RADIOBIOLOGIA
1. Campi di applicazione. - Per r. si intende, in senso generale, lo studio degli effetti delle radiazioni sugli organismi viventi; spesso la parola è usata in senso più ristretto, per riferirsi agli effetti biologici delle "radiazioni ionizzanti". Tale dizione, non rigorosamente corretta, è entrata ormai nell'uso per indicare le radiazioni che, nei processi di interazione con la materia, agiscono prevalentemente attraverso processi di ionizzazione degli atomi. Fra queste, la maggior parte delle esperienze di r. riguarda sia radiazioni elettromagnetiche (raggi X e gamma), sia radiazioni corpuscolari (particelle alfa, neutroni, protoni, elettroni).
Dall'epoca della scoperta dei raggi X e delle sostanze radioattive naturali, per circa 50 anni, la r. è stata coltivata quasi esclusivamente dai medici radiologi. Con la scoperta della radioattività artificiale e della fissione nucleare, aumentando le possibilità di impiego delle radiazioni in varî campi, anche le applicazioni biologiche hanno trovato un numero più vasto di cultori. Attualmente la parte che interessa direttamente i radiologi, cioè lo studio degli effetti delle radiazioni con applicazione all'uomo, viene indicata col nome di r. medica. Altri campi di applicazione delle scienze radiobiologiche sono: la fisica medica (comprendente la dosimetria), la biofisica, la radiogenetica, la botanica, l'agraria, la zootecnia (specialmente per la possibilità di ottenere razze diverse mediante mutazioni), la microbiologia e la scienza della nutrizione (per i problemi pratici di sterilizzazione degli alimenti), la r. spaziale (per lo studio degli effetti biologici della radiazione cosmica), la biochimica, la fisica sanitaria (che si interessa della protezione dell'uomo dagli effetti dannosi delle rad iazion ij.
2. Tipi di radiazione. Simboli e unità di misura. - Alcune delle caratteristiche più importanti delle radiazioni qui considerate sono riunite nella Tab. 1.
L'energia delle radiazioni ionizzanti è espressa in elettronvolt (eV) o suoi multipli (keV = 103 eV; MeV = 106 eV). Un eV è l'energia uguale a quella posseduta da un elettrone quando esso sia accelerato con una differenza di potenziale di un volt, ed è uguale a 1,6•10-12 erg.
L'attività delle sostanze radioattive si esprime per mezzo del numero di disintegrazioni che hanno luogo per unità di tempo. L'unità di misura è il curie (c), che corrisponde a 3,7•1010 disintegrazioni al secondo e di cui sono frequentemente usati i sottomultipli millicurie (mc = 10-3c), microcurie (μc = 10-6c), mμc (= 10-9c) μμc (= 10-I2c).
La produzione di ionizzazioni da parte delle radiazioni ionizzanti avviene direttamente per le particelle cariche (elettroni, protoni, particelle alfa), indirettamente per le altre (neutroni, raggi X e gamma), sempre attraverso la produzione di particelle cariche (rispettivamente di protoni, da parte dei neutroni, e di elettroni da parte dei raggi X e gamma).
I raggi X e gamma si possono misurare per mezzo della dose di esposizione, basata proprio sulla capacità di produrre ionizzazioni. L'unità di tali misure è il roentgen (r), definito in termini delle ionizzazioni che i raggi X o gamma possono produrre in aria, in condizioni stabilite convenzionalmente. Ma gli effetti biologici di un dato tipo di radiazione dipendono dall'energia ceduta dalla radiazione alle cellule viventi. Perciò è più razionale esprimere le misure delle radiazioni in termini di energia assorbita. L'unità di dose assorbita, valida per qualsiasi tipo di radiazione, è il rad. Un rad equivale all'assorbimento dell'energia di 100 erg per grammo del materiale irradiato, nel punto di interesse. La dose assorbita può essere misurata direttamente con metodi calorimetrici, chimici o fisico-chimici, oppure può essere calcolata indirettamente, utilizzando le misure di ionizzazione.
3. Sorgenti e modalità di irradiazione. - Nell'irradiazione esterna le radiazioni raggiungono l'organismo vivente da sorgenti poste al di fuori di esso. Ciò ha luogo quando si esponga l'oggetto a fasci di radiazioni provenienti da un tubo da raggi X, o da una macchina acceleratrice, o da una sostanza radioattiva, naturale o artificiale. L'irradiazione interna è invece quella proveniente da materiali radioattivi incorporati entro l'organismo a seguito di ingestione, inalazione, o altra via che permetta l'assorbimento. Gli effetti biologici fondamentali sono gli stessi nei due casi, ma la distribuzione spaziale della dose assorbita varia notevolmente, e nel caso delle sostanze radioattive introdotte per via interna è influenzata dalla concentrazione differenziale di ogni singolo isotopo in determinati organi o tessuti.
