Quattro maggio, moti del
Movimento di protesta, iniziato a Pechino il 4 maggio 1919 e proseguito in altre città cinesi fino all’estate successiva. Ne furono soggetto principalmente gli studenti dell’università e fu appoggiato soprattutto dalla borghesia moderata della capitale, dai circoli intellettuali progressisti e di affari, dalle Camere di commercio, con la partecipazione di svariati accademici di prestigio, come il rettore Chen Duxiu. Essi trassero origine dalla notizia che alla conferenza di pace che si stava tenendo a Versailles le potenze vincitrici nella Prima guerra mondiale avevano accolto la richiesta del Giappone che i diritti sulla regione dello Shandong goduti dalla Germania fino al 1914, quando le forze del Sol Levante l’avevano occupata, venissero trasferiti a quest’ultimo sebbene anche la Cina nel 1917 fosse entrata in guerra con gli imperi centrali e ne avesse domandato la restituzione. La protesta chiedeva al governo (controllato dalla cd. Cricca di Anfu e in buoni rapporti con Tokyo) di non firmare il Trattato di Versailles ed era diretta contro i ministri filogiapponesi. Dopo svariati incidenti, che inclusero circa 3000 arresti, il 12 giugno il governo cedette e accolse le richieste dei manifestanti. I moti del Q.m. ebbero poca risonanza fuori di alcune grandi città e praticamente nessuna nel mondo rurale, ma furono accompagnati da alcuni scioperi operai, impressionando comunque gli osservatori stranieri. Nella capitale i moti servirono da cassa di risonanza per le correnti riformatrici dell’ambiente intellettuale e universitario, le quali si battevano contro la tradizione confuciana e subivano l’influenza della cultura occidentale del primo Novecento, dal positivismo e dalla filosofia della libertà provenienti dalla Francia, al pragmatismo americano e al marxismo, invocando la scienza e la democrazia. Per la prima volta nella storia della Cina moderna queste forme di radicalismo si associarono al nazionalismo, che respingeva le limitazioni alla sovranità della giovane Repubblica imposte dall’imperialismo straniero. Nella storiografia ufficiale della Repubblica popolare cinese i moti del Q.m. vengono considerati il punto di partenza della storia contemporanea del Paese, mentre alcuni studiosi occidentali li vedono come il simbolo della definitiva decadenza dell’egemonia culturale del confucianesimo. Essi rappresentano l’esempio più evidente della funzione di avanguardia ideologica esercitata dall’università di Pechino dalla fondazione, nel 1898, fino ai giorni nostri, e si è percepita più volte l’intensità della memoria storica che tuttora se ne conserva.