissimo e studioso; promosso sottotenente di fanteria il 2 apr. 1834, dopo un anno lasciò il servizio attivo per prepararsi, con un lungo periodo di studi, all'ammissione all'arma del genio, in cui entrò come luogotenente il 1º febbr. 1840. In questi anni si interessò di cultura e di politica, aderendo all'indirizzo politico liberale del fratello Carlo e prendendo parte alle sue iniziative di assistenza sociale e progresso. Promosso capitano nel 1846, fu in Sardegna comandante di compagnia zappatori e incaricato dei lavori militari di fortificazione nel 1846-48; richiamato a sua istanza sul continente per la guerra contro l'Austria, fu richiesto dal governo provvisorio di Milano come istruttore di un battaglione del genio; nominato maggiore, prese parte con questo reparto agli ultimi scontri della campagna, riparando poi in Piemonte con l'esercito sardo.
Eletto deputato per la II legislatura, aderì al gruppo di centro-sinistra di Rattazzi, iniziando una carriera parlamentare che doveva proseguire quasi ininterrottamente come rappresentante del collegio di Oleggio, poi di Pallanza, infine di Pontremoli e dal 1871 come senatore, prendendo sempre parte attiva ai lavori. Scelto dal generale A. Chiodo, ministro della Guerra, come suo "primo uffiziale" (all'incirca sottosegretario) non partecipò alla campagna di Novara.
Nell'ottobre 1849 venne riammesso nell'esercito sardo (che aveva dovuto abbandonare per passare in quello lombardo l'anno precedente) e gli venne confermato il grado di maggiore, però con anzianità sospesa fino a quando non fossero stati promossi i capitani di lui più anziani; trovandosi quindi senza comando attivo, ottenne di partecipare nel 1851 alle operazioni che l'esercito francese conduceva in Algeria contro i ribelli Cabili, conseguendovi la croce della Legion d'onore.
Nel 1852 riebbe un comando attivo, condizionato però al suo passaggio in fanteria, come comandante di un battaglione della brigata Acqui, con il quale fece la guerra di Crimea (1855-56), distinguendosi per coraggio e perizia nei lavori di fortificazione campale. Promosso luogotenente colonnello nel 1859 e trasferito nel corpo di Stato Maggiore, prese parte alla campagna contro l'Austria come capo di Stato Maggiore della divisione Cucchiari, guadagnando a San Martino la promozione a colonnello per merito di guerra, dopo avere iniziato la battaglia con il combattimento della ricognizione da lui comandata contro gli Austriaci.
Dopo una breve parentesi al comando di una scuola improvvisata per la creazione dei quadri delle nuove divisioni in formazione, nell'ottobre 1859 il C. lasciava nuovamente l'esercito sardo per assumere, col grado di maggior generale, il ministero della Guerra nel governo provvisorio di Toscana (che glielo aveva già offerto prima della campagna); suo compito era l'organizzazione delle truppe toscane, in quel tempo fortemente ampliate e sottoposte al comando dei generali Fanti e Garibaldi nell'esercito dell'Italia centrale, e la loro preparazione alla fusione nel nuovo esercito italiano. Egli seppe sormontare tutte le resistenze e mettere a punto due divisioni solide e attrezzate. Nel marzo 1860, scioltosi il governo provvisorio toscano dopo il plebiscito nazionale, il C. rientrava nell'esercito sardo come maggior generale, al comando della brigata Aosta e, dal luglio 1860, della 13a divisione; la sua opera in Toscana ricevette lusinghieri riconoscimenti, tra cui il titolo di commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e l'iscrizione nel libro d'oro della nobiltà fiorentina.
Con la 13a divisione il C. prese parte alla campagna nelle Marche e nell'Umbria, collegando i due corpi Cialdini e Della Rocca. Promosso luogotenente generale nel marzo 1861, fu destinato provvisoriamente comandante generale militare della Sicilia (febbraio-maggio 1861), con l'incarico di riordinare le truppe e l'amministrazione militare locale e predisporre la fusione con l'esercito italiano.
Comandò la 17a divisione in Chieti, impegnata nella repressione del brigantaggio negli Abruzzi (luglio 1861-luglio 1862) e la divisione di Perugia; nel gennaio 1864 assunse il comando della divisione di Firenze, che tenne per 10 anni, intramezzati da viaggi all'estero in missioni di studio e rappresentanza.
