DI MARZIO, Quirino
Nacque a Spoltore (Pescara) il 6 luglio 1883, da Gioacchino e Antonia Di Marco. Laureatosi brillantemente in medicina e chirurgia presso l'università di Roma entrò, usufruendo di una borsa di studio, nella clinica oculistica universitaria, diretta da G. Cirincione, ove successivamente fu assistente e aiuto e ove conseguì rapidamente la libera docenza.
Scoppiato il primo conflitto mondiale, prestò lungo e ininterrotto servizio in zona di guerra, dapprima come organizzatore e direttore di un grande ospedale oftalmico, quindi, in considerazione delle sue capacità, quale sovrintendente del servizio oculistico della 2a armata.
Tornato subito dopo la parentesi bellica alla sua attività, ebbe nella clinica oculistica universitaria l'incarico direttivo e organizzativo del settore di ricerche istologiche, batteriologiche e radiologiche, queste ultime estese, per sua iniziativa. alle discipline otorinolaringologica e neurologica, che si accingeva a esplorare per le loro possibili implicazioni patogenetiche nello sviluppo di numerose affezioni oculari. Tuttavia, per contrasti sorti nell'ambiente di lavoro, nel 1923 decise di lasciare l'istituto.
Per la maturazione clinica intanto raggiunta ottenne ben presto notevoli successi nella libera professione, intrapresa peraltro senza abbandonare il proposito di proseguire per altri sentieri la carriera scientifica e didattica, cui si sentiva irresistibilmente attratto. Continuò perciò a coltivare i rapporti, precedentemente stabiliti, con i colleghi delle cliniche universitarie neurologica e otorinolaringoiatrica dell'università di Roma, nelle quali fu accolto quale consulente oculista con illimitata facoltà di svolgere le sue programmate ricerche scientifiche e di tenere un frequentatissimo corso libero di oftalmoscopia clinica.
Con la collaborazione di quei maestri fondò nel 1924 la Rivista oto-neuro-oftalmologica (che dal '33 al '35 mutò il titolo in Rivista oto-neuro-oftalmologica e radio-neuro-chirurgica), di cui tenne la direzione fino alla sua morte, organizzando altresi il primo congresso della Società di oto-neuro-oftalmologia, svoltosi a Napoli nel 1924. Quando nel 1926 il prof. Cirincione lasciò l'insegnamento il D. venne chiamato a tenere per incarico la cattedra. Qualche anno dopo vinse il concorso per la cattedra di oculistica; nel 1930 fu chiamato a Cagliari e l'anno successivo si trasferì a Bologna per ricoprire la cattedra già illustrata da A. Bietti. In tale sede operò alacremente per oltre un ventennio e organizzò il secondo congresso della Società di oto-neuro-oftalmologia e il primo della società di radio-neurochirurgia.
L'ammodernamento di quell'istituto, con ampliamento della capacità recettiva, disposizione dei locali in maniera più idonea agli scopi prefissati, completamento dei mezzi d'indagine strumentale, acquisizione di attrezzatura chirurgica consona ai più moderni indirizzi operatori e alle più recenti realizzazioni tecniche, richiese ogni sollecitudine del giovane clinico, che ambiva a renderlo fra i più progrediti centri di studio e di cura delle malattie oculari esistenti nel nostro paese.
Erano quelli i tempi in cui l'interesse degli oftalmologi si volgeva particolarmente al perfezionamento dei metodi operatori della cataratta senile, segnato dal passaggio alle più aggiornate tecniche di estrazione intracapsulare, con ricerca di idonei procedimenti suturali della ferita limbare, onde evitare le complicanze postoperatorie e ridurre la degenza in ospedale e il disagio della lunga immobilità del paziente. Il D. acquisì tra i primi la necessaria esperienza per semplificare al massimo i vari tempi dell'atto chirurgico e diminuire di conseguenza l'entità del trauma inferto al bulbo oculare.
Ancora ai primordi era la chirurgia del distacco retinico, dopo la dimostrazione pionieristica di J. Gonin e dei suoi seguaci dell'importanza patogenetica delle soluzioni di continuo di quella membrana e della conseguente necessità di saldarne i margini alla sottostante tunica vascolare. In un considerevole numero di tali interventi il D. ottenne successi definitivi, non dissimili da quelli comunicati dai maggiori rappresentanti dell'oftalmochirurgia internazionale. Il suo entusiasmo lo indusse anche a indagini etiologiche accurate sulle lesioni responsabili della affezione, i cui risultati espose in una lunga serie di pubblicazioni scientifiche personali e dei suoi allievi; esaminò scrupolosamente i vari fattori capaci d'influire sull'esito operatorio, come la precocità o tardività dell'intervento, l'unicità o pluralità delle lacerazioni retiniche, le alterazioni che possono precederle osservabili a carico delle membrane profonde, del vitreo, dell'intero globo oculare, alle quali poter riferire le complicanze o le recidive. Studiò inoltre le condizioni refrattive, con particolare riguardo alla miopia media o elevata con i suoi processi degenerativi corio-retinici cui attribuire rischi regmatogeni, l'età e le condizioni generali dei soggetti in rapporto a eventi emorragici della senescenza, i loro precedenti morbosi e traumatici, ecc.
