RADIOASTRONOMIA (App. III, 11, p. 548)
I progressi avvenuti negli ultimi anni riguardano sia la qualità degli strumenti sia le scoperte effettuate.
Quanto agli strumenti ricordiamo che il flusso radio raccolto da un'antenna viene di solito espresso in W/m2 per una banda di frequenze di 1 Hz; l'unità di flusso in radioastronomia è il Jansky (abbreviato Jy) che vale 10-26 W/(m2 • Hz). Orbene, i migliori radiotelescopi oggi esistenti sono capaci di misurare sorgenti che dànno un flusso di soltanto qualche millesimo di Jansky.
Particolarmente notevole è stato poi il miglioramento del potere separatore dei radiointerferometri, in genere derivati dall'ormai classico schema della "Croce di Mills", costituita da riflettori cilindroparabolici fissi disposti a croce.
Questa disposizione ha lo svantaggio di funzionare bene soltanto intorno al meridiano; per contro, la combinazione opportuna dei diversi elementi fa sì che lo strumento ha un potere risolutivo assai elevato; l'altezza sull'orizzonte del "lobo d'antenna" può essere variata combinando le risposte dei diversi elementi in modo adeguato. Un buon esempio di strumento di questo genere è la "croce del Nord", installata presso Medicina (Bologna).
Una variante è la "Chriss-Cross" o "croce di Christiansen", costituita invece da tanti piccoli radiotelescopi disposti su di un tracciato a croce: in questo caso le sorgenti possono essere seguite per buona parte del loro percorso sulla sfera celeste. Analogo sotto molti aspetti a tale strumento precedente è il radioeliografo di Culgoora in Australia, costituito da 96 radiotelescopi disposti a distanze uguali su di una circonferenza che ha un diametro di 3 km. La risposta data da ogni strumento viene portata con dei cavi schermati al centro del cerchio, dove avviene la combinazione dei segnali. Sia la Chriss-Cross che quest'ultimo strumento si sono dimostrati particolarmente adatti alle ricerche sul Sole.
Un diverso orientamento per quanto riguarda i grandi strumenti è stato sviluppato negli ultimi anni dalla scuola di Sir Martin Ryle, a Cambridge in Gran Bretagna. L'apertura di un grande radiotelescopio di dimensioni chilometriche può essere sintetizzata osservando sempre la stessa zona del cielo con due soli elementi di antenna uno dei quali, in tempi successivi, occupa posizioni diverse dell'apertura che si vuol sintetizzare mentre l'altro rimane fermo. In realtà le operazioni da eseguire sono più semplici in quanto è sufficiente che il secondo elemento possa venire piazzato a distanze diverse dal primo lungo un binario rettilineo poiché la rotazione terrestre, facendo cambiare la prospettiva del sistema rispetto alla zona del cielo osservata, provvede allo spazzolamento dell'area desiderata. È ovvio che in questo caso una parte importante viene giocata dal calcolatore elettronico che combina i risultati ottenuti in tempi successivi dal telescopio di sintesi.
Il maggiore strumento di questo tipo oggi esistente è il "5 km" di Cambridge (G. B.), composto da quattro radiotelescopi fissi nell'ambito di una distanza di 3 km e quattro mobili lungo un binario di 2 km di lunghezza. Alla lunghezza d'onda di 6 cm il potere risolutivo di questo strumento è intorno ai due secondi d'arco. Un nuovo strumento del genere è in corso di costruzione nel Nuovo Messico (SUA) e sarà costituito da 27 grandi antenne disposte su di una traccia a Y la cui lunghezza totale sarà di 21 km; si potrà così ottenere una risoluzione migliore di un secondo d'arco.
Benché strumenti di questo tipo, notì con la sigla VLA (Very Large Array), offrano prestazioni eccellenti, essi non sono ancora in grado di risolvere le strutture fini di certi oggetti celesti molto compatti. Si sono perciò associati in forma interferometrica dei grandi radiotelescopi situati a centinaia di chilometri l'uno dall'altro costituendo i cosiddetti VLBI (Very Large Baseline Interferometers) capaci di risoluzioni dell'ordine del millisecondo d'arco e quindi notevolmente superiori, sotto questo aspetto, anche ai maggiori strumenti ottici.
