Radicali liberi
Il concetto di radicale libero ha una lunga storia nella chimica e nella biologia del 20° secolo. Un radicale libero è una qualsiasi entità molecolare, capace di esistenza indipendente (e in questo senso viene utilizzato l’aggettivo libero), che contiene uno o più elettroni non associati in coppia, come invece si verifica nella maggioranza degli atomi e delle molecole, in una determinata regione dello spazio che circonda il nucleo atomico, denominata orbitale. Questa proprietà predispone la specie a reagire con altre molecole per raggiungere lo stato più stabile di ‘accoppiamento’ (da cui il termine radicale per indicare un’entità chimica alla base della formazione di molecole stabili) e ha portato al grande successo delle reazioni radicaliche nella chimica industriale dei polimeri. La novità della seconda metà del secolo scorso è stata un’imponente crescita della ricerca sui radicali liberi nelle scienze della vita, per cui oramai, anche nell’accezione più comune, il termine è sinonimo di molecole responsabili di eventi molecolari nocivi per la salute, contro i quali la medicina moderna si sforza di combattere. Con il nuovo secolo sono però intervenute nuove conoscenze che hanno modificato, almeno in parte, questo concetto conferendo ai radicali liberi una potenzialità di funzioni che permea quasi tutti i fenomeni biologici (Dröge 2002).
Medicina e radicali liberi
Le reazioni di ossidoriduzione (redox), dato che riguardano lo scambio di elettroni fra una molecola che li acquista (ossidante) e una che li perde (riducente), sono le più frequenti fra quelle che coinvolgono i radicali liberi e quelle maggiormente implicate nei loro effetti biologici. Già nel 1935 il grande biochimico tedesco Leonor Michaelis (1875-1949), fondatore dell’enzimologia moderna con il suo lavoro del 1913, svolto insieme a Maud Menten, sulle equazioni che regolano la catalisi enzimatica, aveva proposto che le ossidoriduzioni biologiche, che spesso implicano lo scambio di due elettroni fra un ossidante e un riducente, procedessero per via di intermediari radicalici (semichinoni). Solo nell’ultimo terzo del secolo, però, è apparso chiaro che questo meccanismo era valido anche per le reazioni dell’ossidante più abbondante e biologicamente importante del pianeta, l’ossigeno (Lane 2002). La riduzione dell’ossigeno ad acqua nei mitocondri degli organismi aerobi e l’ossidazione dell’acqua a ossigeno nei cloroplasti degli organismi fotosintetici, le due reazioni che producono la maggior parte dell’energia nelle cellule, coinvolgono il trasporto di quattro elettroni, uno alla volta, in una catena di trasportatori di membrana (catena respiratoria nei mitocondri e catena fotosintetica o fotosistema nei cloroplasti). Le specie intermedie fra ossigeno e acqua sono indicate con l’acronimo ROS (Reactive Oxygen Species) per indicarne la grande reattività derivante o dalla loro natura radicalica (per il superossido e il radicale ossidrile) o dalla propensione a reazioni radicaliche in presenza di ferro o rame (per il perossido di idrogeno o acqua ossigenata). Queste specie, in condizioni fisiologiche, sono trattenute all’interno delle membrane mitocondriale e cloroplastica come intermedi transienti del processo enzimatico di attivazione dell’ossigeno, a eccezione di una piccola percentuale che può aumentare per stimoli di varia natura. Proprio questa quota variabile è stata considerata maggiormente responsabile dello stress ossidativo, una condizione derivante da alterato equilibrio fra produzione di ROS e difese antiradicaliche, sia geneticamente programmate sia acquisite con l’alimentazione.
La figura 1 presenta uno schema riassuntivo di questi processi, in base ai quali si è giunti a ipotizzare, in modo semplicistico, molti stati patologici come una conseguenza diretta di questo stress (malattie da radicali liberi) e a considerare le molecole capaci di prevenire, intercettare o riparare il danno da radicali (genericamente chiamate antiossidanti) come un rimedio farmacologico o nutrizionale universale. Negli ultimi anni del 20° sec., però, questo modo di vedere si è andato modificando, anche per gli effetti non sempre benefici di terapie e integrazioni alimentari a base di antiossidanti. Il concetto di radicale libero biologico è diventato di fondamentale importanza per la comprensione di molteplici fenomeni anche fisiologici e non solamente dei danni patologici prodotti in condizione di stress ossidativo (Finkel 2003). Mentre il danno ossidativo da radicali liberi implica modifiche chimiche irreversibili del bersaglio molecolare colpito e indiscriminate rispetto al tipo di molecola e di gruppo chimico modificati, gli effetti di natura fisiologica si esplicano attraverso alterazioni chimiche reversibili e selettive e, pertanto, potenzialmente adatte a divenire parte attiva in meccanismi di regolazione metabolica. I progressi in questa direzione si sono accelerati nel primo decennio del 21° sec. e hanno riguardato soprattutto il ruolo dei radicali nei segnali (redox signaling) che intercorrono fra cellule e tessuti per la regolazione delle funzioni degli organismi (Forman, Torres, Fukuto 2002). Lo scopo principale della presente trattazione è quello di delineare le fasi attraverso le quali questa nuova visione del ruolo dei radicali liberi in biologia ha preso corpo nel 21° secolo. Esporremo questi dati con un approccio lineare, ossia con i vari argomenti in sequenza. Occorre però ricordare che gli effetti metabolici dei radicali liberi interagiscono fra loro in maniera circolare e reticolare; non a caso sono divenuti recentemente argomento predominante della moderna biologia di sistemi (systems biology) che studia, soprattutto con l’aiuto della bioinformatica, la molteplicità e la multidirezionalità dei parametri che producono un fenomeno.
Il primo passaggio nella storia recente di questa evoluzione prospettica è stato la scoperta dello strano rapporto fra i radicali liberi di importanza biologica e le molecole gassose predominanti sul pianeta.
