RADIOLOGIA medica
La radiologia medica, intesa come campo di applicazione all'uomo di sorgenti di radiazioni ionizzanti a scopo diagnostico o terapeutico, ha compiuto negli ultimi anni grandi progressi. Questi sono dovuti sia all'evoluzione tecnologica dell'impiego dei raggi X (v.; vol. XXVIII, p. 746; App. II, 11, p. 662) di energia convenzionale, sia alle applicazioni di nuovi mezzi messi a disposizione dei medici dalle scoperte della fisica nucleare.
Un semplice criterio atto a dare informazioni generali sulle attuali possibilità della r. può essere rappresentato da una breve rassegna delle sorgenti di radiazione oggi disponibili. Alcune di queste sono d'impiego pressoché universale, come i raggi X in diagnostica, altre sono usate solo in un numero limitato di centri di ricerca; tutte hanno lo scopo di concorrere al miglioramento delle condizioni di salute dell'uomo ed in tale senso possono essere riunite insieme.
I. Apparecchi da raggi X di energia convenzionale e tecniche relative. - I progressi dell'impiego dei raggi X di energie fino a 250 keV riguardano specialmente le applicazioni diagnostiche. Ormai di uso corrente sono le tecniche stratigrafica, schermografica e chimografica (App. II, 11, p. 662).
Altri moderni sussidî diagnostici sono rappresentati dalla tecnica dell'ingrandimento e della microradiografia. La prima può essere realizzata con varie modalità, la più semplice delle quali è rappresentata dall'impiego di tubi con fuochi assai piccoli (0,3 mm), capaci di produrre sui radiogrammi fini dettagli di strutture anatomiche (specialmente delle ossa) non ottenibili con altri mezzi. Con la microradiografia possono essere analizzati a scopo di studio frammenti di tessuti, in associazione con altri metodi. Vengono usati a tale scopo speciali tubi da raggi X a finestra di berillio, operanti a tensioni di 3-5 kV.
L'amplificatore elettronico d'intensità luminosa, o amplificatore di brillanza, è una delle innovazioni più importanti della tecnica radiologica comparse negli ultimi anni. Questo apparecchio rende possibile l'esecuzione di esami radioscopici alla luce naturale dell'ambiente e non solo le immagini che si ottengono sono più nitide e più luminose, ma la dose di radiazioni ricevuta dal paziente è notevolmente ridotta in confronto alla comune radioscopia. Con questo mezzo è stato infine possibile realizzare comodamente la roentgencinematografia.
L'amplificatore consta di un tubo a vuoto, contenente un fotocatodo. un anodo perforato, uno schermo secondario ed una lente elettronica (elettrostatica oppure magnetica). Il fotocatodo è costituito da uno schermo fluorescente di solfuro di zinco, aderente ad un sottile supporto concavo di alluminio, portante sull'altra parte uno schermo fotosensibile al cesio e all'antimonio. Lo schermo secondario è molto più piccolo di quello primario ed è costituito da solfuro e seleniuro di zinco. La lente elettronica ha il compito di far convergere sullo schermo secondario gli elettroni che si liberano dallo schermo fotosensibile. Le radiazioni, dopo aver attraversato il corpo del paziente in esame, colpiscono lo schermo primario, eccitandone la fluorescenza. Lo schermo fotosensibile trasforma le radiazioni luminose incidenti sullo schermo primario in un flusso elettronico che, in ogni punto, è statisticamente proporzionale all'illumindmento dello schermo stesso. Gli elettroni sono accelerati da una differenza di potenziale di 20-30 kV e vengono focalizzati sullo schermo secondario dalla lente elettronica. Lo schermo secondario infine trasforma l'energia degli elettroni incidenti in energia luminosa; la brillanza dell'immagine che si forma su di esso è ca. 1000 volte maggiore di quella dell'immagine che si forma sullo schermo del fotocatodo (v. anche in questa App., I, p. 534).
La possibilità di utilizzare i raggi X per ottenere immagini di movimento cinematografico (roentgencinematografia) ha interessato i medici fino dai tempi immediatamente seguenti la scoperta dei raggi roentgen. Sono stati tentati anzitutto metodi diretti, facendo muovere rapidamente (sono necessarie almeno 16 immagini al secondo) le cassette radiografiche o le pellicole a rullo da impressionare direttamente dai raggi X. Poi sono stati impiegati metodi indiretti, basati sulla ripresa cinematografica dell'immagine dello schermo fluorescente eccitato dai raggi roentgen. Questo metodo ha dato buoni risultati, ma ha, fra l'altro, i difetti di permettere solo tempi di ripresa molto brevi (15-20 secondi) e di sottoporre il soggetto in esame a forti carichi di radiazione.
