QUASI DELITTO
. Le fonti giustinianee dicono che nasce un'obbligazione quasi ex delicto nel caso del positum et suspensum, dell'effusum et deiectum, del furto o del danno commesso sulle cose dei viaggiatori nella nave o nell'albergo o nella rimessa, del iudex, che per errore o negligenza ha pronunciato una sentenza ingiusta.
Nei primi tre casi si risponde del fatto altrui, non del fatto proprio: l'inquilino risponde del danno cagionato dalla caduta dell'oggetto sospeso, o gettato, o versato, chiunque sia l'autore; il padrone della nave o dell'albergo o della rimessa risponde del furto commesso e del danno recato dai dipendenti e dai terzi alle cose dei viaggiatori. Questa obbligazione si configurò come obbligazione quasi ex delicto nell'età della decadenza, tra il sec. IV e il VI, quando si elaborò il nuovo concetto di delictum e si pose come elemento subiettivo del delictum il dolus. Gli atti illeciti sopra riferiti, esistendo indipendentemente dal dolo, non potevano chiamarsi delicta: si disse, per ciò, che in questi casi l'obbligazione nasceva quasi ex delicto. Questa espressione si sostantivò e le scuole bizantine parlano di ὡσανεὶ ἁμάρτημα = quasi delictum.
Dalla legislazione giustinianea e dal diritto comune questa espressione passò nei codici a tipo francese e così nel codice civile italiano. Nel diritto moderno molto si discute sul concetto di quasi delitto: è controverso, cioè, il criterio di distinzione tra il delitto e il quasi delitto. La discussione, del resto praticamente poco importante, data la stessa responsabilità che nasce dall'uno e dall'altro trae origine dal fatto che il legislatore non dice mai che cosa intenda per delitto, che cosa per quasi delitto.
Affermano alcuni che si ha quasi delitto, ogni qual volta si risponde per fatto altrui, per danno causato - cioè - da persona sottoposta o che da noi dipende, da un proprio animale o da un proprio immobile (articoli 1153-1155); si ha delitto, quando vi ha ogni altro fatto illecito proprio. Altri sostiene che vi ha quasi delitto, soltanto quando la responsabilità deriva da animali o cose inanimate; delitto, quando il danno deriva da causa umana. La dottrina dominante, ispirata dal Pothier, definisce delitto l'atto illecito doloso; quasi delitto, l'atto illecito colposo. La colpa può essere anche soltanto culpa in eligendo (nel caso, ad es., dell'albergatore che risponde del danno recato alle cose dei viaggiatori dai proprî dipendenti), o può essere, comunque, anche soltanto presunta (nel caso di danni recati dagli animali o dagli immobili). La dottrina dominante viene a trovarsi, così, esattamente nel solco della tradizione romanistica: il rilievo della culpa come elemento costitutivo del quasi delitto già si trova nelle fonti giustinianee ed è particolarmente vivace nella letteratura giuridica bizantina. Né si deve dire, come da qualcuno (R. De Ruggiero) si dice, che il diritto moderno ha sostituito a singoli tipi concreti un concetto generale e astratto di quasi delitto. Questo concetto generale e astratto di quasi delitto già affiora, nonostante gli schemi ridotti, nel diritto giustinianeo.
Per quanto qualche autorevolissima voce (V. Scialoja) sia sorta recentemente in difesa del quasi delitto, così come è sorta in difesa del quasi contratto, è da approvare la tendenza legislativa e dottrinale più recente, che vuol liberarsi di queste artificiose figure e del termine "delitto" per esprimere l'atto illecito doloso anche nel campo civile. Sia il termine "delitto" per indicare il torto civile, sia l'espressione "quasi delitto", ricalcata su quel termine, ci riportano a un'età, in cui il diritto penale rientrava anche nel campo del diritto privato; e nell'età presente tanto diversa, in una legislazione in cui non trova più posto e ragione il diritto penale privato, sono, sopravvivenze infelici.
Bibl.: C. Ferrini, Delitti e quasi delitti, in Digesto italiano, s. v.; S. Perozzi, Le obbligazioni romane, Bologna 1903; G. P. Chironi, Le responsabilità extracontrattuale, Torino 1906; G. Brunetti, Il delitto civile, Firenze 1916; G. Rotondi, Dalla lex Aquilia all'art. 1151 del cod. civ. (ricerche storico-dommatiche), in Riv. dir. comm., 1917 (Scritti, Milano 1922, II, p. 465 segg.); E. Albertario, Le fonti delle obbligazioni e l'art. 1097 del cod. civ., in Riv. dir. comm., 1923; id., Ancora sulle fonti delle obbligazioni romane, in Rend. Ist. lomb., 1926; R. de Ruggiero, ist. di dir. civ., 6ª ed., Messina s. a., III, p. 490 segg., dove è pure larga bibliografia; V. Scialoja, In difesa di termini giuridici fuori d'uso, in Studi in onore di C. Vivante, Roma 1931, II, pp. 229-33.