Prese parte alla campagna del 1866 come comandante di divisione agli ordini del generale Cialdini, assumendo a fine luglio il comando di un corpo d'armata che a marce forzate raggiunse il Friuli. Fu poi destinato a reprimere i moti di Palermo del settembre 1866, come regio commissario straordinario per la provincia di Palermo, ingrato incarico svolto con efficienza e severità in tre mesi; e nel gennaio 1869 assunse per breve tempo la responsabilità dell'ordine pubblico nell'Emilia sconvolta dai moti del macinato.
Alla metà di agosto 1870 il C. assunse il comando di un corpo di osservazione (poi IV corpo d'esercito) su tre divisioni alla frontiera con lo Stato pontificio. Chiaritasi la situazione internazionale, riceveva l'ordine di iniziare le operazioni la notte tra l'11 e il 12 settembre, con 60.000 uomini (cinque divisioni, una delle quali distaccata per l'occupazione di Civitavecchia) contro 14.000 pontifici: la superiorità di forze era stata voluta per assicurare una vittoria rapida, sicura e il più possibile incruenta. Il C. si mosse con lentezza, anche per dare tempo alle iniziative diplomatiche; giunto sotto le mura di Roma, iniziò l'attacco all'alba del 20 settembre con quattro divisioni sul lato orientale della città, mentre una quinta, comandata da N. Bixio, agiva a scopo diversivo ad ovest. Quattro ore di bombardamento apersero una breccia nelle vicinanze di Porta Pia: l'irruzione di reparti di fanti e bersaglieri pose fine alla resistenza delle truppe pontificie. Alle 10 di mattina il C. riceveva i parlamentari del nemico e iniziava rapide trattative di resa, in cui diede prova di fermezza e cortesia. L'occupazione della città evitò disordini e incidenti; i morti in tutta la campagna furono 32, 143 i feriti. Issato il tricolore su Roma, il C. fu il primo rappresentante del potere italiano, per lasciare presto il posto ad una amministrazione regolare.
Nel dicembre 1873 il C. venne destinato al comando generale di Torino (corrispondente a un corpo d'armata) e attese agli studi per la fortificazione della frontiera con la Francia; la sua attività fu bruscamente interrotta nel maggio 1877 dal collocamento a riposo deciso dal ministro Mezzacapo che, con un solo provvedimento (comunicato alla stampa prima che agli interessati), eliminò dodici tenenti generali considerati ostili al nuovo governo e al nuovo ordinamento dell'esercito.
Ritiratosi a Torino, il C. continuò ad occuparsi di molte associazioni patriottiche, dei lavori del Senato, della Croce Rossa, di cui fu presidente nel 1884-88, e della pubblicazione della sua maggiore opera storica: La liberazione di Roma nell'anno 1870 ed il plebiscito (1889, cfr. l'ediz. a cura di G. Talamo, Milano 1970); tra le pubblicazioni minori ricordiamo il volume Operazioni militari del IV corpo d'esercito nelle province già pontificie dal 10 al 20 settembre 1870. Relazione al Ministro della Guerra, Firenze 1870, uno studio sulla fortificazione bastionata, e alcuni lavori di tattica.
In occasione del venticinquesimo anniversario della presa di Roma, gli venne conferito il collare dell'Annunziata; egli aveva rifiutato di partecipare alle cerimonie commemorative per la salute ormai declinante e per l'impronta massonica loro impressa, ma continuò sempre, pur essendo cattolico convinto, ad approvare l'atto commesso e la fine del potere temporale.
Il C. morì a Torino il 6 febbraio 1897.
Fonti e Bibl.: M. Brignoli, Il "Diario d'Algeria" di R. C., in Rass. stor. del Risorg., LVI (1969), pp. 386-420; L. Cadorna, Il generale R. C. nel Risorg. ital, Milano 1922; P. Pieri, Storia milit. del Risorg., Torino 1962, ad Indicem; Diz. del Ris. naz, II, pp. 462 s.; Enc. catt., III, col.271; Enc. Ital., VIII, p. 247; Enc. Milit., II, p. 539.