Attualmente, con l'introduzione dell'amplificatore elettronico di brillanza, è stato possibile superare queste ultime difficoltà e raggiungere soluzioni assai soddisfacenti. L'adattamento della macchina da ripresa cinematografica al sistema di amplificazione ha creato notevoli problemi tecnici che solo in parte sono stati superati; tuttavia le condizioni raggiunte hanno permesso una larga diffusione del metodo roentgencinematografico, che rappresenta ormai un mezzo insostituibile di ricerca nel campo della fisiologia e della fisiopatologia umana. Si può dire anzi che con la roentgencinematografia è sorta una nuova disciplina, la fisioradiologia.
Nell'Istituto di radiologia dell'università di Roma, L. Turano con i suoi collaboratori, ha iniziato, dal 1956; una serie di ricerche di fisioradiologia sui varî apparati ed organi dell'uomo, applicando per primo il metodo combinato della roentgencinematografia associata alla registrazione grafica delle pressioni endoluminali nell'esplorazione dei visceri cavi. È stata già studiata, nei suoi aspetti morfodinamici, la fisiopatologia del tubo digerente, dell'apparato urinario, delle vie biliari, del sistema articolare.
Il sistema circolatorio si presta meno alle indagini roentgencinematografiche, a causa di alcune limitazioni di carattere tecnico che fanno spesso preferire, almeno negli usi più correnti, gli esami angiocardiografici. Ha tendenza però a diffondersi, per l'utilizzazione in alcuni brillanti impieghi, anche la cineangiocardiografia (v. cuore, in questa Appendice, 1, p. 460).
È stata usata in questi ultimi anni anche la televisione in circuito chiuso: con l'accoppiamento di una telecamera all'amplificatore elettronico si sostituisce la pellicola cinematografica con l'elemento fotosensibile del tubo analizzatore.
Malgrado che questo sistema non sia ancora uscito del tutto dalla fase sperimentale e quantunque, per le limitazioni derivanti dal sistema di amplificazione presenti ancora una scarsezza di dettaglio che non permette il rilevamento di alcuni particolari strutturali, pure i vantaggi che si possono trarre dall'impiego del metodo sono già molto evidenti. È probabile che in un futuro non lontano la trasmissione televisiva dell'immagine radioscopica anziché essere usata solo a scopo didattico come attualmente avviene in aule universitarie giunga gradatamente a sostituire del tutto la comune radioscopia.
Altre innovazioni tecniche, sia pure di minore portata, hanno contribuito al continuo miglioramento delle condizioni d'impiego dei raggi X in diagnostica.
Ad esempio, nella costruzione degli apparecchi, grandi vantaggi sono stati recati dall'introduzione degli orologi elettronici, che permettono di utilizzare tempi di esposizione brevissimi e rigorosamente tarati. Altri vantaggi costruttivi sono connessi alla sostituzione dei tubi elettronici con elementi a semiconduttore. vi sono poi dispositivi elettronici capaci di fornire la definizione automatica dei dati di esposizione, dipendenti dalle dimensioni del paziente (phototimer).
L'impiego delle alte tensioni (da 100 a 150 kV) permette di ottenere in certi casi migliori informazioni dall'esame radiologico, utilizzando fuochi di minori dimensioni e riducendo sia i tempi di esposizione, sia la dose di radiazioni.
Sono stati studiati anche dispositivi meccanici per eseguire lo sviluppo il fissaggio e l'essiccazione dei radiogrammi: tutte queste operazioni possono essere compiute automaticamente, senza l'intervento di tecnici. Quantunque tali attrezzature siano ancora poco diffuse, per il loro alto costo e per alcuni difetti che possono presentare, è probabile che con lo sviluppo dell'automazione possano diventare in futuro di largo impiego.