L'irradiazione da sorgenti esterne può essere effettuata con dosi alte somministrate in breve tempo, potendosi osservare più o meno rapidamente effetti biologici notevoli (irradiazione "acuta"), oppure con dosi piccole prolungate per lungo tempo, sia mediante frazioni giornaliere (come nella esposizione professionale), sia mediante irradiazione continua. In questi casi si parla di esposizione "cronica". Il termine "piccole dosi" è definibile solo convenzionalmente e in genere si considerano tali quelle che superano da 10 a 100 volte il "fondo" costituito dalle sorgenti naturali di radiazioni, fondo valutato in media a circa 100 mrad/anno.
Nella Tab. 2 sono riportate le principali sorgenti di irradiazione esterna usate in radiobiologia. Nella Tab. 3 le categorie di sorgenti di radiazione che possono colpire l'uomo durante la sua vita sono riunite schematicamente.
4. Meccanismo del trasferimento di energia dalle radiazioni alla materia. - La catena di reazioni che porta agli effetti biologici inizia con i fenomeni fisici primarî di ionizzazione (già ricordata) e di eccitazione. A questi processi seguono modificazioni chimiche di un certo numero di molecole di importanza biologica fondamentale. È stato osservato che l'entità dei fenomeni fisici primarî, rispetto al numero di atomi esistenti nella materia vivente, è assai scarsa con le dosi comunemente efficaci in radiobiologia. Esiste perciò qualche processo intermedio, finora non del tutto chiarito, capace di "amplificare" il danno iniziale, e certamente legato alle caratteristiche stesse del materiale biologico.
Nell'interpretazione del meccanismo d'azione si ricorre in genere a due teorie principali: quella dell'azione diretta e quella dell'azione indiretta. Secondo la prima teoria si suppone che le ionizzazioni e le eccitazioni, per essere biologicamente efficaci, debbano aver luogo entro o nelle immediate vicinanze di particolari strutture capaci di controllare attività fondamentali per la cellula. Le ionizzazioni (o eccitazioni) che giungono fuori di tali strutture risulterebbero inefficaci (teoria del "bersaglio"). Tale teoria, già adombrata da F. Dessauer e sviluppata specialmente da N. W. Timoféew-Ressowsky e da D. E. Lea, può considerarsi valida in alcune particolari condizioni sperimentali, ed allora è possibile, con il calcolo, giungere a valutare anche le dimensioni delle strutture del "bersaglio". Secondo la teoria dell'azione indiretta, sviluppata specialmente da W. M. Dale e da C. A. Tobias, le strutture cellulari specifiche sono alterate a seguito di reazioni chimiche con radicali liberi formati nell'acqua irradiata, o per modificazioni di altre molecole non appartenenti alle strutture stesse.
Molti dati fanno ritenere che le due teorie siano complementari, e i due meccanismi devono essere considerati non come modelli teorici contrapposti, ma come due diverse espressioni delle modalità del trasferimento dell'energia delle radiazioni alla materia.
Dal punto di vista teorico è da ricordare che i fenomeni che hanno luogo nella sostanza vivente a seguito di irradiazione, seguono inevitabilmente il secondo principio della termodinamica. Per conseguenza non è concettualmente ammissibile negli organismi irradiati un effetto di stimolo inteso come espressione di aumentato livello energetico di un sistema, rispetto alle condizioni precedenti l'irradiazione (L. Turano).
In organismi superiori esiste infine la possibilità di effetti "a distanza", cioè la comparsa di fenomeni biologici evidenti in zone del corpo lontane da quelle irradiate, probabilmente attraverso la diffusione di sostanze attive, finora non identificate.
