CORRADO, Quinto Mario
Nacque ad Oria, città del Salento, nel 1508, primo figlio di un agricoltore di nome Fabio e di una Aloisa Caputo, sorella di un monaco appartenente all'Ordine di s. Pietro Celestino, che aveva sede nel convento di S. Giovanni Battista nella stessa città.
Perduto il padre nella prima infanzia (Epist., VI, 169), fu avviato alla carriera sacerdotale, sostenuto, come egli ricorda, dai sacrifici della madre e, pare, dall'aiuto dello zio. Degli altri fratelli anche Marcello, cui egli rimarrà particolarmente legato, prendeva la medesima strada degli studi e della vita ecclesiastica, ma il C. attraverso una serie di notevoli incontri culturali, che lo misero a contatto, fuori della sua terra, con i centri del tardo umanesimo latino e con le aspirazioni di rinnovamento religioso che emergevano in seno alla Chiesa, assunse un preciso impegno ideologico, che lo costringerà ad una frequente polemica, nonostante la mitezza del carattere, la preferenza per l'ozio degli studi e le difficoltà di una salute malferma.
Dopo aver preso i primi ordini sacerdotali, fu a Bologna, dove conseguì il presbiterato, scolaro "per molti anni" (Epist., IV, 108) di Romolo Amaseo, che rivide e riascoltò ancora, dopo il 1544, a Roma. Difatti, tornato in patria e dedicatosi al rinnovamento degli studi latini nel Salento, dove iniziò un cospicuo numero di giovani agli studia humanitatis (furono suoi scolari, fra gli altri, Dragonetto e Bernardino Bonifacio, Donato Castiglione, Fabio Latomo, Ortensio Pagano, Nicolò Crasso), fu indotto a seguire Gerolamo Aleandro, il quale dal '24 era arcivescovo di Brindisi-Oria, e creato cardinale nel '36, si apprestava a dare la sua opera per la preparazione del concilio. Il soggiorno del C. a Roma quale segretario dell'Aleandro dovette coincidere con questa ultima attività del cardinale: molti anni egli dice di essere stato accanto a lui (Epist., VII, 195); ma l'Amanzio parla di un triennio.
In quest'epoca il C. si dilettava anche di versi latini, soprattutto di epigrammi, che il cardinale apprezzò, incoraggiando il suo segretario, garantendogli l'ozio per i suoi studi e raccomandandolo al marchese di Oria e al suo procuratore di Brindisi, che lo sostenessero nella sua opera di insegnamento, quando nel '41 chiese di tornare in patria perché il clima romano non gli si confaceva. Se tornasse effettivamente ad Oria in quell'occasione non si sa; certo egli continuò a prestare servizio presso l'Aleandro fino alla morte di lui (1542), e rimase a Roma negli anni successivi quale segretario di Tommaso Badia, anch'egli impegnato nella preparazione e nella gestione della prima fase del concilio. A questi anni risalgono le lettere raccolte nel primo libro dell'epistolario e datate da Bologna, dove probabilmente seguì il cardinale, da Roma e da Tivoli.
A Roma il C. trascorse gli anni più importanti della sua vita, che ricorderà con piacere ed orgoglio. Conobbe alcuni dei personaggi più illustri della cultura e della gerarchia ecclesiastica che frequentavano la città sotto il pontificato di Paolo III; fu vicino a Marcantonio Flaminio e Reginaldo Pole, collegati insieme nel ricordo (Epist., II, 27), il primo ammirato come massimo esempio della rinascita della poesia latina, il secondo come modello di pietà e di dottrina cristiana; si fece stimare da Gerolamo Seripando, frequentò la casa di Marcello Cervini, futuro papa, e strinse amicizia con Angelo Massarelli, suo familiare, al quale attribuirà molta parte nella sua maturazione letteraria (Epist., VI, 147); e in questa cerchia ebbe modo di entrare in relazione, anche se non riuscì ad incontrarlo mai personalmente, con Paolo Manuzio, e quindi col figlio Aldo, con i quali mantenne un frequente rapporto epistolare: una serie d'incontri che contribuirono ad orientare sempre più decisamente i suoi interessi culturali verso una ideale renovatio, che avrebbe dovuto collegare la restaurazione della pietà all'elaborazione e perfezionamento di un modello linguistico ispirato all'esempio ciceroniano e capace di armonizzare la scienza umana con quella delle cose divine. Si spiega così la consuetudine con autori come Iacopo Sadoleto e Gasparo Contarini (Epist., II, 22), e la difesa della tradizione da loro rappresentata contro coloro che si appellavano alla polemica anticiceroniana di Erasmo.