Molte ricerche sono state eseguite per cercare di aumentare il numero e la qualità delle informazioni date dal radiogramma, attraverso l'aumento del contrasto delle immagini. Alcuni di questi metodi (metodi "primarî") si basano sulla scelta delle migliori condizioni di esposizione, a seconda del tipo di esame da eseguire, ed è ciò che viene comunemente fatto dal radiologo nella definizione della tecnica. Vi sono però in corso tentativi per ottenere la trasformazione dell'immagine roentgen in una immagine a più colori su schermo o su pellicola fotografica. Ogni colore e gradazione di colore dovrebbe corrispondere a differenti condizioni di assorbimento dei raggi X da parte delle strutture attraversate. Questi sistemi sono tuttora in corso di sviluppo e non sono ancora entrati nella pratica comune. Altri metodi (detti "secondarî") sono rivolti ad aumentare il contrasto operando sulla pellicola già impressionata e sviluppata. Fra questi il più importante è un sistema elettronico capace di produrre copie di radiogrammi con maggior numero di particolari dell'originale, attraverso l'intensificazione del contrasto (Logetronic).
Un pennello di luce passa attraverso i varî punti di un radiogramma ed impressiona una speciale pellicola sensibile, dopo che la luce stessa è stata intensificata o indebolita attraverso il passaggio per punti rispettivamente chiari e scuri del radiogramma. Ne risulta una riproduzione armonica con un contrasto delle immagini maggiore che nell'originale, in tutte quelle zone nelle quali le differenze di tono erano minime. Si ottengono così riproduzioni contenenti maggiori particolari morfologici anche su parti del radiogramma che normalmente sono poco contrastate, a causa delle condizioni tecniche di esposizione.
Infine, nel riferire sui metodi capaci di aumentare il contrasto radiologico delle immagini, si devono ricordare i progressi compiuti negli ultimi anni nell'imqiego dei mezzi di contrasto artificiali introdotti nei varî organi ed apparati del soggetto da esaminare (vol. XXVIII, p. 755). Con gli ultimi progressi della contrastografia, praticamente soltanto il pancreas è rimasto finora escluso dall'esplorazione radiologica diretta.
Nel campo della terapia, i raggi X di energia convenzionale possono oggi essere adoperati con maggior successo per la cura di tumori profondi, adoperando speciali dispositivi di terapia di movimento. Il tubo da raggi X può essere spostato con movimento pendolare oppure può compiere un intero giro di 180 gradi intorno al corpo del paziente (terapia rotatoria). In altri casi viene fatto ruotare il corpo stesso dell'ammalato. Con altri apparecchi la sorgente di radiazioni può compiere un movimento complesso di rotazione e inclinazione verso la regione da trattare (terapia di convergenza). In ogni caso si raggiungono condizioni più favorevoli nella distribuzione spaziale e cronologica della dose, in confronto alla terapia tradizionale con campi fissi, e si possono raggiungere dosi maggiori sui tessuti malati, con minori disturbi per il paziente. La cura dei tumori ha tratto da queste metodiche indubbî vantaggi, anche se in genere essi sono stati superati dall'introduzione di altri tipi di sorgenti di radiazioni (v. appresso).
Il contenuto dei capitoli che seguono esce dai limiti dell'impiego dei raggi X, per riferirsi alle sorgenti entrate nell'uso a seguito delle recenti acquisizioni della fisica nucleare. L'impiego di queste sorgenti costituisce la parte più moderna della radiologia medica, quella che viene indicata come medicina nucleare.
II. Radioisotopi. - I radioisotopi (v. isotopi, in questa App., I, p. 899), a seconda che siano posti o meno in contenitori sigillati capaci d'impedire ogni possibilità di contaminazione, si distinguono in radioisotopi "incapsulati" o "non incapsulati". I secondi possono essere impiegati come traccianti in problemi di diagnostica medica, oppure possono essere usati per utilizzare l'azione biologica delle radiazioni da loro emesse, nella terapia con radioisotopi non incapsulati. I radioisotopi incapsulati possono essere adoperati in radiografia e in terapia; quest'ultima a sua volta si può distinguere in brachiterapia e in teleterapia, a seconda della distanza posta fra la sorgente e la sede di utilizzazione delle radiazioni.