5. Chimica delle radiazioni (v. anche radiochimica, in questa App.). - Consideriamo anzitutto l'acqua, il costituente più abbondante della sostanza vivente. A seguito dei processi di ionizzazione, si ritiene che dall'acqua pura si formino, entro tempi dell'ordine di 10-11 − 10-12 secondi, due specie di prodotti radicali ("idrossili", OH e atomi di idrogeno, H), oltre a due specie di prodotti molecolari (H2 e H2O2); tutti questi prodotti ("prodotti di attivazione dell'acqua") tendono a ricombinarsi fra di loro. In presenza di ossigeno si forma anche un radicale "idroperossile": HO2. Se l'acqua contiene soluti, essi reagiscono con i prodotti di attivazione. Fra le reazioni chimiche studiate, dal punto di vista biologico hanno particolare interesse i processi di ossidazione di alcoli, aldeidi, acidi e le reazioni di decarbossilazione di questi ultimi. Sono ben noti inoltre processi di polimerizzazione (per es. da acido acetico ad acido succinico), di desaminazione di aminoacidi, di ossidazione di composti sulfidrilici. Anche molecole complesse come enzimi, proteine, acidi nucleinici, lipidi e polisaccaridi vengono modificate dall'irradiazione. Ma quando si giunge a tali molecole complesse, i meccanismi di reazione non sono ben chiari neppure nell'irradiazione in vitro. Nella chimica delle radiazioni si possono però distinguere bene i fenomeni dovuti ad effetti diretti (conseguenze immediate di ionizzazioni o di eccitazioni, sia sul punto di interazione sia in un punto più lontano di una stessa molecola), da quelli dovuti ad effetti indiretti (reazioni prodotte per attivazione del solvente). I due tipi di effetto si possono studiare attraverso l'analisi dell'andamento delle reazioni in funzione della concentrazione del soluto.
6. Modificazioni biochimiche. - I meccanismi essenziali che caratterizzano la "lesione biochimica") provocata dalle radiazioni non sono ancora noti. I fenomeni osservati sono per la maggior parte così strettamente legati alle lesioni morfologiche cellulari, da non permettere finora l'identificazione delle reazioni che seguono immediatamente i processi primarî.
Enzimi, coenzimi, vitamine, non risultano sostanzialmente danneggiati nell'irradiazione in vivo, fino a che le cellule non mostrano gravi lesioni morfologiche. Modificazioni di attività in vitro si possono ottenere solo con dosi molto superiori a quelle capaci di produrre ìn vivo evidenti effetti biologici. Anche lo studio delle modificazioni di sistemi fornitori di energia, come la glicolisi e la respirazione, non ha chiarito il problema. I processi di fosforilazione sono depressi dopo poco tempo dall'irradiazione, anche con dosi di 50 rad in tessuti come il midollo osseo, la milza e il timo, ma non è chiaro se tali effetti siano il risultato o la causa di altri danni biochimici.
Nei tessuti dotati d'attività proliferativa, il fenomeno più costante e più precocemente evidente è la inibizione della sintesi dell'acido desossiribonucleinico, attribuita a modificazioni del modello (o stampo) sul quale le nuove molecole dovrebbero formarsi; conseguenze dell'inibizione della sintesi dell'ADN possono essere la morte della cellula o la comparsa di mutazioni.
I processi di sintesi proteica in genere si trovano lesi solo dopo un tempo piuttosto lungo dall'irradiazione. Per contro sono stati osservati precocemente fenomeni di inibizione nei processi di sintesi indotta di proteine specifiche. Con tali osservazioni potrebbero essere correlati importanti aspetti degli effetti delle radiazioni, come la comparsa di infezioni negli animali irradiati, per inibizione della sintesi degli anticorpi.
Alcune attività biochimiche (Q02, attività enzimatiche) risultano in alcuni casi aumentate dopo irradiazione. Tali condizioni di apparente eccitazione sono da attribuire a transitoria maggiore disponibilità di determinati substrati, secondaria a inibizione o a distruzione di altri sistemi. In nessun caso sono dimostrabili veri fenomeni di stimolo.
7. Alterazioni citologiche. - Nel nucleo cellulare, il danno più evidente è a carico dei cromosomi. Nei neuroblasti di embrioni e in alcune piante sono sufficienti dosi di 25 rad per rendere manifeste alterazioni morfologiche. Queste sono particolarmente evidenti se la cellula viene irradiata durante le fasi che precedono il processo di divisione. L'espressione più semplice del danno in queste condizioni è la divisione ritardata; tale processo, a carico della cellula uovo di alcune specie animali, è stato spesso usato come metodo di studio quantitativo degli effetti delle radiazioni. L'"indice mitotico" (numero di cellule in divisione/numero totale di cellule) diminuisce dopo irradiazione, e tale diminuzione è proporzionale alla dose. Le prime modificazioni caratteristiche consistono in appiccicosità dei cromosomi (stickiness degli autori di lingua inglese), alterazioni del centromero, anomalie di formazione del fuso acromatico. A queste seguono le alterazioni strutturali, rappresentate da rotture dei cromosomi, rotture dei cromatidî, formazione di frammenti (micronuclei).
