BOCAYUVA, Quintino
Scrittore e uomo politico brasiliano nato a Rio de Janeiro nel 1836, morto nel 1912. Giornalista dapprima, e autore drammatico, compose in gioventù alcuni drammi di carattere romantico (Omphalia, Trovador, Quem porfia sempre alcança, Domino azul, Os mineiros da desgraça, A familia). Ma presto la politica assorbì tutta la sua attività. Nel 1870 fu uno dei firmatarî del primo manifesto repubblicano, e non si sgomentò per la scarsa e debole ripercussione avuta. Perseverò nella propaganda delle idee repubblicane, mettendo a profitto, con acume pari alla tenacia, tutte le occasioni propizie che gli si presentavano di battere in breccia la fortezza, ancora salda, del regime monarchico. Partecipò a tutti i comizî, dove la sua voce poteva essere ascoltata; fondò e diresse giornali: O Globo, A Republica, O Paiz; e la sua personalità inconfondibile gli assicurò ben presto un posto a parte nella battaglia politica. Era un gentleman, un fidalgo; temperamento aristocratico al servizio della democrazia. Nei suoi discorsi, di una eloquenza sobria, nitida, misurata; nei suoi articoli, concisi e di un equilibrio classico, non scese mai alla volgare invettiva, né cedette mai agli impulsi di una cieca passionalità. Svolgeva la sua azione sul terreno dei fatti e dei principî, trattando con cavalleresco riguardo gli avversarî, e particolarmente la persona dell'imperatore. In un paese dove la stampa politica è di solito molto esaltata, questo suo cortese armeggiare assicurò alla sua opera un'efficacia ancora più grande. Ma forse non avrebbe portato al trionfo le sue idee, se, nell'ultimo periodo della monarchia, i due partiti costituzionali, il conservatore e il liberale, non si fossero dimostrati impari al proprio compito, e non avessero accumulati errori sopra errori, specialmente intorno al grave problema della schiavitù e della trasformazione del lavoro, invece di seguire l'ispirazione saggia e umanitaria del sovrano. Tali errori furono abilmente messi in luce dal B. e da altri nei giornali, mentre alla Camera movevano all'attacco Prudente de Moraes, e Campos Sales due futuri presidenti della repubblica.
Durante la campagna civile per l'abolizione della schiavitù, problema di carattere nazionale e cristiano al di sopra delle contese partigiane, il B. non disdegnò di allearsi con gli abolizionisti monarchici, tra i quali il grande apostolo della libertà Joaquim Nabuco, deputato e suo compagno nella redazione di O Paiz; ma raggiunto lo scopo con l'"aurea legge" che soppresse la schiavitù nel Brasile (13 maggio 1888), subito riprese la propaganda repubblicana, valendosi della crisi economica provocata dall'abolizione, e del persistente malcontento di una gran parte dell'esercito, che datava dalla "questione militare" sorta due anni prima. Il 15 novembre 1889, la repubblica veniva proclamata dal maresciallo Deodoro da Fonseca; e nel governo provvisorio, il B. fu ministro degli Affari esteri. A lui deve il Brasile se, pur nel tumulto delle ambizioni impazienti e delle temerarie innovazioni, la tradizione diplomatica nazionale poté essere salvata. Dalla prima legislatura del congresso federale sino al termine della sua vita, egli ebbe costantemente un seggio al Senato, eccettuato il periodo in cui governò lo stato di Rio de Janeiro. "Principe dei giornalisti brasiliani del suo tempo", come fu chiamato, "patriarca della repubblica", ebbe una grandissima autorità morale, anche per la semplicità dei costumi e l'integrità della vita: visse del suo lavoro, sacrificando ogni suo interesse e anche talora le sue stesse simpatie personali a quello che giudicava essere il bene della patria.