RUGGERI, Quirino
– Nacque ad Albacina di Fabriano, nella provincia di Ancona, il 24 marzo 1883 da genitori di umili origini (Quirino Ruggeri. Pittura e scultura..., 2014, p. 21).
Emigrante con la famiglia, in giovanissima età lasciò l’Italia per stabilirsi in Argentina, dove imparò il mestiere di sarto. Dopo la fine della guerra fece ritorno in Italia e nel 1919 soggiornò brevemente ad Anticoli Corrado, dove entrò in contatto con la fiorente comunità di artisti che lì viveva e conduceva le proprie ricerche nel verso di un moderno e stilizzato ritorno al linguaggio primitivista. Decise quindi di stabilirsi a Roma intorno al 1920. Dall’attività di sarto, che gli aveva dato le conoscenze essenziali dell’anatomia umana, Ruggeri, già quarantenne, si orientò dunque con slancio e curiosità verso la pratica della scultura, apprendendo le tecniche plastiche presso lo studio di Arturo Dazzi, tra il 1920 e il 1922 circa.
Debuttò alla Biennale romana del 1921 con due sculture, e parallelamente prese lo studio in via Alibert, non distanze da quelli di Giorgio De Chirico e Virgilio Guidi, con i quali strinse amicizia. Frattanto, frequentando la Terza saletta del Caffè Aragno, conobbe Mario Broglio e si accostò all’ambito del movimento di Valori Plastici, nelle cui fila espose alla Primaverile Fiorentina del 1922, presentato da Alberto Savinio. In tale contesto Ruggeri si legò ad artisti, musicisti, letterati della Terza saletta, collaboratori o spiriti affini alla rivista La Ronda. Quel momento e quei ricordi furono fermati successivamente nel dipinto di Amerigo Bartoli, Artisti al Caffè, del 1930, ove Ruggeri fu ritratto seduto ai tavolini accanto a Roberto Longhi, non distante da Mario Broglio ed Emilio Cecchi, dal musicista Bruno Barilli, dai poeti Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli e da altri artisti di Valori Plastici.
Dalla «cura di piazzare i panni intorno a un manichino», l’artista, sin da quei primi anni di ricerche, trasse una «primitiva tendenza plastica»: «il pensiero ricorse spontaneamente a certa remota plastica di Giava, di Ceylon, dell’India Meridionale: meglio ancora, alle illustrazioni di quelle opere antichissime, ai testi che le fanno di un periodo ricorrente dal VII al IX secolo» (Arslan, 1928, p. 298).
Erano infatti usciti fra il 1922 e il 1924 i volumetti della collana Civiltà artistiche, che Valori Plastici, aprendosi a una comprensione universalistica dell’arte, dedicava alle espressioni orientali, alla scultura africana, mentre si affacciavano nuovi interventi critici dedicati al Tre e Quattrocento, parallelamente studiati con moderna sensibilità dagli artisti di Valori Plastici. Quelle edizioni costituirono un prezioso repertorio per Ruggeri, in anni peraltro intensi di conoscenze e frequentazioni, tra le quali figuravano l’antiquario Aldo Briganti, che divenne suo appassionato collezionista, il musicista Bruno Barilli, da lui ritratto, e il musicista Alfredo Casella, che a Roma, sulla rivista da lui fondata e diretta, Ars Nova, proponeva le ragioni di una ricerca musicale fondata sull’equilibrio architettonico della partitura, sulla concisione del linguaggio, sulla pienezza plastica della frase musicale, in parallelo alle ricerche degli artisti e dei poeti di Valori Plastici e della Ronda.
Frattanto nel 1927 Ruggeri incontrava il conterraneo scultore di Fabriano Edgardo Mannucci, che divenne suo allievo e che sposò successivamente sua figlia. Queste sono le pochissime notizie biografiche che dell’artista risultano note.
Con un nucleo omogeneo di sculture e bassorilievi, Ruggeri si presentò nel 1927 con una personale alla XCIII Esposizione degli amatori e cultori di belle arti di Roma, quindi nel 1929 alla Mostra sindacale romana. Non sfuggirono a Longhi i caratteri di moderno e armonico arcaismo dello «scultore-sarto Quirino Ruggeri», così come del «pittore-contadino Gisberto Ceracchini», apprezzati quali interpreti «irrealisti» (Longhi, 1929, p. 4), in sintonia con quei valori di astratta e nobile solennità che il giovane storico dell’arte valorizzava in Piero della Francesca, nella monografia che in quello stesso 1927 usciva nelle edizioni di Valori Plastici.
Nel corso degli anni Venti Ruggeri creò un gruppo di opere ispirate a tali riferimenti, con uno sguardo alle ricerche contemporanee che andava conducendo Carlo Carrà nella sua rilettura di Giotto; alla pittura di dimessa naturalezza di Ardengo Soffici; alla forbitezza moderna della pittura di Antonio Donghi; a Felice Casorati, «melanconico e ironico cerebrale», del quale Ruggeri poté apprezzare «la musicale geometria spaziale di toni» (Arslan, 1928, p. 309). Parimenti rimase suggestionato dalla plastica di scabra essenzialità con la quale Arturo Martini rileggeva in quegli anni la scultura romanica, la coroplastica etrusca, i politissimi bassorilievi egizi. Nascevano con questo spirito alcune sculture ruggeriane di grande forza. Fra queste entravano nella collezione Longhi Vergine del convento, bassorilievo del 1926.