I frammenti che residuano dalle rotture tendono a riunirsi, ma tale riunione determina assestamenti (ricombinazioni) diversi dalle. situazioni preesistenti. Così il patrimonio genetico della cellula viene ad essere alterato, con conseguenze spesso letali per la cellula stessa o per le sue discendenti alla seconda o terza generazione. Dopo un certo tempo dall'irradiazione la divisione può riprendere il suo corso e, oltre alle conseguenze di eventuali mutazioni letali, le figure cariocinetiche possono presentare anomalie morfologiche, fra le quali è caratteristica la presenza di "ponti di anafase", dovuta all'incompleta migrazione di un filamento.
Un'altra espressione tipica del danno nucleare è la picnosi, caratterizzata da addensamento della cromatina, allontanamento del nucleo dal citoplasma, riduzione progressiva delle dimensioni nucleari, fino alla vacuolizzazione e alla frammentazione completa.
Fenomeni di frammentazione e di vacuolizzazione si osservano anche nel nucleolo. Questa formazione nucleare, insieme al nucleo stesso e al citoplasma, può andare incontro a rigonfiamento, a causa del blocco della divisione cellulare, non seguito da completa interruzione dei processi di sintesi. Oltre a ciò, tutti i processi regressivi della patologia cellulare (vacuolizzazione, rigonfiamento torbido, degenerazione ialina, amiloide, grassa, infiltrazione glicogenica, calcificazione, necrosi) si possono osservare nei tessuti irradiati, senza che nessuno di essi si possa considerare caratteristico.
8. Effetti genetici. - Le radiazioni possono provocare mutazioni, cioè modificazioni permanenti dei caratteri ereditarî; in questo modo esse possono danneggiare non solo gli individui esposti alle radiazioni stesse, ma anche i loro discendenti non irradiati. Le caratteristiche generali del danno genetico possono essere così schematizzate: è necessario un lungo tempo perché esso si manifesti; non vi è "dose-soglia"; le mutazioni, una volta completate, non sono suscettibili di riparazione; la comparsa delle mutazioni è casuale; vi è una grandissima probabilità che la mutazione sia dannosa per la specie interessata. Quest'ultima caratteristica dipende dal fatto che la combinazione dei geni presenti negli individui di una data specie è stata selezionata attraverso un numero assai grande di generazioni e per conseguenza le mutazioni favorevoli, man mano che si presentano, vengono selezionate ed entrano a far parte del corredo normale della specie. Ogni variazione che avvenga a caso ha quindi una probabilità assai scarsa di corrispondere ad un effetto favorevole.
Le mutazioni possono essere classificate in geniche e cromosomiche. Le prime sono dovute, almeno apparentemente, solo a geni singoli (point mutations); le seconde sono rappresentate dalle alterazioni strutturali che riguardano intere zone dei cromosomi, e alle quali abbiamo già accennato. Mutazioni spontanee esistono normalmente in ogni specie biologica; esse possono essere dovute ai moti di agitazione termica, a processi chimici intracellulari e, forse, alle conseguenze dell'irradiazione da sorgenti naturali. Per alcune specie è nota la frequenza delle mutazioni spontanee: per il topo e per la drosofila si hanno valori da 10-5 a 10-6 per locus per gamete esaminato; nei batterî sono state osservate frequenze minori, fino a 10-9 per locus. Per l'uomo, le valutazioni, assai approssimative, effettuate da diversi autori in varî paesi, hanno dato cifre variabili fra 4 • 10-6 e 40 • 10-6 per gamete.
L'effetto delle radiazioni sembra corrispondere ad un aumento della frequenza delle mutazioni normalmente esistenti in una data specie. Tale aumento è proporzionale alla dose e, nella maggior parte dei casi (a differenza dei fenomeni somatici), si ha una notevole indipendenza degli effetti dal frazionamento della dose (v. § seg.). Molti dati sperimentali si riferiscono a dosi dell'ordine delle centinaia e delle migliaia di rad, e da essi sembra risultare fondamentalmente un rapporto lineare fra dose ed effetto. Esistono invece pochissimi dati sugli effetti di dosi dell'ordine delle decine e delle unità di rad. È evidente come il problema - tuttora aperto - degli eventuali effetti genetici delle "piccole dosi" sia di estrema importanza per la specie umana, attualmente sottoposta a dosi di radiazioni provenienti da varie sorgenti e che tendono ad aumentare i valori del "fondo" naturale.