Nuovi radicali liberi da molecole antiche
Il primo impulso a questi nuovi concetti è stato dato dalla scoperta di radicali diversi dai ROS che, fino a pochi anni fa, erano considerati gli unici radicali liberi di importanza biologica insieme ai perossidi derivanti dall’addizione dell’ossigeno ai doppi legami degli acidi grassi insaturi delle membrane. Essi perciò prendevano tutti origine da una molecola gassosa dell’atmosfera, anch’essa di natura radicalica, che dà luogo anche ad altre forme reattive, assimilate ai ROS e generate in presenza di radiazioni, come l’ozono e l’ossigeno di singoletto. Negli ultimi anni si è scoperto che anche altri gas atmosferici di piccole dimensioni possono produrre specie radicaliche con effetti biologici (Li, Moore 2007). In primo luogo l’azoto, il principale gas dell’atmosfera terrestre, più abbondante dell’ossigeno stesso. Anch’esso è di per sé poco reattivo, ma nel complesso processo di incorporazione nella materia biologica dà origine a specie radicaliche indicate, in analogia con i ROS, come RNS (Reactive Nitrogen Species), specie reattive dell’azoto. Il loro ruolo è divenuto altrettanto importante e, poiché spesso ROS e RNS si producono insieme e hanno effetti simili e sinergici, si chiamano collettivamente RONS (Reactive Oxygen and Nitrogen Species). Il capostipite degli RNS è l’ossido d’azoto o nitrico (NO) che nei sistemi biologici si genera per ossidazione di uno degli atomi di azoto del gruppo guanidinico dell’amminoacido arginina, reazione catalizzata dall’enzima sintetasi dell’ossido nitrico o NO-sintasi (NOS). ROS e RNS interagiscono fra loro in vario modo: l’NOS, per es., è attivata da dosi fisiologiche di perossido d’idrogeno e l’interazione diretta di superossido e NO è all’origine di una specie generatrice di danno ossidativo, il perossinitrito. Le scoperte più recenti hanno però mostrato che la maggior parte degli effetti degli RNS si esplica a livello della regolazione fisiologica delle funzioni dell’organismo. Nel 1998, a soli undici anni dalla prima scoperta della produzione cellulare dell’ossido nitrico, fino allora considerato un gas di competenza della chimica inorganica, il premio Nobel per la medicina o la fisiologia è stato assegnato agli scienziati statunitensi Robert F. Furchgott, Louis J. Ignarro e Ferid Murad per le loro ricerche sul ruolo dell’ossido nitrico come mediatore di segnali fisiologici nel sistema cardiovascolare, in particolare quelli che regolano la vasodilatazione per effetto del rilassamento della muscolatura liscia. Queste proprietà dell’ossido di azoto sono alla base dell’attività vasodilatatrice della nitroglicerina, scoperta dall’italiano Ascanio Sobrero nel 1847, insieme alla sua azione esplosiva che sarà sfruttata pochi anni dopo da Alfred Nobel per la preparazione della dinamite. Le conseguenze più recenti degli studi sulle proprietà biologiche di questo radicale libero sono state la scoperta dei meccanismi molecolari che regolano il processo di erezione e la successiva diffusione di farmaci per la cura dell’impotenza maschile.
Un’altra specie radicalica della quale non si conoscevano effetti biologici deriva dal terzo gas atmosferico in ordine di abbondanza, ossia l’anidride carbonica (CO2): è il radicale carbonato, CO3−. Esso è un modulatore importante dell’azione ossidante del perossinitrito che, in sua presenza, modifica selettivamente alcuni specifici residui amminoacidici, come il triptofano, la tirosina e la cisteina, un fenomeno (nitrazione o nitrosilazione delle proteine) riscontrato in molti stati patologici e di cui non si conosceva prima il meccanismo di insorgenza. Inoltre, recentemente è stato messo in evidenza il suo ruolo nel meccanismo dell’attività aggiuntiva dell’enzima superossidodismutasi a rame e zinco (SOD1) che si esplica in alcune situazioni patologiche. Questo enzima è la difesa principale della cellula dai ROS (fig. 1) perché elimina il radicale primario dell’ossigeno, l’anione superossido O2−·, mediante una reazione di dismutazione che lo trasforma in perossido d’idrogeno, H2O2. Questo prodotto di reazione, se non decomposto da altri enzimi (catalasi e glutatione perossidasi), genera radicali ossidrile al sito attivo della SOD1, inattivandola. In presenza di bicarbonato, si formano radicali carbonato, e questa reazione risparmia il centro attivo dell’enzima, ma produce danno ossidativo su altri bersagli biologici. Queste reazioni configurano un’attività pro-ossidante di un enzima antiossidante e sono rilevanti, per es., quando esistono varianti genetiche della SOD1 che, a parità di attività superossido dismutasica, hanno una conformazione del sito attivo che favorisce la reazione con il perossido di idrogeno.
In maniera analoga alla caratteristica di specificità conferita dal radicale carbonato all’azione potente ma non selettiva di radicali come l’ossidrile e il perossinitrito, due altre piccole molecole gassose, cioè il monossido di carbonio, CO, e l’acido solfidrico, H2S, hanno rivelato, in seguito a recentissime scoperte, un ruolo di modulatori dell’azione ossidante di radicali liberi, pur non avendo essi stessi natura di radicali. Di questi due gas non si sospettava un ruolo biologico positivo anche perché, per la loro presenza nei residui incombusti dei motori a scoppio e nei processi putrefattivi, sono universalmente associati alla tossicologia da inquinamento ambientale.
La maggior parte del CO presente nei tessuti è dovuta all’azione dell’enzima emeossigenasi (HO) che avvia la degradazione a pigmenti biliari del gruppo ferroporfirinico dell’emoglobina. La cosa strana è che questo enzima aumenta in condizioni di stress ossidativo, come se si trattasse di una risposta antiossidante. Le scoperte più recenti indicano che questa azione è mediata dal suo prodotto CO, che è capace di inibire la reazione proinfiammatoria tipica dello stress ossidativo, mediante specifici effetti sui geni che producono i mediatori proteici dell’infiammazione.
L’acido solfidrico o idrogeno solforato si genera nell’organismo per mezzo della reazione dell’amminoacido cisteina, contenente il gruppo tiolico o sulfidrilico (SH), con altre molecole tioliche per azioni di specifici enzimi, particolarmente abbondanti nel cervello e nei vasi sanguigni, sede preferenziale anche dell’attività dell’NO-sintasi. Come l’NO, ha un’attività vasodilatatoria sui vasi, che risulta peraltro operante con meccanismo indipendente e privo di effetti collaterali rispetto all’ossido nitrico. È interessante ricordare che i ben noti effetti vasoattivi dell’aglio e dei composti da esso derivati sono dovuti a questo gas. Nel cervello esso aumenta la risposta dei recettori associati con il miglioramento delle capacità cognitive e protegge i neuroni da fenomeni di invecchiamento per azioni antiossidanti derivanti da sinergie specifiche con il primario antiossidante tiolico cellulare, il glutatione (v. oltre).
Queste scoperte, e soprattutto il caso dell’ossido nitrico con la sua duplicità di effetti, ossia di danno ossidativo e di regolazione fisiologica (per questo definito molecola Giano, dal dio bifronte della mitologia romana), hanno stimolato nuovi studi con i quali si è potuto dimostrare che anche i ROS, a basse concentrazioni, possono intervenire come mediatori fisiologici dell’inizio di molti processi funzionali. A questi risultati si è giunti attraverso lo studio di particolari reazioni ossidoriduttive che consentono l’utilizzo di flussi moderati di radicali liberi con la finalità della regolazione metabolica.
