QUICHILINO da Spello
QUICHILINO da Spello (Bichilinus, Quichilinus, Quilichinus). – Le oscillazioni della forma con cui ne è trasmesso il nome rendono, già di per sé, evidenti i problemi di identificazione e corretta contestualizzazione di questo personaggio che, fiorito nei primissimi anni del XIV secolo, fu autore di un importante trattato di ars dictaminis, ovvero di retorica epistolare, al quale è attribuito il titolo di Pomerium rethorice.
L’unico manoscritto superstite dell’opera (Bern, Stadtbibliothek, 220) lo chiama ripetutamente Bichilinus (Bichilynus), un altro perduto invece (Metz, Bibliothèque municipale, 1206), secondo il catalogo, lo chiamava Bilichinus, dando una forma un po’ più usuale al nome di un autore spesso confuso – per somiglianza sia del nome proprio sia di quello del luogo d’origine – con il Quilichino o Vilichino da Spoleto autore duecentesco di una Historia Alexandri Magni.
L’opera fu certamente composta presso lo Studio di Padova, perché così viene detto esplicitamente nella salutatio della lettera di dedica, indirizzata al canonico veneto Stephanus Nayn (nome che Licitra, suo editore, pensava potesse essere di un ebreo converso, ma che potrebbe, però, essere deformazione di quello del veneziano Stefano Nani, che apparteneva al clero della basilica ducale di San Marco), dove l’autore si presenta con queste parole: «Bichilynus Spelensis, vallis Spoletane de partibus, in Paduano Studio moram trahens» (p. 3). La provenienza e la permanenza presso lo Studio padovano sono ribadite anche nell’explicit del trattato, dove ancora una volta si riafferma che esso fu composto «per magistrum Bichilinum de Spelo cum esset in Studio Paduano» (p. 103), aggiungendo il titolo magister, per far risaltare, evidentemente, una qualifica professionale. È difficile, però, dire se l’autore abbia effettivamente insegnato presso quello Studio, giacché non sono stati reperiti riscontri documentari. In ogni caso, nel capitolo VIII, 3 (p. 27), è citato il maestro Marco Calcaterra, che insegnò retorica e ars notaria a Padova ai primi del Trecento e fu più tardi notaio del comune; e la salutatio indirizzata all’«Aristotilico viro magistro P. non solum conventato in trivio, sed et naturalis philosophie lucidato doctrinis» potrebbe, poi, forse, riferirsi a Pietro d’Abano (Lucidator è titolo di una sua operetta). Tra i personaggi storici citati c’è anche Vitaliano de Lemitis (p. 24), ovvero del Dente (da alcuni antichi commentatori danteschi identificato con l’usuraio che Rinaldo degli Scrovegni attende in Inferno XVII, 68).
Per quanto riguarda l’anno di composizione, la situazione pure è piuttosto intricata. In effetti, il manoscritto di Berna, nel corso del testo (c. 93r), come esempio di datazione epistolare, riporta l’anno M° CCCC° XLVI°; poi nell’explicit, dopo le parole più su riportate, aggiunge che esso fu terminato «sub anno Domini M° CCCC° IIII°». Tali datazioni sono certamente troppo tarde: la prima è forse dovuta a un’esigenza di attualizzazione; la seconda, quell’explicit, è, invece, forse attribuibile a un errore del copista, quattrocentesco, che aggiunse una C di troppo all’anno. D’altra parte, il perduto manoscritto di Metz, nell’explicit, a quanto pare, chiariva: «sub anno Domini millesimo trecentesimo quarto, tempore domini Benedicti de Tervisio pape», facendo, dunque, riferimento a papa Benedetto XI, morto il 7 luglio 1304. In definitiva, sembra che la data di composizione dell’opera possa essere fissata alla prima metà del 1304. Tuttavia, nel capitolo VII, 1 (p. 25) è citato il bolognese podestà di Padova Pace de Pacibus: cosa che porterebbe a un possibile spostamento al 1305.