Radioisotopi come traccianti in medicina. - Questo campo di applicazioni mediche di sorgenti di radiazioni è in continua espansione e probabilmente avrà nei prossimi anni uno sviluppo sempre maggiore. I radioisotopi attualmente più usati sono i seguenti:
I-131: nella diagnostica funzionale della tiroide. si può misurare l'attività della ghiandola attraverso misure dall'esterno ed in base alla misura della fissazione dell'elemento nelle proteine del siero (indice di conversione) e negli ormoni tiroidei. Si può anche ottenere una rappresentazione grafica della distribuzione dello I-131 nella tiroide attraverso la "scintigrafia" (metodo meccanico di esplorazione topografica con speciali contatori a scintillazione). La sieroalbumina marcata con I-131 è impiegata nella mielografia, nello studio dell'insufficienza pancreatica, nella diagnostica dei tumori cerebrali. Il trioleato di glicerolo marcato con I-131 è adoperato nello studio del metabolismo lipidico. La diiodofluoresceina-I -131 serve per la diagnostica di malattie della vescica. La funzionalità epatica può essere analizzata con il rosa-bengala marcato con I-131 e la stessa sostanza. come pure l'Au-198, può permettere di ottenere rappresentazioni scintigrafiche della morfologia del fegato (epatografia). Il P-32 si può usare per la determinazione del volume sanguigno e per la diagnostica dei tumori cerebrali. In ematologia trovano applicazioni la vitamina B12 marcata con Co-60 (per le anemie perniciose). il cromato di sodio segnato con Cr-51 (per le anemie emolitiche), il Fe-59, per ricerche "in vitro" nelle anemie aplastiche. Per analizzare la funzionalità renale ("renografia"), in associazione con altri metodi, si usano speciali composti (come il "Diodrast") marcati con I-131.
Il Br-82 è usato per la determinazione dei cloruri; per lo studio degli elettroliti il K-42; per studî sulla circolazione periferica il Na-24. Gli spazî acquosi del corpo possono essere misurati con il Tritio. Il metabolismo delle ossa con il Ca-45 e con il Ca-47.
Tutti questi mezzi non sono del tutto privi di pericoli e molta attenzione deve essere posta nel loro uso, per salvaguardare la salute dei pazienti e degli operatori. Per eliminare del tutto i rischi legati all'attività dei radioisotopi può darsi che in futuro ci si orienti sull'adozione di metodi con isotopi stabili come traccianti. Il loro uso è per ora assai limitato, a causa delle difficoltà d'impiego e dell'elevato costo degli apparecchi (spettrografi di massa) necessarî per la loro misura.
Terapia con radioisotopi non incapsulati. - È limitata praticamente all'uso di tre soli radioisotopi: lo Iodio-131, usato per la terapia del cancro della tiroide (quando il tumore sia di tipo "funzionante"), nella cura dell'ipertiroidismo e in alcune disfuzioni cardiache. Il Fosforo-32, impiegato nella cura della policitemia rubra, nel trattamento delle leucemie mieloidi croniche, nelle leucemie linfatiche croniche, ed in altre forme maligne. L'Oro-198, allo stato colloidale, nella terapia dei versamenti neoplastici peritoneali o pleurici, nei quali si possono ottenere risultati palliativi talvolta utili per pazienti in gravi condizioni.
Radiografia. - Piccole quantità di radioisotopi possono servire come sorgenti di radiazioni da impiegare a scopo radiografico, in sostituzione dei normali tubi da raggi X; è evidente il vantaggio di queste unità, straordinariamente comode e leggere, che per il loro funzionamento non hanno bisogno di energia elettrica. Naturalmente le energie delle emissioni gamma che possono essere utilizzate non sono variabili, come nel caso dei raggi X, in ogni singolo caso; la tecnica è perciò alquanto grossolana e l'utilizzazione è per ora limitata ad unità portatili che, ad esempio nell'esercito americano, vengono adoperate per la diagnosi delle fratture. Sono stati usati per questo scopo il Tulio-170, l'Americio-241, il Cerio-Praseodimio-144, lo Xeno-133, l'Europio-155.
Brachiterapia. - si parla di brachiterapia quando la sorgente di radiazioni si trova a diretto contatto o a breve distanza dalla sede di utilizzazione. Tale applicazione "locale" dei radioisotopi può essere effettuata sia mediante impianti o infissioni, sia con applicatori superficiali.
Gli impianti possono essere a loro volta o permanenti (semi di Au-198 o di Y-90 infissi nell'ipofisi per ottenere la inibizione funzionale della ghiandola in casi di metastasi di neoplasie, specialmente mammarie) oppure temporanei (fili di Ta-182, fili e tubi di Co-60; tubi di Ir-192); fanno parte di questa categoria anche gli aghi di radio (radioisotopo naturale).