In esso il rigido nudo femminile, tra Giotto e Carrà, silente, a occhi chiusi, con gesto rituale alza una brocca mentre sul tavolo domestico, dal piano inclinato, posano un pomo e un coltello: l’atmosfera risulta sospesa, metafisica, tanto più per la chiave appesa alla parete e per la finestra a sbarre che chiude la figura come in una prigione.
Non diversamente misterioso l’altorilievo del 1927 raffigurante una donna in una semplice veste, occhi vuoti, che pure entrava nella collezione Longhi, seguito dai bei ritratti allo storico dell’arte e a sua moglie Lucia Lopresti (Anna Banti). Casella si assicurava invece il bassorilievo in gesso patinato degli Amanti, il grande bassorilievo Ritratto di fanciulla, eretta davanti a una soglia, nella sua gonna plissettata al ginocchio e nella collana che scende sul petto; quindi una Testa di fanciulla, dalla pettinatura pesante e dalle trecce come di panno, i lineamenti marcati, stilisticamente affine al Ritratto dello stesso musicista che, parimenti al Ritratto di Bruno Barilli, si esaltava nelle pure stereometrie, nei lineamenti intesi come ritmo di volumi astratti. La più ricca delle collezioni risultava quella di Aldo e Clelia Briganti, che nelle stanze di palazzo Ricci ospitavano ritratti vari di tutti i membri della famiglia, il grande bassorilievo di Ragazzo con cerchio, forse il figlio Giuliano (in posa metafisica assai affine a Carrà), una Madonna con Bambino di gusto tardoantico, e altre opere.
Si sarebbe ricordato di questo pregevole nucleo di opere Giuliano Briganti, che a distanza di un trentennio, nel 1956, presentò Ruggeri nella sala personale nell’ambito della XXVIII Biennale internazionale di Venezia. In tale occasione lo storico dell’arte preferì esporre le opere dell’artista marchigiano non oltre il 1931, nella considerazione che fosse l’unica parte pregevole della ricerca artistica di Ruggeri:
«Poco dopo il ’30, si può dire, finisce la storia di Ruggeri, quella vera almeno. I tempi crescevano male, troppe idee storte, afferrate a mezz’aria e riecheggiate rumorosamente dai monotoni assordanti della cultura ufficiale che assordavano l’Italia col loro vuoto ronzio» (Briganti, 1956, p. 31).
All’assenza di profonda cultura e alla semplicità di carattere Briganti fece dunque risalire le opere dei successivi anni, di marcata ispirazione fascista, compiacenti il gusto di una committenza che vedeva ora nell’antico la legittimazione e la celebrazione del proprio potere. Le ultime mostre alle quali l’artista marchigiano espose con interesse furono la I Quadriennale nazionale di Roma del 1931, la II Mostra sindacale romana del 1932, la XIX Biennale internazionale di Venezia del 1934, quindi la II Quadriennale nazionale di Roma del 1935, nello stesso anno che vide la partecipazione dell’artista alla mostra parigina L’art italien des XIX et XX siècles. Parimenti l’artista si presentò alla III Quadriennale nazionale di Roma del 1939 con due piccole testine bronzee di ispirazione neoquattrocentesca. Furono quelli gli anni in cui Ruggeri eseguì altre opere in bronzo, fra le quali i due bassorilievi della Filatrice e della Tessitrice, recentemente acquisite dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana. Seguì, prima della seconda guerra mondiale, il periodo dei ritratti di alcuni uomini politici: il Ritratto equestre di Mussolini, distrutto nel secondo dopoguerra, quattro statue delle collezioni comunali romane raffiguranti Attilio Regolo, Muzio Scevola, Orazio Coclite, Decio Mure, di ispirazione chiaramente celebrativa.
Nel secondo dopoguerra Ruggeri abbandonò la scultura per dedicarsi a una pittura di geometrica astrazione, con opere esposte nella grande mostra antologica che il Comune di Camerano gli ha dedicato nel 2014. Una mostra permanente di opere ruggeriane si trova attualmente presso il Centro culturale S. Francesco, ad Arcevia, presso Ancona.
Morì a Roma il 12 giugno 1955.
Fonti e Bibl.: W. Arslan, Lo scultore Q. R., in Dedalo, IX (1928), pp. 298-319; R. Longhi, Clima e opere degli irrealisti, in L’Italia letteraria, V (1929), 15, p. 4; G. Briganti, Q. R., in XXVIII Biennale Internazionale di Venezia (catal.), Venezia 1956, pp. 28-33; Q. R. (catal.), a cura di G. Appella - F. D’Amico, Roma-Modena 1986; Q. R.: il ritorno all’ordine (catal.), a cura di A. Ginesi, Ancona 2004; G. Donnina, La collezione Ruggeri-Mannucci della Fondazione CARIFAC, in Identit@Sibillina. Arte cultura ambiente fra Marche e Umbria, I (2010), http:// www.identitasibillina. com/rivista_n3/ita/6.html (1° febbraio 2017); Q. R. Pittura e scultura. Figure e geometrie (catal.), a cura di A. Monaldi, Camerano 2014 (con ampia e aggiornata bibliografia).