Nell'uomo, in discendenti di individui irradiati con alte dosi (ad esempio nei figli di sopravvissuti alle esplosioni nucleari in Giappone), si possono rivelare le conseguenze di mutazioni dominanti attraverso la comparsa di malformazioni alla nascita. Inoltre le conseguenze di mutazioni letali possono manifestarsi attraverso i seguenti fenomeni: 1) maggiore frequenza di aborti; 2) minore fertilità, o sterilità; 3) maggior numero di nati-morti; 4) modificazione del rapporto numerico fra maschi e femmine alla nascita (sex-ratio). In pratica è stato possibile ottenere informazioni significative (nel senso di una dimostrazione di effetti genetici dovuti ad alte dosi di radiazioni) solo per i punti 3) e 4). Per i punti 1) e 2) la grande variabilità dei fattori demografici che influenzano i fenomeni non ha permesso di trarre conclusioni. Come abbiamo accennato, niente è noto riguardo all'eventuale significatività genetica delle "piccole dosi" di radiazioni, cioè delle dosi che superano da 10 a 100 volte il "fondo" naturale. La Commissione scientifica delle N. U. sugli effetti delle radiazioni atomiche ha cercato di giungere a una valutazione approssimata della dose necessaria per provocare, nella specie umana, la comparsa di un numero di mutazioni uguale a quelle che compaiono normalmente in una generazione. Tale dose è detta "dose di raddoppio" (ingl. doubling dose) e in base agli scarsi dati esistenti la Commissione ha concluso che il suo valore sia compreso presumibilmente fra 10 e 100 rad (1958).
9. Effetti somatici. - Una serie di alterazioni morfologiche e funzionali deriva dall'iniziale danneggiamento delle strutture cellulari ed extracellulari provocato dalle radiazioni. Le funzioni di difesa degli organismi vengono depresse, sia per inibizione di processi cellulari come la fagocitosi, sia per danni ai meccanismi umorali di difesa (formazione degli anticorpi). Nei mammiferi irradiati con una dose abbastanza alta, può comparire un insieme di sintomi (stato di malessere generale, vomito, diarrea) che va sotto il nome di "sindrome generale da radiazioni"; nella patogenesi di tale sindrome ha importanza l'intervento di ghiandole endocrine specialmente delle ghiandole surrenali. A carico dei varî tessuti e organi si hanno lesioni caratteristiche, che però non sono specifiche, in quanto possono essere provocate anche con mezzi diversi dalle radiazioni.
Tali lesioni rappresentano le conseguenze dei processi regressivi a carico dei singoli elementi cellulari, con notevoli differenze di "radiosensibilità" fra i diversi tessuti e fra le varie categorie di cellule di uno stesso tessuto. Il tessuto linfatico, il midollo osseo, i tessuti germinali (testicolo e ovaio) sono fra i più radiosensibili; il tessuto muscolare, l'osso, le cartilagini, sono fra i più resistenti. Alcuni tessuti, come quello nervoso, sembrano resistenti dal punto di vista morfologico, ma risultano invece sensibili dal punto di vista funzionale, come dimostrano le ricerche di elettrofisiologia.
I fenomeni ricordati riguardano essenzialmente le prime conseguenze, più o meno rapide, dell'irradiazione "acuta". In un secondo tempo, se l'irradiazione è tale da permettere la sopravvivenza, e se il tessuto interessato ha le caratteristiche fisiologiche adeguate, hanno luogo processi di rigenerazione che tendono a riparare le lesioni prodotte. Infine, in un terzo tempo, compare una serie di fenomeni regressivi a carico specialmente del tessuto connettivo e dei vasi (ma che interessano anche i parenchimi), e che dal punto di vista istopatologico possono essere paragonabili ad uno stato di invecchiamento precoce. Modificazioni di questo tipo si osservano sia come conseguenze tardive dell'irradiazione "acuta", sia come espressione del danno nell'irradiazione "cronica". Alle manifestazioni tardive sono da aggiungere importanti fenomeni, come l'accorciamento della durata della vita, la comparsa di tumori e la comparsa di leucemie.