Negli studi condotti in questi anni dal C. spicca l'interesse per il genere oratorio. Nel 1547 (Epist., I, 9, 11) ha già trascritto centotrentasei declamazioni pseudoquintilianee per la stampa di Sebastiano Grifio, col quale si lamenta dell'esiguità degli esemplari che a Roma ha potuto consultare, ed è ricercato come oratore nelle varie circostanze della vita ecclesiastica. Ad una orazione, pronunciata il 1° novembre forse del 1546, egli attribuirà (Epist., IV, 108; V 147) una svolta decisiva verso la consapevolezza del "nuovo" stile. In quattro epistole dirette a Giovanni Angelo Crotta, maestro perugino, scritte negli ultimi anni di questo suo soggiorno romano, sono svolti, a proposito del diffondersi della lirica d'amore in volgare e di un giudizio a lui richiesto su un libro di versi, gli argomenti contro coloro che ritengono superata la lingua latina, e la polemica viene sostenuta col dichiarato richiamo a Romolo Amaseo e Lazzaro Buonamico.
Tornato in patria dopo la morte del cardinale Badia (1547), dovette affrontare critiche avverse al suo ordine di studi, inimicizie e perfino attentati alla sua vita, di cui si trova un'oscura traccia nel suo epistolario, oltre ad una malattia testimoniata dalle lettere al medico Teofilo Zimara. Fino al 1564 risiedette principalmente nella città natale, dove fu per dodici anni vicario di Carlo Bovio, arcivescovo di Ostuni ed Oria, allontanatosi per risiedere nella nativa Bologna e per partecipare al concilio di Trento, e fu impegnato nelle gravi questioni relative ad un'antica controversia fra Oria e Brindisi, che degenerarono nel '61 in pericolosi episodi. Ma gli impegni ecclesiastici non lo distolsero dagli studi, portati avanti nonostante le condizioni di salute che registrarono nel '58 un momento di estremo pericolo (Epist., VI, 169).
Cominciò in questi anni a progettare un'opera sulla lingua latina, s'interessò alle scoperte di monumenti preistorici, alle ricerche geografiche intorno alla Puglia, alle iscrizioni messapiche; manteneva contatti con i centri di Bologna e di Padova attraverso discepoli e amici, fra cui va segnalato il Sigonio, collaborava con Braccio Martello, vescovo di Lecce, nell'opera di educazione umanistica (Epist., V, 116). Fu sul punto di dedicarsi, intorno al 1557, ad una storia della Polonia dietro il consiglio di amici, per compiacere Bona Sforza, ritiratasi a Bari, ma vi rinunciò poco dopo, in seguito alla morte della regina.
Deve ascriversi al '62, ossia all'apertura dei concilio tridentino sotto Pio IV, un dato messo in gran rilievo, ma anche confusamente tramandato dai biografi; l'invito rivolto al C. ad assumere nella segreteria del concilio il compito di redigerne in latino gli atti.
All'improbabilità della notizia secondo cui la sua esitazione avrebbe portato alla nomina del Massarelli e del Manuzio, che ci riporterebbe ad una fase anteriore del concilio stesso, si aggiunge la possibilità di datare con una certa sicurezza l'epistola, nella quale il C. si lamenta col Manuzio che il ritardo con cui gli è pervenuto l'invito gli avesse tolta l'occasione di accettare un'allettante carica e di salutare a Venezia l'amico (Epist., VII, 206). Mentre la presenza, in questa fase del concilio, di uominicome G. Seripando e Gasparo Cervantes, che dimostrarono simpatia per il C., spiega come la scelta fosse caduta sull'umanista, lo strano disguido sembra riflettere l'ostilità di qualcuno nei suoi confronti.
