Quit India
Ultima campagna pan-indiana dell’era coloniale britannica, lanciata dall’Indian national congress nell’agosto 1942. L’avanzata giapponese nel Sud-Est asiatico nei primi mesi dell’anno aveva suscitato l’aspettativa di un’imminente fine del regime coloniale; in Bengala gli inglesi adottarono la strategia della «terra bruciata», volta a sottrarre agli invasori ogni mezzo di trasporto, mentre cospicui contingenti militari americani e australiani vennero trasferiti sul territorio indiano. La leadership nazionalista, pur optando per la non collaborazione non violenta con i giapponesi, chiese agli inglesi di ritirarsi dall’India per permettere la formazione di un governo interinale che avrebbe coordinato la resistenza assieme alle Nazioni Unite. Il «Mahatma» Gandhi dichiarò che la presenza britannica da un lato rappresentava la causa prima dell’imminente attacco giapponese e dall’altro esponeva l’India a una «crisi morale», in quanto avrebbe impedito al popolo di affrontare in prima persona la minaccia della guerra e della violenza; meglio era, secondo Gandhi, «affidare l’India a Dio», anche se questo significava gettare il Paese nell’anarchia. Fallito un tentativo in extremis di raggiungere un compromesso a opera di R.S. Cripps, l’8 agosto il Congress adottò la risoluzione detta del Q.I. («lasciate l’India»), con cui si affidava la disubbidienza civile di massa alla guida di Gandhi, e in previsione dell’arresto dei principali leader – verificatosi nel giro di pochi giorni – si concedeva ampia libertà di iniziativa a comitati locali e a gruppi di attivisti e volontari. In risposta all’appello di Gandhi do or die («agire o morire»), l’agitazione assunse un carattere radicale e in molti casi violento; dapprima nelle città e poi nelle campagne, edifici governativi furono dati alle fiamme e strutture ferroviarie e di telecomunicazione divelte, mentre in diverse località, fra cui Tamluk in Bengala e Satara nella presidenza di Bombay, vennero formati governi paralleli. Cruenta fu la repressione, affidata a reparti dell’esercito e dell’aviazione: i manifestanti vennero barbaramente picchiati e frustati pubblicamente, le donne stuprate e interi villaggi rasi al suolo; le vittime tra i civili furono, secondo le fonti ufficiali, circa mille (quasi diecimila secondo fonti non ufficiali). Dalla campagna Q.I. si dissociarono partiti e associazioni di carattere comunitario (All India muslim league, Hindu mahasabha e Rashtriya swayamsevak sangh), nonché B.R. Ambedkar, leader degli intoccabili; ciò nonostante il fronte sociale fu in prevalenza unito, a eccezione dei musulmani che si astennero dalle agitazioni. Dopo i primi quattro mesi l’intensità del movimento declinò, anche se in diverse zone continuarono attività sovversive clandestine condotte da gruppi rivoluzionari, socialisti e gandhiani non-violenti. Verso la metà del 1944 la situazione nel Paese tornò sotto il controllo del governo britannico, il quale, rassicurato dai successi militari in Europa e in Asia, cominciò a rilasciare i leader arrestati. Si aprì così una nuova fase di trattative destinata a concludersi con il trasferimento dei poteri e la fine dell’era coloniale britannica (ag. 1947).