Gli applicatori superficiali possono essere distinti a seconda della sede di utilizzazione. Per l'occhio si possono adoperare applicatori di Sr-90, fili di Ta-182 o di Co-60; per le forme cutanee si usano il P-32, lo Sr-90, il Ce-114, il Ru-106. Per il cancro dell'utero i tubi di radio possono essere sostituiti da speciali sorgenti di Co-60 o di Cs-137. Per il retto e per la vescica sono stati adoperati il Na-24, il Br-92, il Co-60 in soluzione acquosa; per la vescica anche l'Au-198 colloidale e il Co-60 solido.
Come sostituto del radio in terapia intratessutale ha particolare importanza il Co-60, il quale - a parte il vantaggio economico - presenta un'attività specifica assai elevata e quindi permette di allestire sorgenti di dimensioni inferiori a quelle di preparati di radio di attività equivalente. Si possono ottenere aghi più sottili (meno traumatizzanti) e più flessibili dei comuni preparati di radio, con spazî morti minori, con carica a distribuzione più uniforme. Si usano anche delle sfere ("perle") che possono essere facilmente introdotte in cavità dell'organismo e, utilizzando le proprietà ferromagnetiche del cobalto, possono essere spostate opportunamente dall'esterno, per mezzo di un elettromagnete.
Per ottenere sorgenti filiformi flessibili per radioterapia intratessutale, piccoli cilindri di radiocobalto possono essere introdotti in catena in tubicini di nailon con pareti di o,25 mm di spessore (sufficienti ad arrestare circa il 93% della radiazione beta del Co-60). Può essere usato anche il Tantalio-182, che si presta molto bene ad essere lavorato in sottili fili flessibili.
Teleterapia. - Il sistema più in uso è rappresentato dalle unità di telecobaltoterapia. Una unità è costituita essenzialmente da: una sorgente di Co-60 racchiusa in un contenitore; un involucro di materiale ad alto peso atomico, di spessore sufficiente da ridurre l'intensità delle radiazioni emesse dalla sorgente, in misura tale da assicurare la protezione dell'operatore durante la sistemazione del paziente ed il centraggio; un otturatore che consenta di far passare nella direzione desiderata le radiazioni emesse dalla sorgente; un dispositivo di collimazione del fascio; uno stativo (che nella maggior parte delle unità consente di eseguire le irradiazioni anche con tecniche di movimento); un tavolo di comando.
Il fascio di radiazioni che proviene da un'unità per telecobaltoterapia è composto da radiazioni elettromagnetiche (due bande di uguale intensità, una di 1,17 MeV e una di 1,33 MeV); l'emissione beta, di energia massima pari a 0,3 MeV, che accompagna il decadimento del Co-60 a Ni-60, viene filtrata da una sottile lamina metallica, che costituisce la parete del contenitore del materiale radioattivo. Il tavolo di controllo è molto semplice e comprende i dispositivi per comandare l'apertura e la chiusura dell'otturatore, un orologio che interrompe automaticamente l'irradiazione, quando sia trascorso il tempo prefissato, ed il controllo del movimento per la terapia cinetica. Il "bunker" che assicura la protezione del personale durante il trattamento è in genere costruito in calcestruzzo e la sua costruzione rappresenta un onere notevole per chi deve impiantare un'unità di telecobaltoterapia. Il costo di manutenzione e di operazione delle unità è invece minimo, data la semplicità delle apparecchiature; il pericolo d'interruzione del lavoro per guasti è praticamente nullo.
Negli ultimi anni sono entrate nell'uso anche le sorgenti di Cesio-137, nelle quali si utilizza una radiazione gamma di 0,662 MeV. Le caratteristiche fisiche della radiazione sono intermedie fra quelle del Co-60 e quelle della roentgenterapia a 250 Vm.
Il Cs-137 è un prodotto di fissione facilmente disponibile in forti quantità, di costo relativamente basso, con periodo fisico di circa 30 anni. La sua emissione è costituita da due gruppi di particelle beta di energia pari a 0,51 e 1,2 MeV. L'8% delle sue disintegrazioni dà luogo all'isotopo stabile Ba-137; il 92%; decade invece in Ba-137, il cui nucleo si diseccita mediante emissione di un fotone di 0,662 MeV. In confronto con altre sostanze radioattive più usate per la terapia (il radio ed il Co-60). il Cs- 137 si trova in una posizione intermedia, presentando rispetto alle altre vantaggi e svantaggi.