Le biomolecole solforate nella regolazione metabolica da radicali liberi
Se lo stimolo ossidativo proveniente dall’ambiente si limitasse alla formazione di ROS e RNS, sarebbe inefficace come regolatore dei processi fisiologici degli organismi, perché queste specie hanno nella cellula una vita molto breve a causa della loro instabilità e della loro reattività indiscriminata con le molecole circostanti. Invece, il potenziale ossidativo dei ROS, quando prodotti in concentrazioni fisiologiche, è fissato su molecole che nello stato ossidato sono relativamente stabili e ripristinano il loro stato ridotto solo mediante reazioni dotate di alta specificità. Per questi processi il perossido di idrogeno e l’ossido nitrico sono più adatti dei loro derivati radicale ossidrile e perossinitrito, responsabili di reazioni ossidanti più potenti, indiscriminate e irreversibili. Il sistema chimico che l’evoluzione molecolare ha selezionato come bersaglio ideale di tali ossidazioni blande, nel caso dell’idrogeno solforato, è costituito da composti contenenti, nel loro stato ridotto, il gruppo sulfidrilico o tiolico (−SH) dell’amminoacido cisteina incorporato in peptidi o proteine (fig. 2). Per azione del perossido di idrogeno esso diventa gruppo sulfenico (−SOH) o disolfuro (−S−S−), mentre per effetto dell’ossido nitrico si trasforma in gruppo nitrosotiolico (−SNO). Queste reazioni possono portare a modificazioni postgenetiche di cisteine specificamente reattive di proteine che, a causa di questa modificazione di struttura, alterano la loro funzione in maniera da rendere trasferibile il segnale innescato dai radicali liberi. Così specie chimiche che per loro natura hanno vita brevissima e reattività indiscriminata e irreversibile, in seguito all’incontro con un determinato gruppo tiolico, acquistano specificità di bersaglio e reversibilità di effetti, vale a dire le due proprietà alla base della regolazione metabolica.
Un esempio, dimostrato da dati recenti (Stamler, Sun, Hess 2008), è quello che spiega la diminuzione della contrattilità e il danno ossidativo del muscolo scheletrico nella fatica dopo esercizio strenuo, effetti da tempo riferiti ai ROS prodotti in seguito ad attività fisica eccessiva. Si è potuto osservare che nella contrazione muscolare lo ione Ca2+, messo a disposizione della stessa dall’apertura di specifici canali di membrana, è anche in grado di attivare una forma di NOS. Nell’esercizio prolungato e sostenuto si ha una eccessiva nitrosilazione delle cisteine delle proteine che costituiscono i canali del Ca2+, la quale porta a incapacità degli stessi a mantenere il flusso dello ione nei limiti fisiologici e conseguente blocco della contrazione. La nitrosilazione (−SNO) delle cisteine è però una reazione reversibile e si stanno studiando specifici agenti riducenti che, ripristinandone lo stato −SH, potrebbero migliorare la capacità di esercizio muscolare.
Queste reazioni avvengono in modo più ubiquitario e quantitativamente più rilevante a livello della cisteina del tripeptide glutatione (Filomeni, Rotilio, Ciriolo 2002) costituito da acido glutammico, cisteina e glicina e siglato come GSH nello stato tiolico e GSSG nello stato più comune di blanda ossidazione, quello disolfurico. In virtù della sua abbondanza (concentrazioni millimolari) il glutatione è il vero tampone delle reazioni radicaliche nella cellula, che lo trasformano o in composti di adduzione specifici (per es., il GSNO, il nitrosoglutatione) o lo ossidano, soprattutto generando GSSG. In ogni caso esistono sistemi in grado di ripristinare rapidamente la forma GSH mantenendo il potenziale antiradicalico della cellula: fra questi è importante la tioredossina (Trx), presente nelle cellule in concentrazioni mille volte inferiori al glutatione. Essa contiene due tioli nel suo centro attivo che, trasformandosi in disolfuro, sono ideali per riportare allo stato ridotto disolfuri o altre forme ossidate dello zolfo (solfossidi, solfenati ecc.) formatisi su proteine per azione dei ROS. Data la sua bassa concentrazione essa agisce in maniera ciclica, rigenerandosi continuamente nella forma tiolica a opera di enzimi ad attività reduttasica. Ha anche la funzione di fornire gli equivalenti di riduzione necessari all’attività perossidasica delle perossiredossine, una nuova famiglia di perossidasi che controllano il livello del perossido di idrogeno nei neuroni, sia per regolare i recettori ROS-sensibili sia per proteggere queste cellule dal danno ossidativo implicato nell’invecchiamento cerebrale e nelle malattie neurodegenerative. La S-nitrosilazione di due cisteine di una perossiredossina specifica del cervello e la sua conseguente inattivazione sono un accertato meccanismo patogenetico nella malattia di Parkinson.
Più di questa funzione difensiva, è importante ricordare che il GSSG può propagare il segnale iniziato dai radicali liberi mediante una successione di reazioni tiolo-disolfuro a livello di proteine selezionate all’interno di un determinato processo regolatorio, come nel caso della comunicazione intercellulare (trasduzione del segnale) e dell’attivazione genica.
Radicali liberi e trasduzione del segnale
I recettori di membrana trasferiscono all’interno della cellula il segnale chimico che arriva dall’esterno veicolato da ormoni, fattori di crescita e altre molecole bioattive, quali farmaci e componenti alimentari, che non sono in grado di attraversare la membrana cellulare (trasduzione del segnale). Questa funzione coinvolge i RONS a molti stadi di attuazione (D’Autreaux, Toledano 2007). Un caso tipico riguarda l’ormone essenziale al metabolismo del glucosio, l’insulina (fig. 3). Il legame dell’insulina al suo recettore produce l’attivazione di un enzima di membrana (NADPH ossidasi), capace di produrre, in flusso controllato, perossido di idrogeno dall’ossidazione di un coenzima ridotto (NADPH), che si genera esclusivamente per ossidazione diretta del glucosio e quindi fa da rivelatore della sua concentrazione nei tessuti. Questo flusso controllato di ROS ossida specifici residui di cisteina di proteine incorporate nella parte intracellulare del recettore, trasformandone il gruppo tiolico in derivati sulfenici o disolfurici, capaci di essere nuovamente riportati allo stato ridotto al venire meno del flusso di ROS (ossidazione reversibile o blanda). In questo stato di blanda ossidazione il recettore aumenta la sua capacità di legame con i gruppi fosforici, e nella sua forma fosforilata è in grado di attivare enzimi importanti per il metabolismo del glucosio. Questo tandem ROS-fosforilazione, mediato da ossidazione blanda delle cisteine di proteine specializzate, opera in molti altri casi di attivazione recettoriale e rappresenta un caso particolare del fenomeno più generale della regolazione delle chinasi da parte dei ROS (Filomeni, Rotilio, Ciriolo 2005). Le chinasi sono appunto gli enzimi che catalizzano il trasporto di gruppi fosforici dal donatore universale di fosforo adenosintrifosfato (ATP) a determinate proteine, la cui attività è di conseguenza alterata o verso un aumento o verso un’inibizione. Molte chinasi sono preposte alla regolazione del ciclo cellulare, per es. le chinasi regolate dai mitogeni o MAPK (Mitogen Activated Protein Kinases). I risultati degli studi più recenti hanno dimostrato che intervalli molto stretti nel flusso di RONS possono indirizzare il ciclo cellulare verso la sua attivazione o il suo arresto attraverso la modificazione ossidativa di cisteine delle proteine che si intercalano fra la fonte primaria di radicali e le MAPK (fig. 4). Anche altre chinasi sono soggette a regolazione ossidoriduttiva, che può avvenire non solo per ossidazione di loro cisteine specifiche da parte dei ROS, ma anche, al contrario, per effetto del legame di molecole antiradicaliche, come le vitamine A ed E, che impediscono queste ossidazioni. Nel loro complesso, questi processi di regolazione radicalica delle chinasi sono molto importanti nel determinare l’accelerazione della riproduzione cellulare (proliferazione), come nello sviluppo degli organismi e nella carcinogenesi, o per converso il suo rallentamento, come nell’invecchiamento e nella morte cellulare programmata o apoptosi.