Nel giugno del 1564, forse stanco del gravoso ufficio ecclesiastico, il C. si trasferisce a Napoli per esercitarvi l'insegnamento, ma in seguito (nel '65 e nel '66 P. Manuzio gli scrive ancora a Napoli, dolendosi della sua scontentezza) accoglie l'invito di un mecenate salernitano, Luigi Issapica, e si reca a Salerno, dove frattanto si è insediato l'arcivescovo Cervantes. La stima che costui ebbe per il C., nonostante le accuse che si dovettero far circolare sul suo conto e gli ostacoli che gli vennero frapposti (ne è un'eco l'epistola apologetica diretta all'arcivescovo nel '66, dove si allude a calunnie chesembrano riferirsi all'ortodossia e alla cultura dell'umanista) si rileva dall'incarico datogli nel '65 di tenere l'orazione d'apertura del primo sinodo da lui convocato. In essa il C. confutò duramente la dottrina luterana e le propensioni ereticali che si annidavano fra i cattolici, attribuendo tuttavia la degenerazione protestante al venir meno del compito educativo dei religiosi, sostituito dalla repressione.
Nello stesso anno usciva a Venezia la raccolta delle sue epistole, che vanno dall'epoca del suo primo soggiorno romano al 1564, dedicate a Carlo Borromeo nell'attesa e nell'auspicio che a lui venisse donata da Filippo II la città di Oria.
Molte di queste epistole affrontano la trattazione di temi letterari: viene ribadito l'uso della lingua latina, teorizzato il ciceronianismo in nome della comunicazione culturale, che dovrebbe rendersi sempre più agevole fra i popoli d'Europa, e definito in opposizione ad Erasmo il carattere non meschinamente esclusivo del modello; torna la difesa umanistica della poesia, in un momento in cui la condanna della sua inutilità trova nuove motivazioni nella prospettiva controriformistica e viene decisamente sostenuta la polemica contro i grammatici, colpevoli di mortificare la funzione più altamente educativa e artistica della lingua latina. Già nel '62, ancora ad Oria, il C. aveva iniziato un importante rapporto epistolare, che durò due anni, col dotto gesuita Pietro Giovanni Perpina, che in quegli anni insegnava al Collegio Romano, intorno a questioni retoriche e dialettiche riguardanti l'invenzione. I quesiti posti dal C. s'inscrivono nella ricerca condotta in vista di un trattato di dialettica, che uscirà nel '67, e di uno di retorica, che non vedrà mai la luce.
A Salerno, nel '66, il C. incontrava il cardinale G. Sirleto, al quale l'anno successivo si rivolgeva per ottenere un incarico che gli consentisse l'ozio degli studi. La notizia di un soggiorno del C. a Roma accanto al Sirleto sotto il pontificato di Pio IV non trova conferma ed è difficile dire se fu proprio quel papa o il successivo Pio V ad affidare al C., tramite il Sirleto, la traduzione in latino di alcune epistole de Indorum rebus. Nel 1569 il C. passava a Napoli, precettore, in casa Carafa, dei figli di Vincenzo fratello del cardinale Antonio. Nel 1571 fu invitato dai Bolognesi a tenere la cattedra di eloquenza che era stata dell'Amaseo, in seguito alla morte di Sebastiano Regolo, ma con grande rammarico dovette rinunciarvi, lamentandosi col Sirleto che il Carafa non avesse sufficientemente apprezzato il suo sacrificio. Nel '72 gli venne rinnovato l'invito, ma egli già si apprestava a tornare ad Oria, dove aveva ottenuto il posto di arcidiacono lasciato dal fratello Marcello, morto nel '70.