10. Fattori capaci di influenzare gli effetti biologici delle radiazioni. - Dato uno stesso tipo di radiazione, non è indifferente, dal punto di vista biologico, se la somministrazione di una data dose viene effettuata in tempi diversi. L'esempio più noto è la reazione cutanea nei malati irradiati per scopi terapeutici. Una stessa dose di raggi X o gamma può provocare lesioni cutanee gravi se somministrata in una sola irradiazione, della durata di pochi minuti. Se la stessa dose viene invece suddivisa in più frazioni, somministrate ad esempio a distanza di un giorno l'una dall'altra la reazione è minima. Tutto avviene come se una parte dell'effetto venisse in qualche modo neutralizzato (o riparato) dai tessuti. È questa una semplice espressione dell'influenza del fattore tempo in r., che tanta importanza ha nell'applicazione pratica delle radiazioni nella cura dei tumori. Nella maggior parte dei fenomeni biologici il frazionamento (una stessa dose suddivisa in più volte) o la protrazione (la stessa dose somministrata in una sola volta ma in un tempo più lungo, ad es. in 48 ore anziché in 15 minuti) tendono a diminuire gli effetti di una data dose di radiazione. Ciò è attribuito all'influenza dei processi di riparazione. Esistono anche casi nei quali l'effetto biologico è indipendente dal frazionamento (la maggior parte dei fenomeni genetici), e altri nei quali il frazionamento aumenta l'effetto (atrofia del testicolo nell'esperimento del Regaud, lesioni della cornea nel coniglio, induzione di tumori linfatici nel topo).
Un altro fattore fondamentale che può far variare quantitativamente gli effetti di una data dose di radiazione è rappresentato dall'ambiente di irradiazione e, in particolare, dalla natura e dalla pressione dei gas presenti al momento dell'esposizione. La presenza dell'ossigeno riveste particolare importanza, dato che, in generale, l'effetto di una data dose di raggi X o gamma risulta da due a tre volte maggiore in presenza di alte tensioni di ossigeno, in confronto all'ambiente di azoto. Ciò è stato osservato ad esempio per gli effetti letali su mammiferi, per le alterazioni dei cromosomi, per l'inibizione della crescita di tumori. L'"effetto ossigeno" è forse in rapporto con la formazione del radicale idroperossile HO2 e del perossido di idrogeno, ma il meccanismo di azione è certamente assai complesso, se si pensa che l'influenza della tensione del gas non si limita alla fase acuta di danno, ma si estende anche alle fasi di riparazione.
Gli effetti biologici delle radiazioni possono essere modificati con mezzi esterni, intervenendo prima o dopo l'esposizione. Nel primo caso si parla di effetto protettivo delle sostanze adoperate, che devono essere presenti nell'ambiente al momento dell'irradiazione, per risultare efficaci. L'effetto protettivo è stato ottenuto con molte sostanze, aventi caratteri assai diversi (Tab. 4). Una stessa sostanza può risultare attiva su una quantità di sistemi biologici, dagli enzimi irradiati in vitro, ai microorganismi, ai mammiferi. L'ipotesi più semplice sul meccanismo delle sostanze protettive è che esse agiscano per competizione con i prodotti di attivazione dell'acqua, ma, specialmente per gli organismi complessi, esistono numerose altre possibilità di interpretazione.
Nel secondo caso, se cioè si interviene dopo l'irradiazione, i mezzi adoperati si possono considerare come interventi terapeutici e interessano fondamentalmente i processi di riparazione. Il mezzo biologico più importante è costituito dall'introduzione per via parenterale di cellule di midollo osseo o di cellule embrionali. I trapianti di midollo (omologhi, eterologhi, o isologhi) sono capaci di far sopravvivere alcune specie di mammiferi a dosi altrimenti letali. La loro azione è dovuta al ripopolamento del midollo da parte delle cellule dell'ospite che sono state introdotte per iniezione. Nel caso di trapianti eterologhi (per es., nel topo, dopo l'irradiazione seguita da iniezione di midollo di ratto) si possono dimostrare le cellule che si sono moltiplicate recando i caratteri genetici della specie diversa (formazione di "chimere"). L'attecchimento dell'innesto è possibile solo perché nell'animale irradiato vi è una grave depressione dei poteri immunitarî. L'introduzione di questo metodo ha permesso negli ultimi anni un grande sviluppo degli studî di immunogenetica, che non mancheranno di dare nel futuro risultati di grande interesse.
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