Radicali liberi e geni
La difesa degli organismi contro i danni ossidativi è basata essenzialmente sull’espressione, costitutiva o induttiva, di geni che, con i prodotti di tale espressione, regolano la sintesi di molecole antiradicaliche o mediano l’azione fisiologica dei radicali stessi. Questo equivale a dire che le reazioni radicaliche intervengono sia a valle, sui terminali recettoriali e intracellulari del segnale, sia a monte, sui dispositivi molecolari dell’inizio del segnale a livello genetico. Questi dispositivi sono anch’essi proteine, denominate fattori di trascrizione, perché, legandosi a zone specifiche del DNA (promotori) fanno partire la sintesi dell’RNA complementare (trascrizione) che detterà la sintesi della proteina corrispondente (traduzione). Nei procarioti (fig. 5A) i radicali liberi hanno effetti diretti sul gene perché i fattori di trascrizione contengono essi stessi un elemento ROS-sensibile, rappresentato da gruppi di cisteine ridotte o da centri ferro-zolfo, costituiti da un atomo di ferro al centro di un complesso di zolfi sulfidrilici. Nei batteri è stato individuato un sistema di risposta allo stress ossidativo che comprende una proteina regolatoria, OxyR, la quale, quando le sue cisteine sono ossidate da bassi livelli di ROS ad acido sulfenico e a disolfuro, favorisce l’espressione dei geni di numerose molecole antiradicaliche. Negli eucarioti monocellulari (fig. 5B), per es. i lieviti, l’espressione genica è controllata dai ROS in maniera analoga, ma implica, a causa dei diversi compartimenti cellulari che concorrono alle fasi successive di induzione e di esecuzione del processo di attivazione dei geni, un doppio trasferimento del fattore di trascrizione da e verso il nucleo. Negli eucarioti superiori (fig. 5C) la situazione è più complessa e coinvolge la sinergia di meccanismi redox con meccanismi di modificazione covalente in compartimenti cellulari diversi con differenti omeostasi redox. Per es., molti fattori di trascrizione sono attivati nel citoplasma mediante fosforilazione da parte di chinasi a loro volta attivate dai ROS, ma l’evento che termina il processo, cioè il legame del fattore al DNA per iniziare la trascrizione, richiede, contrariamente a quanto avviene nei procarioti, condizioni riducenti che sono assicurate nel nucleo dal sistema GSH-tioredossina. Un caso esemplare è quello del fattore di trascrizione c-Fos, che si lega al DNA se la sua cisteina n. 154 è nella forma SH, mentre se ne stacca quando basse concentrazioni di ROS la trasformano in sulfenato, SO–, una struttura molto rara che è in questo caso stabilizzata dalla sua collocazione all’interno della struttura proteica. La forma ridotta della tioredossina interviene per riportare il fattore allo stato capace di combinarsi con il DNA. La necessità di regolare in modo accurato il flusso di radicali liberi per garantire questa doppia esigenza di condizioni proossidanti e antiossidanti per la corretta espressione del genoma è alla base dell’esposizione degli organismi superiori a rischi di squilibrio ossidoriduttivo che si traducono in varie situazioni patologiche le quali trovano la loro causa primaria nell’interazione fra RONS e geni.
Le nuove conoscenze acquisite sul ruolo dei radicali in tutti gli stadi di generazione e trasferimento dei segnali biologici di regolazione hanno permesso, negli ultimi anni, di rivisitare la ‘patologia da radicali liberi’ dello scorso secolo alla ricerca del loro coinvolgimento nei meccanismi patogenetici più intimi e sottili, soprattutto coinvolti negli stadi iniziali dei vari eventi morbosi, al di là della mera constatazione di un danno terminale ipoteticamente di natura ossidativa, aprendo nuovi orizzonti alle prospettive terapeutiche. Tutta la medicina, nei suoi aspetti molecolari, è stata coinvolta in questa transizione, indicata nel primo paragrafo come medicina molecolare della regolazione redox.
Infiammazione e malattie macrofagiche
All’inizio dell’ultimo quarto del 20° sec. erano due i fenomeni fisiopatologici che sembravano legati primariamente ai ROS. Il primo, ampiamente confermato, è la produzione di ROS da parte di cellule specializzate, i macrofagi, come reazione alla presenza di microrganismi o particelle estranei all’organismo, fase iniziale della risposta antinfettiva e infiammatoria in generale. Il secondo, ancora oggetto di dibattito, è il ruolo, apparentemente paradossale dei ROS, nel danno ischemico o ipossico dei tessuti (comunemente detto infarto) in seguito all’occlusione di un vaso sanguigno. In questo caso il danno si produrrebbe non nella fase di assenza di ossigeno, ma in quella posteriore di riammissione dell’ossigeno, con l’ossidazione (e la conseguente produzione esplosiva di ROS) di composti accumulatisi nel tessuto a causa dell’interruzione del flusso metabolico (ischemia-riperfusione).
In ambedue i casi si tratta di interpretazioni tipiche del secolo scorso, con il danno ossidativo diretto, prodotto dal radicale al microrganismo o al tessuto, alla base di tutta la patologia in questione. L’approccio attuale è diverso ma, anche stavolta, comune ai due fenomeni. I ROS prodotti dai macrofagi attraverso un meccanismo recettoriale che coinvolge un’ossidasi di membrana simile a quella per l’insulina, attivano mediatori molecolari comuni all’infiammazione e a molti stati patologici, soprattutto di natura cardiovascolare, come l’aterosclerosi, l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale, ma anche le malattie neurodegenerative e l’obesità. Il gruppo sempre più vasto di quelle che possiamo chiamare malattie macrofagiche trova un meccanismo unificante nel ruolo che i ROS hanno nell’attivare l’immunità congenita o innata come risposta a numerosi stress ambientali ed endogeni: eccessiva o scorretta alimentazione, fumo di sigaretta, stress psicologici, tutti fattori notoriamente implicati nelle malattie croniche sopramenzionate. L’immunità innata è costituita da quei sistemi molecolari e cellulari che nella medicina del 20° sec. erano indicati collettivamente come risposta della fase acuta e che sono messi in campo dall’organismo come prima linea di difesa contro ogni tipo di perturbamento dell’omeostasi: invasioni microbiche o virali, aggressioni da agenti chimici o fisici, stress psicologici e metabolici. In tutti questi casi i RONS possono essere prodotti: a) dall’agente perturbatore medesimo, come nel caso delle radiazioni; b) dall’ossidasi di membrana del macrofago, come nel caso delle infezioni; c) da metaboliti ossidabili, per es. i neurotrasmettitori (catecolamine) prodotti in eccesso nell’allarme psichico, da sostanze contenute nei cibi (grassi insaturi) o derivate dal metabolismo dei nutrienti (glucosio) in quantità eccessive, da molecole che si accumulano nelle zone infartuate dei tessuti.