Nel '69 aveva portato a termine i De lingua Latina libri XIII, che dalla trattazione delle lettere giunge, attraverso quella delle parti del discorso, all'esame dell'oratoria e della poetica. D'altra parte una lunga orazione composta nel '70, e pubblicata a Napoli nel '71, sulla vita di s. Francesco di Durazzo, le cui reliquie erano mal conservate ad Oria, rivela l'interesse per il rinnovamento della vita religiosa nella sua città, di cui in questa occasione, narra la storia polemizzando contro le signorie feudali che l'avevano lasciata decadere e impoverire. Quando potrà tornarvi acconsentendo alla richiesta di Carlo Bovio, e mostrandosi ligio ai precetti del concilio tridentino, che regolavano la residenza dei religiosi, si dedicò alla riorganizzazione della vita cristiana e del culto, portando a termine nello stesso tempo un'altra grossa impresa letteraria, i cinque libri del De copia Latini sermonis, in cui sulle orme di Varrone, ma ampliando la considerazione dei verba in quella del sermo, esamina la ricchezza dei vocaboli latini, la molteplicità dei significati e l'opportunità dei neologismi. L'opera, consegnata a Giovanni Angelo Papio, professore a Bologna, fu pubblicata nel 1582 a Venezia, presso F. Ziletto.
Il C. era morto nel 1575, e aveva lasciato inediti altri tredici libri di epistole.
Opere: Epistolarum l. VIII, Venetiis 1565; De divi Francisci Dyrrhachini divinis honoribus, ad ordinem et populum Uritanum oratio, Napoli 1571; De lingua Latina ad Marcellum fratrem l. XIII, Bononiae 1575; De copia Latini sermonis l. V, Venetiis 1582; l'opera è introdotta dalla biografia del C. ad opera di Antonius Amantius e da alcune epistole del C. degli ultimi anni e contiene Gaspari Cervanti Salernitanorum archiep. oratio, Venetiis 1581, con annessa l'oratio pronunciata al concilio salernitano. Lo scambio di lettere col Perpina è edito in P.I. Perpiniani Opera, a cura di P. Lazzari, Roma 1749, III, pp. 1-74. Le epistole ad A. Carafa sono nel ms. Vat. lat. 6805, cc. 208r-211r, e nel Barb. lat. 2150, c. 48; le epistole al Sirleto sono nel Vat. lat. 6180, c. 78 e 6189, c. 486. Non sono del C., ma di Mario Corradi, le epistole dell'Ambrosiana a cui rimanda l'indice di P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 469.
Fonti e Bibl.: Derivano dall'Amanzio e da M. Pagano (Vita di Q. M. Corrado, ms. D/10 della Bibl. archiv. di Brindisi), i quali a loro volta utilizzano le epistole del C., oltre alle poche notizie raccolte dai conoscenti dell'umanista, le biografie più tarde. Utili sono le testimonianze di A. Massarelli (Concilium Tridentinum, ed. società Goerresiana, Diaria, I, Friburgi Brisg., 1901, pp. LXXII, 228, 239, 262, 548), e le epistole di P. Manuzio, Venetiis 1580, pp. 7880, 220 s., 344-347, 368-371, 380 s., 409-411. Ai rapporti con l'Aleandro aggiunge alcune notizie S. Palese, La corrispondenza inedita di G. Aleandro, arciv. di Brindisi, in Studi storici, XV (1974), pp. 79-82. O. Giordano, Q. M. C. e il cardin. Cervantes de Gaète, in Q. M. C. umanista salentino del '500, a cura di D. Palazzo, Galatina 1978, pp. 65-82;, F. Tateo, Q. M. C. umanista, ibid, pp. 97-118, riesamina la questione della difesa del latino; su cui cfr. V. Cian, Contro il volgare, in Studi letterari e linguistici dedicati a Pio Raina, Firenze 1911, pp. 251-297; P. O. Kristeller, L'origine e lo sviluppo della prosa volgare italiana, in Cultura neolatina, II-III (1950), p. 155.