CATULO, Quinto Lutazio (Q. Lutatius Q. f. Catulus)
Nacque intorno al 150 a. C. e nel 109 fu, pare, come pretore al governo d'una provincia granifera, probabilmente la Sicilia (Cicerone, Verr., III, 209). Candidato al consolato per gli anni 106, 105 e 104, ebbe tre ripulse, e riuscì finalmente per il 102 con C. Mario console per la quarta volta. Egli fu inviato a occupare la chiusa di Verona contro i Cimbri e con grande energia riuscì a tenere in pugno i suoi soldati atterriti dalla vista dei feroci nemici e a ritirarsi in ordine, abbandonando ai barbari la pianura a nord del Po. Mantenuto come proconsole al comando per il 101, riunì il suo esercito a quello di Mario e sterminò con lui i Cimbri nei Campi Raudii (v. raudii, campi) il 30 luglio del 101. I due generali trionfarono insieme, ma disputarono poi, essi e i loro soldati, sulla parte avuta nella vittoria, che C. rivendicava a sé e ai suoi; e si deve collegare con queste polemiche il liber de consulatu et de rebus gestis suis (Cic., Brutus, 132; sono forse la stessa cosa le Catuli litterae, in Frontone, p. 126 N.), scritto da lui e che ha lasciato tracce nelle posteriori narrazioni storiche. Combatté nel 100 per le strade di Roma contro i demagoghi Saturnino e Glaucia e fu nel 91 fra gli oppositori del console reazionario L. Marcio Filippo. Egli era in quegli anni uno dei più influenti uomini politici in Roma. Allo scoppio della guerra sociale nel 90, C., sebbene sessantenne, offrì il suo braccio alla patria ed ebbe l'ufficio di legato nell'esercito. Nell'87 stette dalla parte del senato e pagò con la vita la sua resistenza a Mario e Cinna. A placare i suoi mani, Silla fece più tardi trucidare sulla sua tomba il suo accusatore M. Mario Gratidiano.
La sua rettitudine era proverbiale: hoc verum est; dixit enim Q. Catulus (Cic., De or., II, 173). Cicerone esalta anche le sue doti letterarie, specialmente oratorie (Brutus, l. c.), e ne fece uno degli interlocutori del II e III libro del De oratore. La cultura greca non aveva per lui segreti, e fu anche poeta fine. Ci sono giunti due suoi epigrammi, uno, imitazione da Callimaco, è in Gellio, XIX, 9, 14, l'altro, stupendo, in Cicerone, De nat. deorum, I, 79. Al tempo di Cicerone rimanevano le sue orazioni. Non fu un oratore principe, ma si lodavano specialmente la purezza della sua lingua e la sua dolce pronunzia (v. De orat., III, 29). Gli viene da alcuni attribuita anche un'opera communis historiae in almeno quattro libri, citata col nome di Lutatius.
Bibl.: T. Mommsen, Storia di Roma antica, trad. ital. L. di S. Giusto, III, Torino 1904, p. 153 seg.; C. Neumann, Geschichte Roms während des Verfalles der Republik, I, Breslavia 1881, p. 367 seg.; H. Peter, Historicorum Romanorum reliquiae, 2ª ed., I, Lipsia 1914, pp. cclxii seg., 191 seg.; R. Büttner, Porcius Licinus und der literarische Kreis des Lutatius Catulus, Lipsia 1893; F. Leo, Geschichte d. röm. Literatur, I, Berlino 1913, pp. 343, 438; M. Schanz-C. Hosius, Geschichte der röm Literatur, 4ª ed., I, Monaco 1927, pp. 166, 206; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, 1927, col. 2072.