I RONS così formati non agiscono solo a livello di danno locale, ma sono registrati da recettori specifici di macrofagi specializzati, presenti anche nel tessuto adiposo e nel tessuto endoteliale, che agiscono come cellule sentinella (fig. 6). Essi attivano, al loro interno, geni per la sintesi di mediatori proteici deputati alla propagazione della risposta immune. Il primo di questi mediatori si chiama NF-κB e stimola in vari tessuti la produzione di citochine, quali l’interleuchina 6 e il fattore di necrosi tumorale, che sono i veri e propri esecutori dei fenomeni infiammatori evoluti per la difesa contro lo stress iniziale, ma che poi, se lo stimolo persiste, diventano il punto di partenza delle malattie croniche più importanti: aumentata coagulabilità del sangue, e conseguente rischio di infarto, maggiore permeabilità dell’endotelio con predisposizione alle lesioni aterosclerotiche, resistenza all’insulina nel tessuto adiposo per rallentare il flusso di glucosio con maggiore probabilità di insorgenza di diabete. L’attivazione di una risposta di questo tipo è stata riscontrata anche nel cervello dell’anziano e intorno alle lesioni tipiche delle malattie neurodegenerative, come reazione alla produzione anomala di ROS che si ha in queste due situazioni.
Il fatto che la risposta infiammatoria sia la più generale e, quantitativamente, la più imponente fonte di RONS negli organismi è confermato sia dalla presenza di proteine nitrosilate nei tessuti interessati, sia dall’elevata e specifica induzione di superossido dismutasi mitocondriale (SOD2) come ‘contromisura’ all’aumento del loro flusso nella sede più sensibile al controllo dell’omeostasi radicalica.
Invecchiamento e cancro
I radicali liberi e la trasmissione di segnali biologici da loro attivata sono anche alla base della biologia comune del cancro e dell’invecchiamento (Finkel, Serrano, Blasco 2007), nei quali i geni responsabili danno origine a mediatori proteici che possono anche invertire i loro effetti in dipendenza della fase dello sviluppo dell’organismo in cui lo stimolo dei ROS si verifica. Infatti questi geni sono gli attori primari della moltiplicazione e della morte delle cellule, fenomeni che rispondono a una stessa logica di differenziamento e crescita dei sistemi viventi. In un certo senso anche le teorie del secolo scorso si fondavano su un’idea unificante: gli effetti ambientali. L’ipotesi semplicistica che la senescenza fosse data dall’accumulo di danni cellulari causati dai ROS prodotti dal metabolismo dell’ossigeno durante l’esposizione a fattori esterni che ne modificavano l’entità e gli effetti è stata quasi un luogo comune da quando nel 1956 Denham Harman la propose per primo, indicandola, nel contesto delle conoscenze del tempo, come una teoria basata sulla chimica dei radicali liberi e delle radiazioni. Allo stesso modo, ROS prodotti da determinate sostanze chimiche (come gli idrocarburi del fumo di sigaretta) e fisici (come le radiazioni di Černobyl′) erano considerati diretti responsabili delle mutazioni del DNA alla base della proliferazione neoplastica. Attualmente, però, disponiamo di dati meno descrittivi e fenomenologici che riconducono i due fenomeni a fondamenti in larga parte genetici e gli effetti dei radicali liberi ad azioni modulatrici dell’attivazione genica. Cancro e invecchiamento sono ambedue prodotti dell’instabilità del genoma, contrastata da vari sistemi capaci di riparare i danni subiti dal DNA, soprattutto a opera dei ROS (Finkel, Serrano, Blasco 2007). Carenze genetiche di fattori di riparazione, in molti casi specifici per certi tessuti, inibiscono la capacità proliferativa del DNA, accelerando l’invecchiamento, mentre mutazioni meno gravi nella stessa sequenza di regolazione possono diminuire la fedeltà replicativa del DNA in altri tessuti, predisponendoli così a una proliferazione cellulare non controllata, cioè al cancro. Una recente linea di ricerca in questo campo riguarda il ruolo dell’autofagia, un processo di attività proteolitiche controllato da geni specifici, nella rimozione dei mitocondri danneggiati dal danno ossidativo conseguente, come abbiamo già accennato, alla loro funzione respiratoria e perciò essi stessi predisposti durante la respirazione a produrre più ROS rispetto ai valori fisiologici. L’attivazione dei geni dell’autofagia comporta ritardo dell’invecchiamento e allungamento della vita, ed è stimolata da fattori noti come soppressori dei tumori (il più noto è p53), le cui mutazioni sono alla base di molti processi tumorali. Nel caso del cancro, infatti, si è notato che certi oncogeni (geni la cui attivazione produce carcinogenesi, fra cui il più studiato è Bcl-2) inibiscono l’autofagia, favorendo così la maggiore incidenza di mutazioni da ROS e soprattutto nei mitocondri usurati e non eliminati.