Le unità di cesioterapia non sono solo classificabili fra quelle di teleterapia (analoghe a quelle di Co-60); esistono anche delle unità di "plesio-cesio-terapia" per l'irradiazione di forme superficiali o poco profonde, costruite per l'impiego a 5-10 cm di distanza sorgente-pelle, e dotate di cariche di 50-100 curie.
III. Macchine acceleratrici. - Per mezzo del ciclotrone, del sincrociclotrone, del betatrone, dell'acceleratore lineare, dell'acceleratore di Van de Graaf, si possono ottenere fasci ben collimati di radiazioni di alta energia, diverse a seconda del tipo di apparecchio considerato e comprendenti complessivamente: fotoni, elettroni, protoni, neutroni, particelle alfa, nuclei di atomi (ad es. Be, C), mesoni (particelle di massa intermedia fra gli elettroni ed i protoni).
Con molti degli apparecchi ora ricordati sono stati effettuati tentativi di terapia dei tumori umani; l'esperienza maggiore è stata finora raggiunta con l'impiego del betatrone, del quale, assieme agli acceleratori lineari e agli apparecchi di Van de Graaf, esistono tipi commerciali appositamente costruiti per scopi medici. Queste sorgenti, insieme alle unità di telecobaltoterapia, costituiscono i mezzi usati nella "radioterapia con alte energie", che ha portato negli ultimi anni un indubbio progresso, anche se non decisivo, nella cura di tumori maligni.
Il betatrone è un acceleratore di particelle (v. Betatrone, in App. II, 1, p. 391; acceleratore, in questa App.) con il quale si ottengono dunque sia radiazioni elettromagnetiche sia elettroni veloci. Mentre le indicazioni delle prime sono identiche a vuelle del Co-60 e, in genere, di tutte le radiazioni e. m. di energia superiore ad 1 MeV (tumori profondi), gli elettroni presentano un interesse particolare e si sono dimostrati utili nel trattamento di molte forme superficiali o poste a profondità intermedia (come, ad es., nella laringe) con risultati certamente superiori a quelli ottenibili con le radiazioni di energia convenzionale.
IV. Reattori nucleari. - L'impiego pratico in medicina delle radiazioni provenienti dai reattori è attualmente limitato alla terapia per cattura neutronica. Il metodo è basato sulla possibilità di produrre reazioni nucleari direttamente sui nuclei di elementi introdotti artificialmente in zone particolari dell'organismo. Si procede alla somministrazione di isotopi stabili di elementi caratterizzati da alti valori delle "sezioni d'urto" per la cattura di neutroni. Quindi si effettua un'irradiazione con neutroni termici, esponendo alla "colonna termica" di un reattore nucleare la zona d'interesse. Per le reazioni nucleari che seguono la cattura dei neutroni, si ha produzione di radiazioni gamma, particelle pesanti, isotopi radioattivi. L'assorbimento della dose praticamente è limitato alla zona irradiata, poiché reazioni di cattura neutronica come (n, p), (n, f), (n, c) producono particelle ionizzanti capaci di dare forti densità di ionizzazione solo nella zona d'interesse.
Fra gli elementi da adoperare come bersaglio presentano particolare utilità il Li-6, il B-1o e l'U-135, perché anche in concentrazioni estremamente piccole sono capaci di provocare l'assorbimento di dosi relativamente elevate. Sorge però per alcuni di essi il problema della tossicità dell'elemento, per semplici cause chimiche, come avviene per l'Uranio, il quale è capace di provocare la morte di un individuo per lesioni renali a concentrazioni piuttosto basse. Sono stati perciò usati principalmente il Litio e il Boro; per questo ultimo anzi esisterebbero speciali composti che tenderebbero ad accumularsi nel tessuto neoplastico in misura preferenziale in confronto al tessuto nervoso normale.
Sono stati ottenuti risultati incoraggianti nella terapia di alcune neoplasie cerebrali umane presso il Laboratorio Nazionale di Brookhaven; l'impiego di questi nuovi mezzi è stato però finora limitato solo a pochi casi e non è ancora possibile un giudizio definitivo sulla efficacia del metodo.
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