Questo è dovuto al fatto che l'agitazione atmosferica, fattore drasticamente limitante nelle osservazioni ottiche, non ha che un'influenza marginale sulle osservazioni radioelettriche; inoltre lo sviluppo e il perfezionamento degli orologi atomici ha reso confrontabili le osservazioni ottenute con radiotelescopi diversi quando tutti i ricevitori usino come oscillatore locale lo stesso tipo di orologio atomico. Le osservazioni registrate su nastro magnetico vengono quindi elaborate da un calcolatore che ne estrae i dati definitivi. Sistemi VLBI funzionano già negli Stati Uniti con base dell'ordine di 3000 km, mentre si sta già pensando a uno strumento composto di 10 radiotelescopi uguali, di 25 m di diametro, che si estendono dalle Hawaii alla Spagna su di una base di 10.200 km.
Relativamente alle scoperte effettuate, ricordiamo che l'emissione radio dei corpi celesti è dovuta essenzialmente al moto disordinato degli elettroni liberi esistenti nei gas che compongono la materia interstellare e alla loro interazione con i protoni. Questo meccanismo, noto come Bremsstrahlung o "radiazione di frenamento", è efficiente soprattutto nella materia galattica e nella corona solare; condizione perché questo avvenga è che l'idrogeno sia ionizzato e che la densità del plasma così formatosi sia molto bassa. Un altro meccanismo, noto col nome di "radiazione di sincrotrone", si attua quando elettroni di alta energia, i cosiddetti elettroni relativistici, sono obbligati a spiralizzare intorno alle linee di forza di un campo magnetico; la radiazione emessa è in questo caso polarizzata e si distingue dalla precedente, che invece non lo è. Si può anche avere una emissione dall'idrogeno neutro in seguito all'accoppiamento del momento magnetico del nucleo con quello dell'elettrone. Se i due momenti passano dalla configurazione parallela a quella antiparallela si ha l'emissione di un fotone che ha una lunghezza d'onda di 21 cm. In questi ultimi anni si è pure scoperto che le molecole esistenti nello spazio possono emettere fotoni nel campo delle radiofrequenze; è stato perciò possibile individuare certe zone molto limitate della nostra Galassia, dove probabilmente vi sono delle stelle o addirittura dei sistemi planetari, in formazione, in cui si ha l'emissione radio da parte del radicale OH, della molecola CO, delle molecole di formaldeide, alcole metilico, acido formico, ecc.
Le principali sorgenti galattiche che emettono energia radio sono le cosiddette "nebulose diffuse", ossia quelle zone dove una stella ad alta temperatura ionizza l'idrogeno circostante. La zona ionizzata, chiamata anche "regione HII", è di solito circondata da una fascia di idrogeno neutro, o "regione HI", nella quale si rileva l'emissione della riga dell'idrogeno atomico a 21 cm di lunghezza d'onda. La proprietà che hanno le radioonde di passare indisturbate attraverso le nubi che oscurano una notevole parte della Galassia ha dato modo ai radioastronomi di delineare la struttura a spirale del nostro sistema osservando l'emissione della riga a 21 cm emessa dall'idrogeno neutro che compenetra i bracci spirale. Inoltre, poiché la galassia ruota, lo spostamento in frequenza per effetto Doppler ha permesso anche di misurare la velocità di rotazione fino alla lontana periferia della galassia.
L'emissione radio dovuta al meccanismo di sincrotrone si riscontra invece nella nebulosa del Granchio (Crab Nebula), che è il residuo dell'esplosione di una supernova avvenuta nel 1054 d. C. e registrata negli annali astronomici della Cina. La radiazione emessa da questa nebula è fortemente polarizzata, fatto questo che ci dice come vi debba esistere un intenso campo magnetico. L'energia totale emessa nello spettro radio e in quello visibile dalla Crab Nebula si stima essere circa centomila volte quella emessa dal Sole. Anche altre radiosorgenti sono state identificate con residui di supernovae, come Cassiopea A, probabilmente esplosa nel 1667, la sorgente del Cigno che probabilmente è vecchia di 50.000 anni e la Gum Nebua nella costellazione Vela dell'emisfero sud. Una scoperta sensazionale fatta dal radioastronomo A. Hewish di Cambridge (G. B.) è quella delle "pulsar", sorgenti che emettono impulsi regolari di radiofrequenza con periodi che vanno da 0,03 sec a 30 sec al massimo. Gl'impulsi sono così regolari e costanti che i periodi sono stati determinati con la precisione del milionesimo di secondo: v. pulsar, in questa Appendice.