Per quanto riguarda la senescenza, sono stati ottenuti animali o cellule transgenici nei quali l’alterazione dell’espressione genica di determinati fattori correlati al metabolismo dei radicali liberi modifica la lunghezza della vita del sistema biologico trasformato. Benché le mutazioni scoperte siano molto numerose, e abbiano permesso di isolare parecchi ‘gerontogeni’, i dati più recenti hanno identificato una triade di percorsi molecolari indipendenti ma convergenti su effettori che coinvolgono i radicali liberi. Queste tre vie separate spiegano come la diminuzione del segnale trasmesso dall’ormone insulina, delle calorie introdotte con l’alimentazione (restrizione calorica) e del livello di respirazione mitocondriale portino all’allungamento della vita (Wolff, Dillin 2006). I geni interessati sono stati identificati in Caenorhabditis elegans, il verme nematode modello della genetica moderna, ma i loro analoghi esistono anche negli animali superiori. Nel verme una ridotta attività del recettore dell’insulina, quale si può ottenere per manipolazione genetica, porta all’attivazione di un fattore, DAF 16, che conferisce resistenza allo stress ossidativo, attraverso l’induzione della sintesi di enzimi antiossidanti, e maggiore longevità. L’effetto di allungamento della vita, riscontrato dai vermi ai mammiferi e ora in fase di verifica nell’uomo, dovuto alla restrizione calorica è mediato da geni e fattori diversi da quelli attivati dal ridotto segnale dell’insulina e sembra più connesso alla capacità del glucosio stesso di produrre ROS che non alla sua azione fisiologica di stimolatore del segnale insulinico. Il glucosio presente in eccesso nel sangue può infatti autossidarsi con liberazione di ROS e inizio di reazioni simili a quelle della risposta immune innata oppure iniziare vie metaboliche come la glicolisi, nella quale alcune reazioni intermedie hanno effetti proossidanti. Le ricerche più numerose si sono infine concentrate sulla terza via, ossia sul mitocondrio (Balaban, Nemoto, Finkel 2005), non soltanto come sede preponderante, ma anche come bersaglio di scelta della produzione di ROS nella cellula, come detto precedentemente a proposito dell’autofagia. È stato stabilito che la quantità di ossigeno che si tramuta in ROS nella respirazione mitocondriale è inferiore al 2% calcolato nel secolo scorso ed è circa lo 0,2% in condizioni fisiologiche. Ma poiché i bersagli dei radicali liberi nella regolazione metabolica sono più sensibili di quelli dello stress ossidativo previsti dalla teoria novecentesca, questo valore è pur sempre efficace, specie se sottoposto ad aumenti anche minimi. Si è visto che la morte cellulare programmata o apoptosi, processo molto importante nella senescenza dei tessuti, è in gran parte connessa con l’attivazione, da parte dei ROS prodotti da un’aumentata respirazione mitocondriale, di geni che portano alla liberazione nel citoplasma di molecole proapoptotiche, a sua volta amplificata dalla perdita d’integrità della membrana del mitocondrio per azione dei radicali liberi. Questo danno è esemplificato dalla perossidazione dei lipidi della cardiolipina, un fosfolipide presente unicamente nella membrana mitocondriale interna ed essenziale per l’ancoraggio del citocromo c alla membrana stessa. La conseguente liberazione del citocromo nello spazio intermembrana e poi nel citoplasma sembra essere il primo passaggio che attiva ulteriori reazioni coinvolte nella morte cellulare. Appare quindi molto probabile che la senescenza a livello del mitocondrio implichi un circolo vizioso fra minore efficienza della catena respiratoria con maggiore produzione di ROS e maggiore danno alla catena stessa. Infatti, nel verme, un rallentamento della respirazione mitocondriale, ottenuto intervenendo su determinati geni, ha un effetto di longevità. Questo d’altra parte potrebbe essere un fattore comune anche per la riduzione del segnale insulinico e per la restrizione calorica. Possiamo dire che i tre meccanismi, pur stimolati e mediati da geni diversi, confluiscono nell’utilizzare l’arrivo dei metaboliti del glucosio al mitocondrio come terminale comune per l’invecchiamento. I ROS responsabili di questo processo possono essere prodotti in eccesso dal mitocondrio stesso non solo in situazioni patologiche, ma anche in seguito all’azione di molecole che segnalano la scadenza, programmata geneticamente, del tempo assegnato alla vita di un determinato sistema biologico. Un locus genico implicato in segnali di questo tipo è stato individuato mediante mutazioni mirate del gene shc: la soppressione della sintesi di un suo prodotto proteico, denominato p66 dal suo peso molecolare, ha conferito ai topi trattati minore incidenza di malattie collegate all’invecchiamento, come l’aterosclerosi, e un significativo prolungamento della vita. È stato quindi scoperto che p66 è un enzima ossidoriduttivo, attivato da segnali proapoptotici di tipo ossidativo capaci di modularne il grado di fosforilazione. La sua forma fosforilata è in grado di deviare elettroni dal loro flusso normale nella membrana mitocondriale verso la produzione di perossido d’idrogeno, con conseguente stress ossidativo, senescenza e morte del sistema interessato.
Malattie neurodegenerative
Un caso particolare di applicazione delle teorie radicaliche dell’invecchiamento sono le malattie neurodegenerative insorgenti in età avanzata. Va ricordato che i neuroni sono particolarmente suscettibili agli effetti dei ROS per il loro intenso metabolismo aerobio e la loro relativa carenza di difese antiossidanti. Gli studi condotti nell’ultimo quarto del secolo scorso avevano evidenziato un’aumentata ossidazione radicalica di vari bersagli molecolari (lipidi, proteine, DNA) e una diminuzione delle difese antiossidanti (enzimi, glutatione) nel cervello in relazione all’avanzare dell’età e al contemporaneo declino delle capacità mentali. Gli studi di questo secolo rilevano un aumento dei mediatori dell’infiammazione, attribuibile al flusso maggiore di RONS causato dall’alterazione dei programmi genetici che regolano l’attività mitocondriale, la sintesi di enzimi antiossidanti e di glutatione e il segnale dell’insulina. Nel cervello in particolare si riscontrano, inoltre, evidenze di alterazione genica legata alla senescenza che portano a perturbazione del metabolismo del ferro, del rame e del calcio, e questo può ulteriormente contribuire ad accrescere il flusso di RONS in tarda età (Rossi, Mazzitelli, Arciello et al. 2008).
Tuttavia, per passare dal declino intellettivo tipico dell’età avanzata a vere e proprie malattie, quali sono quelle neurodegenerative, si deve verificare in aggiunta perdita di neuroni concentrata in certe specifiche aree cerebrali con il coinvolgimento di determinati tipi cellulari. Nella malattia di Huntington, l’inibizione dell’autofagia da parte di una proteina particolare, che si accumula nei lisosomi neuronali in seguito a mancata degradazione della stessa per mutazione genetica della sua struttura, è considerata attualmente la causa dell’aumentato danno da ROS nei tessuti interessati. La soppressione mediante ingegneria genetica di geni dell’autofagia ha prodotto nei topi sintomi e reperti tessutali simili a quelli di altre malattie neurodegenerative umane che, come la malattia di Alzheimer e quella di Parkinson, insorgono in tarda età. In queste patologie le lesioni interessano zone specifiche del cervello che, ai rilievi autoptici, mostrano segni evidenti di danno ossidativo. Nel morbo di Alzheimer, il legame improprio di alcuni ioni metallici a una determinata proteina neuronale potrebbe dare luogo a reazioni monovalenti con l’ossigeno (autossidazione) che innescano la catena radicalica dei ROS. Nel morbo di Parkinson l’autossidazione riguarda i metaboliti della dopamina, neurotrasmettitore che si libera in alte concentrazioni proprio nelle aree cerebrali interessate dalla malattia. Ma è nello studio della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) che la medicina molecolare dei fenomeni ossidoriduttivi ha fornito gli spunti più interessanti, e ancora una volta questi progressi sono avvenuti grazie al contributo della genetica. La SLA è una paralisi progressiva che insorge in genere in età matura e che porta inesorabilmente alla morte, in pochi anni, per degenerazione specifica delle cellule nervose che mandano gli impulsi per la contrazione muscolare (neuroni motori o motoneuroni). Si è visto che in alcune forme di SLA con incidenza familiare ben definita sono presenti mutazioni del gene della SOD1, che alterano la funzione dell’enzima prodotto, diminuendola o affiancandola a una nuova attività che, invece di essere antiossidante, è di tipo perossidasico e perciò proossidante. In ogni caso si ha un aumento di ROS che porta alla morte dei motoneuroni. I casi, molto più numerosi, di SLA privi di questa mutazione (forma sporadica) sono indistinguibili dalle forme familiari per sintomi, decorso e reperti autoptici. Si può ipotizzare che nei casi sporadici intervenga un altro fattore che comunque aumenti il flusso dei ROS nei motoneuroni. La comparsa di questa malattia, tipica dell’età intorno ai 50 anni, in giovani che esercitano attività sportive di tipo agonistico spesso accompagnate da abuso di farmaci, è una parziale conferma di questa ipotesi. In Italia, un numero significativo di casi è stato diagnosticato in alcuni calciatori alla fine della carriera.