Con eguale scrupolosa diligenza affrontò i problemi causali del glaucoma primario, nel cui meccanismo d'insorgenza diede particolare rilievo al ruolo svolto dai fattori vascolari, in base alla depressione vasomotoria da compromissione dei centri autonomi di neuroregolazione, osservabili in varie condizioni patologiche generali.
Anche a proposito del trattamento chirurgico cercò d'interpretare il meccanismo d'azione dei procedimenti cosiddetti "filtranti", che non si limitò ad individuare nella semplice deviazione idraulica che si riteneva capace di far superare all'umor acqueo il tratto trabecolare del decorso divenuto impervio, ma ipotizzò consistere nello stabilirsi di una rete di connessioni con i vasi sanguigni episclerali atta ad assicurare il deflusso anche in casi di ostruzione cicatriziale del tragitto fistoloso.
La sua esperienza di clinico e di operatore gli suggerì inoltre l'asserto, da molti condiviso, che più del metodo chirurgico adottato, ovviamente eseguito inappuntabilmente, aveva rilievo il grado di evoluzione raggiunto dal processo morboso, per cui non era da attendersi un esito migliore da un procedimento diverso, dove il primo avesse fallito all'aspettazione.
Molti altri furono i campi di studio cui si dedicò con impegno particolare: dalla tubercolosi oculare alle affezioni vascolari retiniche, ai tumori dell'orbita, ai dismorfismi cranio-facciali; dalle più moderne tecniche d'indagine radiologica, proposte in speciali circostanze (pneumoencefalografia, pneumo-cisternografia, carotidografia), alla terapia fisica con impiego di raggi X, ultravioletti, onde corte, correnti ad alta frequenza, ecc.. Ma gli argomenti che predilesse riguardarono, come s'è accennato, i rapporti che la patologia oculare contrae con quella di sedi anatomiche limitrofe, ai cui cultori (otorinolaringoiatri, neurologi, neurochirurghi) chiese assiduamente la più attiva collaborazione. Poté in tal modo portare importanti contributi clinici alla conoscenza della diffusione orbitaria di processi infiammatori o neoplastici dai seni paranasali ed alla genesi vasomotoria di alcune neuropatie ottiche, risolte rapidamente mediante interventi sulle cavità primitivamente malate, a volte limitati alla semplice apertura. Non trascurò alcuna indagine neurologica per far luce sull'origine di affezioni oculari, sospettate espressioni di primarie condizioni morbose meningo-encefaliche. L'edema che egli definì "papillo-retinico", perché iniziando dalla papilla ottica si estende alla retina circostante lungo i rami vascolari e in particolare lungo il tronco venoso inferiore, costituisce un importante elemento diagnostico delle meningiti sierose: ne distinse quattro varietà oftalmoscopiche, che vanno da una lieve sfumatura dei margini papillari con modico interessamento retinico a quadri di sempre maggiore intensità, fino a confondersi con l'aspetto della stasi papillare dei tumori endocranici. Evidenziò tali alterazioni in tutte le varietà cliniche di questa entità morbosa caratterizzata da iperproduzione liquorale reattiva a stimoli diversi, comprendenti la meningite diffusa o idrocefalo esterno, la corio-ependimite ventricolare o idrocefalo interno, le lepto-meningiti a focolaio tra cui soprattutto l'aracnoidite ottico-chiasmatica. Circa l'idrocefalo interno, i suoi rilievi contribuirono ad avallare la triade sintomatologica descritta qualche anno prima dal suo maestro: neurite ottica edematosa, abbassamento delle apofisi clinoidee anteriori, riduzione d'ampiezza del seno sfenoidale e dello spessore della base cranica. Confermò la possibilità che nella evoluzione dell'aracnoidite ottico-chiasmatica all'edema papillo-retinico segua un'atrofia ottica, a volte insorgente nella metà superiore o inferiore del disco, con corrispondente emianopsia orizzontale o quadrantopsie congeneri.
Dedicò poi in modo particolare la sua attenzione alle alterazioni della motilità oculare, conducendo ricerche anatomo-cliniche sui centri nervosi dei movimenti associati di lateralità e di verticalità, e segnalò per questi ultimi paralisi di elevazione, abbassamento, combinate, complicate, atipiche, tutte frequentemente riferibili con certezza a lesioni dei corpi quadrigemini. Il ripetersi nelle pratiche rachianestesiche di deficit del nervo abducente, solitamente unilaterale, ma a volte a carattere bilaterale simultaneo o successivo, gli consentì numerose osservazioni cliniche che lo persuasero che più che al farmaco impiegato la responsabilità ne fosse imputabile al trauma e alle oscillazioni pressorie del liquor, come denotavano episodi analoghi causati da semplice rachicentesi; egli inoltre, contrariamente a molti, più che alla caduta pressoria immediatamente conseguente a tale manovra, attribuiva significato causale alla ipertensione reattiva delle fasi successive, atta a una più logica interpretazione del fenomeno, sulla scorta della conoscenza di altre condizioni morbose per tale aspetto similari, come le anzidette meningiti sierose. Ad analoga manifestazione neurologica si poteva realmente sfociare per irritazione meningea, per il risveglio di lesioni latenti, o anche per l'esplosione di affezioni cui i soggetti fossero predisposti.
