QUINDECEMVIRI
. Collegio sacerdotale nell'antica Roma il cui ufficio precipuo era di consultare, per ordine del senato, l'oracolo della Sibilla Cumana di cui era depositario. Aveva inoltre la sorveglianza dei culti stranieri; i quindecemviri erano quindi i pontefici delle religioni extranazionali. L'origine del collegio si faceva risalire al tempo di Tarquinio Prisco; secondo la leggenda, una vecchia, che altri non era che la Sibilla di Cuma, si presentò a quel re a offrirgli una raccolta di profezie. Poiché ella ne bruciava una parte ogni volta che Tarquinio le opponeva un rifiuto, questi finì col comprare le ultime tre. Furono deposti nel tempio di Giove Capitolino, e fu nominata una commissione di due membri (IIviri sacris faciundis), con l'incarico di consultarli per conto esclusivo dello stato ogni volta se ne presentasse la necessità. Cassio Dione (IV, 62) narra che Tarquinio punì di morte il duumviro Attilio per avere lasciato copiare a un sabino i libri a lui affidati. In progresso di tempo furono aggiunti agli oracoli cumani quelli della Sibilla Tiburtina, anch'essi in greco, e i libri dei fratelli Marcii, detti carmina Marciana, in latino. Nell'anno 367 a. C. fu costituito il collegio vero e proprio da una delle leggi Licinie, composto di dieci membri (decemviri sacris faciundis), dei quali cinque patrizî e cinque plebei, presieduto da un magister. Nel sec. I a. C., forse da Silla, il riorganizzatore dei grandi collegi sacerdotali, il numero dei membri del collegio fu portato a 15 (quindecemviri). I libri sibillini bruciarono nell'incendio che devastò il Campidoglio nell'anno 83 a.C. e vennero restituiti ad opera di una commissione, inviata espressamente ad Eritre. Augusto li fece trasferire nel tempio di Apollo Palatino, racchiusi entro due stipi d'oro, e messi sotto la statua del nume. Furono sottoposti a revisione sotto Tiberio e definitivamente distrutti col fuoco, circa l'anno 405, per ordine di Stilicone che abolì l'oracolo. L'oracolo si prendeva forse aprendo i libri sibillini a caso e leggendone un passo, da cui ricavare il vaticinio. Ciò si faceva raramente, cioè in occasione di prodigi e di epidemie causate dal corruccio della divinità. Le consultazioni (adire, consulere, inspicere libros) erano lunghe, costose e complicate da lettisternî, supplicazioni e digiuni; le predizioni erano tenute in molta considerazione.
La competenza speciale dei quindecemviri, analoga a quella dei pontefici, nel regolare i culti stranieri era di grande importanza. Consisteva nell'approvare o respingere l'introduzione di un culto, nel nominarne i sacerdoti e nel decidere le questioni di carattere amministrativo che potessero sorgere. Le insegne dei quindecemviri erano la corona d'alloro, il tripode, il delfino. Essi stessi erano i sacerdoti deI culto di Apollo, di Cerere e della Gran Madre. Nei ludi Apollinares offrivano un sacrificio in rito greco; avevano anche la cura dei ludi saeculares. Erano considerati fra le dignità più elevate, e il loro collegio era annoverato fra i primi (summa, amplissima collegia); in ordine di precedenza, veniva subito dopo i Pontifices e gli Augures, e prima degli Epulones.
Un altro collegio di quindici membri era quello dei XVviri agris dividendis o dandis, cui era affidata la divisione dei terreni, ordinata da una legge agraria, o richiesta dalla fondazione di una colonia in un determinato luogo.
Bibl.: Th. Mommsen, Röm. Forschungen, Berlino 1864, I, pagina 84 seg.; C. Bardt, Die Priester der vier grossen Collegien, Berlino 1871, p. 28 segg.; H. Diels, Sybillinische Blätter, Berlino 1890; K. Schultness, Die sybillinischen Bücher in Rom, Amburgo 1895; C. Thulin, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, coll. 725-30; VII, coll. 2431-2468; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 534 segg.