Alimentazione
Gran parte delle calorie introdotte con gli alimenti va a costituire il potenziale di riduzione dell’ossigeno nel mitocondrio, al fine di produrre energia sotto forma di ATP. Come abbiamo già detto, una piccola frazione dell’ossigeno consumato in questo processo dà origine, anche in condizioni fisiologiche, a superossido e agli altri ROS. Quando fu scoperto questo dato, nell’ultimo quarto dello scorso secolo, non erano ancora disponibili le evidenze che negli anni più recenti hanno sostenuto l’ipotesi in base alla quale quantità moderate di ROS, quali quelle prodotte fisiologicamente dalla respirazione mitocondriale, svolgano un ruolo importante come messaggeri di segnali biologici nell’ambito delle funzioni normali degli organismi. Questa frazione non utilizzata a fini energetici era perciò considerata inutile, anzi potenzialmente dannosa, soprattutto se sottoposta a incremento per ogni tipo di causa che elevasse il livello della respirazione mitocondriale. Esiste quindi un aspetto quantitativo nell’effetto dell’alimentazione sui ROS, ossia quanto maggiore è il contenuto calorico di una dieta, tanto più elevato è il flusso di ROS dai mitocondri. È necessario però considerare anche un lato qualitativo, dovuto al fatto che determinati componenti degli alimenti, sia contenuti in essi naturalmente sia aggiunti per aumentarne la conservazione, la sapidità e la trattabilità durante i processi industriali, possono interferire, nello stesso modo di farmaci e inquinanti ambientali, con il trasporto di elettroni mitocondriale, incrementando la quota che porta alla produzione di ROS. Nel primo caso abbiamo uno stress ossidativo metabolico, mentre nel secondo il cibo agisce da veicolo di stress ambientale.
A causa della rilevanza dei ROS nella relazione fra alimentazione e danno ossidativo, sono oggetto di studi molto intensi le specifiche attività pro- o antiROS dei vari componenti della dieta, sia naturali sia aggiunti (additivi e integratori alimentari). Molte vitamine (soprattutto A, C ed E) neutralizzano direttamente i ROS, mentre alcuni ioni minerali (rame e ferro in particolare, ma anche manganese e selenio) sono coenzimi essenziali di enzimi che diminuiscono il livello dei ROS, come la superossido dismutasi e la catalasi. Oltre a questi nutrienti indispensabili, i vegetali contengono sostanze che, pur non essendo necessarie al nostro metabolismo, svolgono un’azione positiva sulla prevenzione delle malattie collegate ai radicali liberi proprio per la loro elevata capacità antiossidante: i polifenoli, composti che conferiscono ai vegetali colori molto intensi e sono molto abbondanti soprattutto in bevande come il tè e il vino rosso.
La necessità di preservare le proprietà antiossidanti degli alimenti nelle condizioni di distribuzione dilatata nel tempo e nello spazio tipiche delle società moderne ha fatto diffondere l’uso di additivi chimici ad azione antiradicalica. È inoltre sempre più diffusa l’abitudine di surrogare la capacità antiossidante di un’alimentazione naturale variata e bilanciata con l’assunzione di vitamine e minerali in pillole o in estratti concentrati. Si deve però tenere presente che un antiossidante è tale in quanto dotato di capacità riducenti; di conseguenza la sua assunzione al di fuori delle sinergie e delle compensazioni presenti in un alimento o in una dieta può portare a interferenze con le azioni fisiologiche dei radicali liberi o a effetti proossidanti solo apparentemente paradossali, perché un riducente in concentrazioni eccessive tende ad autossidarsi in presenza di ossigeno, innescando a sua volta produzione di ROS.
Si è andata, perciò, sempre più focalizzando l’attenzione sui meccanismi di produzione di ROS tipici di stati particolari legati alla dieta. Uno di questi è il periodo che segue il pasto (fig. 7) caratterizzato da stress ossidativo, specialmente se il cibo assunto è ricco di carboidrati o lipidi (Sies, Stahl, Sevanian 2005). Elevati livelli di glucosio nel sangue dopo il pasto si hanno per ingestione di cibi, detti ad alto indice glicemico, che apportano elevate quantità di carboidrati semplici rapidamente assorbibili (zucchero da cucina, dolci, bevande zuccherate) o di carboidrati complessi facilmente digeribili come pasta e pane da farine troppo raffinate. Come già detto, il glucosio ha un effetto proROS sia per autossidazione, sia come stimolante delle vie calorica, insulinica e mitocondriale dell’invecchiamento. Nelle varie forme di diabete questi effetti si amplificano, con particolari effetti ossidativi a livello dei neuroni, specialmente quelli sensoriali (neuropatia diabetica) e dell’endotelio (vasculopatia diabetica), soprattutto per la concomitante risposta infiammatoria. Questi danni sono ulteriormente aggravati se il pasto è ricco di lipidi ossidati o facilmente ossidabili, come nel caso degli oli di semi sottoposti, durante la frittura, ad alte temperature che danno luogo a radicali perossidici e conseguentemente ad aldeidi e perossidi molto reattivi. Questi processi provocano ossidazione del colesterolo che circola nel sangue legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL, Low Density Lipoproteins) che lo trasportano ai tessuti. Si formano così ossisteroli che, inglobati nelle lipoproteine, sono fra i fattori di inizio dei processi che portano all’aterosclerosi. Il danno ossidativo endoteliale che deriva dagli ossisteroli provoca infatti l’arrivo di macrofagi nella sede della lesione con la sequenza di processi infiammatori che abbiamo già descritto. In questo caso, però, la conseguenza più significativa e specifica del danno endoteliale è la riduzione di attività della NO-sintasi che porta alla compromissione dell’attività vasodilatatoria (arteriosclerosi), con rischio finale di interruzione del flusso sanguigno.