Così come la nostra, anche le altre galassie emettono radioonde; la galassia di Andromeda e le Nubi di Magellano sono sorgenti assai intense di radioonde. Pure intense sorgenti di radioonde extragalattiche sono alcune galassie irregolari il cui prototipo è la M82, che ha certamente subìto nel suo centro dei fenomeni esplosivi; anche alcuni oggetti peculiari come la M87, che presenta un getto di materia espulsa forse da un'esplosione, e i ponti di plasma luminoso che si estendono fra due diverse galassie sono sede di intensa emissione radioelettrica. Ma, a parte questi esempi, esiste una classe di radiogalassie tipiche che comprende le galassie ellittiche (cioè mancanti di una struttura a spirale), le galassie doppie (forse in uno stadio di collisione) e le galassie di tipo N, oppure "galassie di Seyfert", che hanno un nucleo centrale molto intenso. È probabile che in queste radiogalassie l'emissione radioelettrica dipenda unicamente dai fenomeni che avvengono nel nucleo e sia indipendente dalla struttura. In alcuni casi, come Cigno A, l'emissione radio è localizzata in zone simmetriche ai lati dell'oggetto luminoso visibile, come se in seguito a un'esplosione fossero state espulse masse ingenti di plasma contenenti un'elevata percentuale di elettroni relativistici. Talvolta invece, come nella 3c120, grazie all'elevato potere risolvente di strumenti tipo VLBI, si sono isolati diversi nuclei emittenti le cui dimensioni sono stimate essere di circa 0,3 anni-luce, cioè circa 10.000 volte più piccoli del nucleo centrale della nostra Galassia.
Un'altra scoperta fatta grazie alla radioastronomia è quella delle "quasi-stelle" o "quasar" (v.). L'assenza di oggetti peculiari in zone del cielo nelle quali veniva rilevata un'intensa radioemissione ha portato a individuare oggetti di tipo stellare che corrispondevano alle sorgenti radio. Lo studio dello spettro ottico di queste "stelle particolari ha permesso di stabilire che le righe spettrali erano fortemente spostate verso il rosso cosicché si concluse che esse partecipavano al moto di espansione dell'Universo e che per di più avevano un'altissima velocità radiale. Si doveva quindi dedurre che esse si trovavano a distanze cosmologiche e molto maggiori di qualsiasi galassia fino allora osservata. Se questo ragionamento era corretto, allora le quasar dovevano essere degli oggetti estremamente luminosi, molto più di qualsiasi altra galassia conosciuta. Questa serie di difficoltà ha fatto pensare che le quasar potevano essere oggetti espulsi con notevole velocità da qualche galassia e che pertanto lo spostamento verso il rosso osservato nei loro spettri non poteva essere preso come un indice della distanza. La questione è ancora aperta e soltanto nuove accurate ricerche potranno portare a una soddisfacente interpretazione di questi interessanti oggetti: v. quasar, in questa Appendice. Sempre alla r. si deve anche la scoperta della "radiazione fossile" dell'Universo, la quale riempie tutto lo spazio e può essere assimilata alla radiazione che sarebbe emessa da un corpo nero che si trovasse alla temperatura di 3 °K (−270 °C). Questa radiazione, che è stata dapprima scoperta alle onde metriche e decimetriche, ha un massimo d'intensità intorno alla lunghezza d'onda di un millimetro; essa è stata ed è tuttora oggetto di intense ricerche, tendenti soprattutto a stabilire se è realmente isotropa, cioè se la sua intensità è indipendente dalla direzione di osservazione. L'origine più probabile di questa radiazione va collegata all'origine prima dell'Universo, cioè al cosiddetto big-bang, ossia all'esplosione iniziale che avrebbe dato origine ad alcuni elementi chimici e alla formazione delle galassie. L'espansione dell'Universo avrebbe portato poi a una diluizione della radiazione emessa al momento dell'esplosione, per cui la temperatura che ne rappresenta la distribuzione spettrale sarebbe scesa dal centinaio di milioni di °K ai 3 °K oggi osservati. Vedi tav. f. t.
Bibl.: W. Baade, Evolution of stars and galaxies, Cambridge, Mass., 1963; D. W. Sciama, L'unità dell'Universo, Torino 1965; G. Burbidge, Quasi-stellar obiects, San Francisco 1967; E. Schatzman, The structure of the Universe, New York 1968; Autori vari, Frontiers in astronomy: reading from scientific American, San Francisco 1970; A. G. Pacholczyk, Radio astrophysics, ivi 1970; D. W. Sciama, Modern cosmology, Cambridge 1971; L. Oster, Modern astronomy, San Francisco 1973; Autori vari, Astrofisica d'oggi - Letture da "Le scienze", Milano 1973; M. Ryle, Radiotelescopes of large resolving power, in Review of modern physics, vol. 47, n. 3 (1975); A. Hewish, Pulsars and high density physics, ibid., vol. 47, n. 3 (1975).