SIMMACO, Quinto Aurelio (Quintus Aurelius Symmăchus)
Visse all'incirca fra il 340 e il 402 d. C. Il padre, L. Aurelio Avianio Simmaco, investito di importanti cariche pubbliche e onorato da due statue - una delle tante forme della retorica di allora - a Roma e a Costantinopoli, gli lasciò in eredità oltre, forse, le numerose tenute che possedeva, una tradizione di dottrina, di misura, di attiva partecipazione alla pubblica cosa e di tenace, coraggioso attaccamento al culto degli avi. S. sembra essere stato in cordiali relazioni col primo Valentiniano, in onore del quale disse due panegirici - uno ne disse anche per il Cesare Graziano - e che, dopo averlo chiamato nel 369 a far parte del Consiglio della Corona come comes tertii ordinis, nel 373 lo nominò proconsole d'Africa, in un momento particolarmente difficile, per la rivolta di Firmo. S. seppe compiere il suo dovere. Praefectus urbi tra il 384 e il 385 sotto Valentiniano II, si compromise più tardi con un discorso in onore dell'usurpatore Massimo, discorso che solo a fatica riuscì a farsi perdonare, quando Teodosio ebbe vinto i ribelli. Nel 391 raggiunse il consolato.
Alla corte di Valentiniano I, S. conobbe Ausonio, col quale partecipò nel 370 alla spedizione contro gli Alamanni. Divennero, com'era naturale, amici, e un gruppo di lettere - 13-33: la 32ª è di Ausonio - del primo libro dell'Epistolario di S., ci mostra come li unisse soprattutto l'amore per le eleganze formali della letteratura.
Del resto, nell'Epistolario di S., in 10 libri, come quello di Plinio il Giovane (il 10° è dedicato alla corrispondenza ufficiale di S. come praefectus urbi), invano si cerca qualche cosa di più che l'eleganza formale. Di romano non c'è che la brevitas, ma la brevitas pretenziosa di chi non ha o sembra non abbia niente da dire. Povertà d'idee, di fantasia, di sentimenti, di parole, e in tutto e su tutto una genericità, che fa pensare a quella talvolta così esasperante di un suo compagno di fede, Libanio. C'è in tutto l'Epistolario una distinzione signorile, fredda e compassata, che sembra essere stata per S. la cosa essenziale, e alcuni nomi dei poemetti di Claudiano vi compaiono senza un segno di turbamento, senza un fremito, come se il non plus ultra dell'educazione, per questo romano che pure partecipava attivamente alla vita politica, fosse il sembrarvi estraneo. Nel gruppo di lettere indirizzate a Stilicone (IV, 1-13) ce n'è una - la 35° - in cui S. riferisce brevemente sugli onori decretatigli dal senato per la vittoria su Gildone. Il tono ricorda quello della famosa lettera di Catone a Cicerone dopo la vittoria sull'Isso (ad Fam., XV, 5), e l'avvicinamento mostra quanto ingenuo tradizionalismo, di gran signore o letterato che sia, fosse nell'animo di S.
Un'eccezione rappresenta la famosa relatio, che costituisce con altre il 10° libro dell'Epistolario, scritta da S. come praefectus urbi a Valentiniano II, nel 384, quando i senatori pagani tentarono di persuaderlo a revocare i decreti di Graziano contro il culto degli dei (382). S. non era uno spirito appassionato e intollerante neppure in materia di religione, come lo dimostrano alcuni passi dell'Epistolario (I, 64; VII, 51), il rispetto che Ambrogio gli dimostra (Ep., 17, 6; 57, 2) e i rapporti di S. con lui, se è esatta l'identificazione fatta dal Seeck (CXXVIII-IX) del destinatario della lettera, III, 30, 7: certo ch'egli si fa interprete dei compagni di fede, con una misura, una pacata rassegnazione all'inevitabile, un così delicato senso della poesia delle cose anche sorpassate, che il lettore ne resta commosso. La risposta di Ambrogio, che, nella lettera 18ª a Valentiniano II (cfr. l'imperiosa 17ª e 57ª), segue passo per passo la relatio di S., è più calda, più ricca di avvenire, persino più spregiudicata; parla in nome di una religione che è cresciuta nei sacrifici, di una fede che non ammette discussioni, parla di progresso, di Romani che devono a sé stessi e non agli dei le proprie vittorie: ma il fascino della relatio è appunto in quel suo rassegnato romanticismo, in quel tono dimesso e quasi a mezza voce, che adeguando per la prima volta lo stile di S. alla realtà in cui viveva, fa di un documento di funzionario una pagina di poesia. L'edizione migliore dei frammenti delle orazioni (8) e dell'Epistolario è quella di O. Seeck nei Mon. Germ. Hist., Auct. ant., VI, 1, Berlino 1883,; edizione a parte delle relationes quella di W. Meyer, Lipsia 1872. La subscriptio dei libri della prima decade liviana ("Victorianus v. c. emendabam domnis Symmachis") prova l'attività di S. in questo campo (cfr. Ep., IX, 13), comune del resto ai Nicomachi, genero e nipote di S. Egli è uno degli interlocutori dei saturnalia di Macrobio.
Bibl.: M. Schanz, Gesch. d. röm. Lit., IV, i, 2ª ed., Monaco 1914, p. 119 segg.; O. Seeck, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV A, col. 1146 segg.