Processi analoghi possono avvenire anche nei cibi prima dell’assunzione, e questo è il caso di molti ingredienti ‘nascosti’, quali i derivati delle uova e del latte che sono usati ubiquitariamente nella preparazione di salse e in altri cibi conservati. In ambedue le circostanze le aldeidi e i perossidi reagiscono con recettori presenti nell’intestino, nel rene e in altri tessuti che attivano la produzione di ROS dando inizio alla risposta infiammatoria dell’immunità innata.
Questi risultati forniscono anzitutto la base per interventi dietetici contro i rischi di iperglicemia e iperlipidemia postprandiale fondati su un’accurata scelta alimentare (cibi a basso indice glicemico e a basso contenuto di lipidi facilmente ossidabili o già ossidati). Ma la novità degli ultimi anni, nello spirito della visione più recente del ruolo dei ROS, consiste nel tentativo, da parte dei nutrizionisti a orientamento più moderno, di arrivare a una nutrizione ottimale che produca un adattamento fine del metabolismo intercettando le molteplici azioni dei ROS come messaggeri metabolici a livelli sempre più mirati e sempre meno generalistici. Per raggiungere questi scopi sono necessarie dosi di antiossidante molto inferiori a quelle richieste per neutralizzare un danno ossidativo conclamato a livello di membrane, enzimi o DNA. Questo approccio è molto più compatibile con le concentrazioni presenti nelle fonti alimentari naturali, considerando anche che molte sostanze non attraversano del tutto le barriere intestinale ed emato-encefalica. Perciò l’attenzione è rivolta agli alimenti che contengono in dosi adeguate componenti capaci di stimolare una determinata funzione dell’organismo attraverso la regolazione redox (alimenti funzionali).
In questa prospettiva nasce la direttiva di un aumento del consumo di cibi ricchi in polifenoli particolari, non tanto per il generale effetto antiossidante, ma per il loro effetto specifico su determinate funzioni, in aderenza al concetto di alimento funzionale. Un esempio tipico di questo nuovo orientamento di ricerca è l’uso di varietà di cacao ricche di flavanoli, una classe specifica di polifenoli, per migliorare la salute dei vasi sanguigni ai fini di prevenire aterosclerosi, infarto e ictus. Come abbiamo già detto, l’evento primario in queste patologie è la disfunzione delle cellule endoteliali dovuta a insulto da ROS che ne inibisce la capacità di sintetizzare NO con conseguente mancata dilatazione dei vasi al passaggio del sangue. Numerosi studi (Sies, Stahl, Sevanian 2005) hanno dimostrato che il flavanolo epicatechina è responsabile degli effetti benefici del cioccolato sulla funzione vascolare perché innalza il tasso di NO nel sangue attraverso attivazione selettiva dell’NO-sintasi endoteliale. Questi effetti si riscontrano anche in popolazioni indigene dell’America Centrale che consumano grandi quantità giornaliere di cioccolato e presentano una minima incidenza di malattie cardiovascolari. È da notare che l’effetto si perde se il cioccolato contiene o è consumato insieme a latte, che inibisce l’assorbimento intestinale dei flavanoli (Serafini, Bugianesi, Maiani et al. 2003).
Una linea di ricerca che desta molta attenzione a questo riguardo è l’uso di antiossidanti naturali, e di polifenoli in particolare, nel trattamento delle malattie neurodegenerative (Rossi, Mazzitelli, Arciello et al. 2008).
Il resveratrolo, abbondante nel vino rosso, la curcumina, tipica del curry indiano, e le catechine del tè hanno mostrato effetti positivi sia su modelli cellulari sia su pazienti affetti da Alzheimer.
Esercizio fisico
L’esercizio fisico è collegato all’alimentazione in quanto consuma nel muscolo l’ATP derivato dalle calorie alimentari. In questo senso ha un’azione protettiva analoga alla restrizione calorica. Sforzi eccessivi portano però ad aumentata produzione di ROS sia per l’incremento del consumo di ossigeno, sia per i ripetuti cicli di ipossia/riossigenazione che si hanno soprattutto negli sport anaerobi e che riproducono, a livello di tutto l’organismo, una situazione paragonabile a quella che si crea localmente nell’infarto. Queste complicazioni sono prevenute dall’allenamento che ha, fra i suoi molti effetti, quello di indurre l’espressione dei geni degli enzimi antiossidanti. Un particolare tipo di esercizio fisico è quello che si effettua in alta montagna, dove la pressione parziale di ossigeno diminuisce fino ad arrivare sulla vetta del monte Everest a un terzo di quella presente a bassa quota. È stato dimostrato che nelle condizioni più spinte il consumo di ossigeno produce per il 50% radicali liberi (contro lo 0,2 fisiologico), a causa della drastica riduzione e inefficienza del metabolismo dei mitocondri e dell’alternanza di fasi ipossiche durante lo sforzo e di riossigenazione durante il riposo. Gli adattamenti molecolari delle popolazioni acclimatate all’altitudine comprendono un maggiore livello di espressione genica degli enzimi antiossidanti, e questo si riscontra anche negli individui viventi a quote inferiori dopo un congruo periodo di allenamento in altura.
Prospettive future
È stato detto che nel secolo scorso i radicali liberi sono stati il vaso di Pandora di tutti i mali che gli organismi viventi potessero incontrare nella loro storia biologica, dal cancro alle malattie degenerative e alla senescenza. In questo secolo la ricerca in tale campo è invece concentrata sulle reazioni redox che sono alla base della regolazione di molteplici fenomeni anche fisiologici. In questa prospettiva i RONS non sono più visti come molecole che si producono ad alta concentrazione per effetto di fattori esterni e che diventano, mediante lo stress ossidativo, causa di disfunzioni cellulari ma, in una logica completamente opposta, come mediatori metabolici prodotti a bassa concentrazione in conseguenza di disfunzioni cellulari indotte non solo da fattori ambientali, ma anche e più diffusamente da programmazione genetica endogena. Un esempio è l’effetto della disponibilità del substrato (per es., glucosio o ossigeno) come segnale biologico che porta, con meccanismo redox, all’attivazione di geni responsabili di fenomeni disparati che, nel caso del glucosio nell’alimentazione, vanno dalla sindrome metabolica al cancro e all’invecchiamento.
Queste nuove ricerche e scoperte hanno profonde conseguenze anche sulle possibili applicazioni terapeutiche della teoria dei radicali liberi in biologia. Anzitutto l’uso indiscriminato di sostanze antiossidanti per la cura o la prevenzione di svariati stati morbosi e dell’invecchiamento in particolare dev’essere riconsiderato con molta attenzione per evitare una inibizione generalizzata di risposte di regolazione fisiologica che utilizzano i RONS. Inoltre occorre approfondire i meccanismi di specificità dell’omeostasi dei RONS, come, per es., si sta cercando di fare con gli studi sugli effetti dei componenti di tè e cacao sulla sintesi endoteliale di NO. Solo con questa strategia potremo creare una medicina dei radicali liberi ‘basata sull’evidenza’, come richiedono le teorie più moderne, sottraendola agli abusi mediatici ancora molto diffusi.
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