QUINQUATITUS
. Nei calendarî romani il 19 marzo figura col nome di Quinquatrus. Secondo Varrone (De lingua lat., VI, 14), tale denominazione derivò dall'essere il quinto giorno, secondo il modo di computare romano, dopo le idi; Ovidio (Fast., III, 809) invece ritiene essersi così chiamata quella festa, che si celebrava in onore di Minerva, dalla durata che aveva dì cinque giorni. In origine era soltanto di un giorno, il 19 marzo; in progresso di tempo si aggiunsero altri quattro giorni, dal 19 al 23 marzo. Il complesso delle feste si disse al plurale: Quinquatria. Nel giorno del Quinquatrus si commemorava la dedicazione del tempio di Minerva sull'Aventino, e si onorava quella divinità, quale protettrice delle arti e delle professioni e in specie della musica, nei modi più svariati. Era in modo particolare la festa di tutti coloro che esercitavano un'arte (artificum dies; calend. Prenestino, Corp. Inscr. Lat., I, 2ª ed., p. 312; cfr. Ovid., loc. cit.).
Solevano in tale giorno convenire in località stabilite poeti e scrittori a gareggiare tra loro; gli scolari avevano vacanza e porgevano un dono ai loro precettori, detto dalla circostanza minervale (minerval). Cantori e sonatori giravano per le vie mostrando la loro valentia. La sospensione dal lavoro permetteva a tutti di prendere parte alla festa e di offrire alla dea sacrifici incruenti di focacce di grano e di miele intrisi nell'olio. Nei giorni seguenti si davano ludi scenici, gladiatorî e venatorî. Nel quinto e ultimo giorno (23 marzo) si compivano sacrifici nell'atrio dei calzolai (atrium sutorium), e si dedicavano le trombe e gli strumenti musicali usati nelle cerimonie sacre (tubilustrium). In un brano di una lettera scritta da Augusto, riportata da Svetonio (Aug., 71), l'imperatore narra di avere passato allegramente l'intera festa di Minerva giocando.
Alle idi di giugno si celebravano le Quinquatrie minori (Quinquairus minusculae), che duravano tre giorni. Tale celebrazione data dall'anno 443 di Roma (311 a. C.) in memoria della nota secessione dei tibicini, suonatori di tibia nelle cerimonie sacre e funebri, che essendo stati esclusi dai censori Appio Claudio e C. Plauzio dal partecipare all'epulo di Giove, si allontanarono in segno di protesta da Roma, rifugiandosi a Tivoli. Poiché non si poteva fare a meno di loro, fu vinta la loro riluttanza con un colpo di mano. Somministrate loro abbondanti libazioni, ebbri, presi di sorpresa, furono ricondotti a Roma e reintegrati nella loro funzione (Liv., IX, 30). Le Quinquatrie minori erano dunque la festa dei sonatori, in particolare dei tibicini.
Bibl.: J. Marquardt, Römische Staatsverw., III, 2ª ed., Lipsia 1885, p. 434 segg.; G. Wissowa, Relig. und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 253; G. Vaccai, Le feste di Roma antica, 2ª ed., Torino 1927, p. 62 segg.