Il D. segnalò poi importanti elementi clinico-statistici nelle espressioni oftalmo-patologiche dei tumori dell'ipofisi e del corpo dello sfenoide, quali un maggior interessamento dell'oculomotore comune nei confronti dell'abducente, oltre a una marcata prevalenza dell'edema papillo-retinico sulla papilla da stasi, nei primi; una pressoché costante immagine degenerativa dei nervi ottici (atrofia discendente, spesso emipapillare, con relativi difetti campimetrici di tipo emianopsico bitemporale o quadrantopsico per lo più inferiore), accanto a paralisi o paresi oculomotorie e trigeminali e ad alterazioni radiografiche della base cranica, nei secondi.
Non trascurò, infine, i segni di ripercussione sull'apparato visivo dei traumi chiusi del cranio, sottolineando l'importanza diagnostica del "suo" edema papillo-retinico come espressione di una susseguente corio-ependimite o di un ematoma sottodurale.
Tra i suoi numerosi lavori si ricordano qui: Sindrome chiasmatica nelle affezioni dell'ipofisi, in Ann. di oftalm. e clinica ocul., L (1922), pp. 137-218; Cloroma dell'orbita, ibid., pp. 411-444; Angioma cavernoso dell'orbita, ibid., LI (1923), pp. 26-56; L'"orbitomia sopraciliare" nell'asportazione dei tumori dell'orbita, ibid., pp. 118-127; Oxicefalia e lesioni oculari o sindrome di cranio-sinostosi patologica, in Riv. oto-neuro-oftalm., I (1924), pp. 69-87; La distrofia adiposo-genitale. Sindrome oculare e radiologica, ibid., pp. 271-299; Sintomi oculari nella meningite sierosa, ibid., II (1925), pp. 289-346; Cecità istantanea da meningite sierosa, ibid., III (1926), pp. 245-260; Sulle blefarocongiuntiviti d'origine nasale, ibid., IV (1927), pp. 708-714, con G. Ferreri; Roenigenterapia delle cheratiti ulcerose, in Saggi di oftalmologia (Bologna), III (1927), pp. 3-29, con G. B. Salvadori; Singolare forma di cisti orbitaria della regione della ghiandola lacrimale, ibid., pp. 571-585; Complicanze orbitarie delle sinusiti, in Rivista oto-neuro-oftalmol., VI (1929), pp. 544-562; Risultati della radioterapia in alcune malattie oculari, in Saggi di oftalmologia, V (1929), pp. 1-66, con G. B. Salvadori; Sulle paralisi oculari consecutive alla rachianestesia ed alla rachicentesi, in Riv. oto-neuro-oftalmol., VII (1930), pp. 1-19; Idisturbi dei movimenti associati degli occhi, ibid., pp. 289-333, con F. Fumarola; Sultrattamento del distacco della retina con l'operazione di Gonin, in Saggi di Oftalmologi, VI (1931-32), pp. 3-109; Le nevriti ottiche di origine sinusale, in Riv. oto-neuro-oftalmol., IX (1932), pp. 541-720, con G. Ferreri; La cura del distacco retinico con la termocautertzzazione e con la diatermocoagulazione, in Saggi di oftalmologia, VII (1932-33), pp. 108-117; Moderno orientamento dell'oftalmologia, in Riv. oto-neuro-oftalmol. e radioneuro chirurg., XI (1934), pp. 1-16; Sulla aracnoidite opto-chiasmatica, in Riv. oto-neuro-oftalmol., XIII (1936), pp. 291-328, con C. Cavina e G. De Nigris; Tumori dell'orbita: osteoma orbito-fronto-etmoidale, ibid., pp. 393-430; Tumori dell'orbita: cilindroma della ghiandola lacrimale, ibid., XIV (1937), pp. 65-108; L'aracnoidite opto-chiasmatica, ibid., XXIV (1949), pp. 119-135; X-ray treatment in uveteis, in Saggi di Oftalmologia, XV (1953), pp. 1-15. Occorre infine ricordare il suo atlante di oftalmologia Fundus oculi. Diagnostica oftalmoscopica del prof. Q. Di Marzio, edito a Roma nel 1937 e tradotto in tedesco e in inglese: l'opera, che compendia iconograficamente gran parte dell'attivita diagnostica del D. e della sua scuola, consta di un'eccezionale raccolta di quadri morbosi, scelti tra i più dimostrativi della sua casistica e riprodotti sotto il suo controllo da abili disegnatori.
Il D. morì a Bologna il 2 dic. 1954.
Bibl.: Necrol., in Boll. d'oculistica, XXXIV (1955), pp. 252-254; G. Ovio, L'oculistica di A. Scarpa e due secoli di storia, Napoli 1936, pp. 885, 910, 918; F. Caraniazza, Discorso commemorativo di Q.D., in Riv. oto-neuro-oftalmol., XLI (1966), pp. 303-312.