Il Pomerium si presenta esplicitamente, sin dalla pagina proemiale, come una summula utile a raccogliere le regole necessarie al ben scrivere e a evitare errori; un compendio scritto per rispondere alle sollecitazioni di alcuni a «breviori ac clariori volumine compilare», cioè a raccogliere in un libretto agile e chiaro le cose che profunde et diffuse erano state scritte sul dictamen prosaico ab antiquis autoribus (p. 3). Gli antichi autori a cui si fa riferimento, come viene subito chiarito, non sono quelli della latinità classica, ma vanno identificati soprattutto in Goffredo di Vinsauf e Bene Fiorentino, maestro, quest’ultimo, che costituisce il punto di riferimento e il modello prevalente.
Il Pomerium è organizzato in maniera piuttosto tradizionale. È diviso in 5 libri: il primo è dedicato alla definizione di dictamen, ai vitia evitanda e alle virtutes habende, nonché alle parti della frase e al cursus; il secondo alla salutatio; il terzo all’exordium; il quarto alla narratio; il quinto alle ceterae partes dell’epistola, ovvero la petitio, la conclusio, la subiunctio, il valete, la data, la responsio. Ogni argomento è accompagnato da numerosissime esemplificazioni. Un breve epilogo, poi, spiega anche il significato del titolo Pomerium attribuito all’opera, che è paragonata, dunque, a un fertile orto alberato (viridarium) in cui possono essere attinti «diversa genera rethoricorum fructuum et pomorum» (p. 103), ovvero, in altri termini, a un ideale repertorio di forme e formule tra cui il lettore può scegliere comodamente.
Uno dei suoi aspetti più interessanti – che permette di instaurare paralleli con la Summa dictaminis di Jacques de Dinant (ca. 1285-1292), che organizza l’ordo personarum seguendo il criterio della priorità ratione sciencie – è dato dalla circostanza che, nei modelli offerti nei vari capitoli dedicati alle parti dell’epistola, non si tiene conto solo delle categorie individuali gerarchicamente più alte, ma anche delle classi sociali più umili, come i rustici, o gli amantes. La funzione dell’opera, come esplicitamente e ripetutamente detto, è eminentemente pratica, e mira non solo agli strati più operosi della nascente società ‘borghese’ cittadina, ma anche all’esemplificazione concreta e ‘realistica’, come risulta, per esempio, dai modelli di salutatio per il soldanus Babilonie, che il re di Francia può chiamare procurator Sathane, ma i genovesi e i veneziani, i quali hanno con lui rapporti commerciali, devono appellare «excellentissimus princeps» e augurargli «salutem et honoris et glorie incrementum» (p. 23).
Fonti e Bibl.: Il “Pomerium rethorice” di Bichilino da Spello, a cura di V. Licitra, Firenze 1979 (rist. Spoleto 1992).
F. Novati, Recensione a S. Ferri, Per l’edizione dell’Alessandreide di Wilichino da Spoleto (art. pubbl. in Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l’Umbria, XXI (1915), pp. 211-219), in Giornale storico della letteratura italiana, LXVI (1915), p. 472; T. Ferri, Appunti su Q. e le sue opere, in Studi medievali, n.s., XV (1936), pp. 239-250; W. Kirsch, Einführung, in Quilichinus de Spoleto, Historia Alexandri Magni, a cura di W. Kirsch, Skopje 1971, p. LV; S. Hallik, Sententia und proverbium: Begriffsgeschichte und Texttheorie in Antike und Mittelalter, Köln-Weimar-Wien 2007, pp. 255-257, 590-612; O. Mészáros, Bichilinus de Spello, in C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), II, 4, Firenze 2007, pp. 408 s.; G.C. Alessio, Introduzione, in Dall’“Ars dictaminis” al Preumanesimo? Per un profilo letterario del XIII secolo, a cura di F. Delle Donne - F. Santi, Firenze 2013, pp. XXII s.